«Serve il dialogo. Siamo convinti che i nostri figli siano propensi a trovare soluzioni condivise, ma non per questo possono rimanere passivi», scrivono i genitori in risposta a una lettera alla preside, preoccupati per il clima che si respira a scuola. «Vogliamo un confronto democratico», dicono gli studenti. La dirigente aveva reagito a una manifestazione chiamando la polizia: «Non è autorizzata». Contro di lei compare su un muro la scritta «Orsini nelle foibe»
Prevale il silenzio al liceo Augusto Righi di Roma dove, tra gli studenti e i professori, sono in pochi ad avere voglia di parlare. «Visto il momento declinerei l’invito», fa sapere uno dei docenti a cui Domani aveva chiesto di descrivere il clima che si respira nell’istituto. «Attualmente preferiamo non rilasciare interviste», risponde un’allieva della scuola. Nessun feedback anche dalla presidenza.
A vedere come stanno le cose oggi sembra che la strategia del dialogo abbia fallito. Almeno per quel che riguarda il confronto vis a vis. Visto che, invece, il botta e risposta per iscritto, sui social e attraverso il registro elettronico, tra la dirigenza, gli studenti e i genitori di alcuni allievi del Righi è andato avanti: «Poche ore fa si è conclusa questa giornata scolastica particolarmente “pesante”. Informo voi genitori che un nutrito gruppo di studentesse e studenti ha manifestato all’interno dei due edifici scolastici», aveva scritto lo scorso 3 aprile la dirigente del liceo Righi Giulia Orsini in una lettera aperta alle famiglie, a proposito delle manifestazioni contro la violenza maschile chiamate dalle e dagli studenti dentro la scuola dopo i femminicidi di due studentesse, Ilaria Sula e Sara Campanella, pochi giorni prima.
«Per meglio chiarire: le due manifestazioni NON SONO MAI STATE AUTORIZZATE. Il personale dell’Ufficio di segreteria – 10 persone –, i docenti che lavorano nello staff di presidenza e la scrivente, si sono trovati chiusi a chiave nei diversi uffici. Non vi nascondo che il rumore, ma anche i ripetuti colpi alla porta d’ingresso degli Uffici di vicepresidenza e di Presidenza, che sembravano voler abbattere la porta stessa, hanno causato ansia se non addirittura “paura” tra il PERSONALE CHE STAVA LAVORANDO!!!», scriveva ancora la preside, subito dopo aver spiegato di essersi trovata costretta a rivolgersi alla Polizia, «per l’atteggiamento aggressivo e per l’inaspettato scorretto comportamento da parte di così tanti studenti».
Scontro con la dirigente
A motivare le proteste, però – in particolare quella nella sede centrale di via Campania – non c’è stata solo la voglia di porre fine al patriarcato. Ma anche l’intenzione di contrastare «l’autoritarismo della dirigente scolastica» – scrive il collettivo del Righi, Ludus, su Instagram – sfociato nella decisione di anticipare gli esami per il recupero dei debiti formativi da settembre a luglio. Scelta che, come spiegano anche alcuni genitori che in risposta alla lettera di Orsini ne hanno scritta un’altra, è «valida», ma non può dirsi «sana e opportuna». Visto che è stata adottata con una delibera approvata con soli 7 voti a favore su 108 votanti, a causa dell’impostazione del collegio docenti per cui i professori potevano astenersi ma non dirsi contrari alle proposte.
Nella lettera, i genitori criticano anche termini come «rieducazione» e «lavori socialmente utili», usati dalla dirigente: «Parlare di ragazzi e ragazze che rischiano sanzioni che vanno addirittura oltre le sue stesse capacità di predizione -“non so cosa dovete aspettarvi” - potrebbe suonare, se letto da occhi maliziosi, come una minaccia. Affermare che alcuni studenti si impegnano a superare “indenni l’anno scolastico”, restituisce l’idea di una scuola che offre insidie e trabocchetti e che non sia orientata all’accoglienza, alla ricerca del sapere, alla formazione e all’istruzione», chiariscono i familiari degli studenti.
Clima di sfiducia
Che, come spiega Cecilia Frielingsdorf, presidente del Consiglio di Istituto, vorrebbero che il clima di dialogo che ha sempre caratterizzato il Righi tornasse a «rendere viva» la comunità scolastica. «Fatta di studenti brillanti che hanno sempre considerato il liceo un luogo in cui esprimersi. Sono preoccupata anche per i docenti, molti li ho visti avviliti», conclude Frielingsdorf, convinta che sia impensabile immaginare una scuola avulsa dalla politica e che instaurare un «regime di polizia» non serva per dirigere l’istituto. Ma è necessaria la capacità di favorire un clima sereno e collaborativo.
«Un confronto democratico» è anche quello che gli studenti spiegano di aver chiesto alla preside durante la manifestazione: «Non c’è stato alcun tentativo da parte nostra di entrare in presidenza. Fa quasi sorridere per quanto è ridicola l’affermazione che il personale che stava lavorando abbia provato ansia e paura a causa nostra», fanno sapere dal collettivo Ludus che ci tiene anche a dissociarsi dalla scritta “Orsini nelle foibe” apparsa il giorno successivo alla protesta su un muro vicino alla scuola.
«Senza voler entrare nel merito dell’ultima protesta, riteniamo ultroneo e non appropriato invocare quale soluzione al disagio così manifestato forme di punizione che nulla hanno a che vedere con un approccio educativo costruttivo», scrivono ancora i genitori alla preside. Parole che fanno riflettere non solo sul significato che la scuola dovrebbe avere. Ma anche sul perché la dirigente scolastica abbia scelto di chiamare le forze dell’ordine.
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