Alle trentotto partite di campionato, il Manchester City deve aggiungerne altre due da giocare in tribunale. Sono partite legali contro la Premier League, l’istituzione che tiene insieme i 20 club dell’élite inglese, da cui è stato accusato di aver violato 115 volte le norme finanziarie che regolano l’equità della competizione, e in un secondo caso di aver tentato di farsi sponsorizzare da marchi e aziende riconducibili all'Abu Dhabi United Group del principe emiratino Mansur bin Zayd Al Nahyan.

La pratica è lecita entro una certa soglia, quando l’accordo commerciale resta cioè dentro un perimetro di valutazioni coerenti con il resto del mercato. Nel caso del Manchester c’era qualche dubbio.

Ora questa seconda partita è giunta al termine, in attesa che si chiuda la prima, più importante. Un primo round giocato su una questione procedurale. Il tribunale arbitrale è intervenuto sul ricorso del club contro quelle norme della Lega che avevano bloccato due delle cosiddette Associated Party Transactions (APT), gli accordi tra società e parti correlate, riformulando dunque il giusto valore di mercato delle transazioni stipulate dal City con First Abu Dhabi Bank e Etihad Aviation Group.

Il tribunale ritiene che la Lega abbia preso delle decisioni in modo proceduralmente ingiusto, violando la legge sulla concorrenza del Regno Unito. Al tempo stesso ha affermato che, se la sponsorizzazione associata non fosse stata data al giusto valore di mercato, la concorrenza sarebbe stata distorta poiché il club avrebbe beneficiato di un sussidio, lasciando quindi intatto il corpo regolamentare.

La nota del Manchester City afferma che «sia le regole APT originali sia le attuali regole modificate violano la legge sulla concorrenza e violano i requisiti di correttezza procedurale». Quella della Premier League, invece, che «il tribunale ha identificato un piccolo numero di elementi delle norme che, nella loro forma attuale, non sono conformi ai requisiti di concorrenza e di diritto pubblico, questi elementi possono essere rapidamente ed efficacemente risolti dalla Lega e dai club».

Hanno tutti ragione

«Le regole APT sono state introdotte nel dicembre 2021 per gestire le transazioni tra club e parti correlate, con l’obiettivo di garantire la valutazione a “Fair Market Value” – FMV – delle transazioni per evitare distorsioni economiche. Tali regole sono state emendate nel febbraio 2024, suscitando ulteriori contestazioni da parte dei club inglesi. Il City ha sostenuto che queste e le relative decisioni della Lega violassero il Competition Act del 1998 – sezioni 2 e 18 – e i principi di equità procedurale. Contestando anche il processo di valutazione e la durata del tempo impiegato per le valutazioni delle transazioni da parte della Lega», afferma Federico Venturi Ferriolo, Partner Head of Sports presso LCA Studio Legale, di Milano.

Il procedimento è iniziato il 24 gennaio 2024, con la nomina di un tribunale arbitrale composto da tre arbitri. È stato discusso un ampio numero di questioni, tra cui la definizione di FMV e le modalità di applicazione delle nuove regole APT. Regole che mirano a impedire ai club di beneficiare di accordi commerciali sopra il valore di mercato, con l’obiettivo di mantenere l’integrità e la sostenibilità finanziaria della Premier League.

Tuttavia, il Manchester City contestava la trasparenza e l’accesso ai dati utilizzati nel processo di valutazione. Una disputa che, al di là del caso specifico, riflette le tensioni tra i club e l’autorità regolatrice su come assicurare un’equa competizione economica tra le squadre.

«Sebbene il Manchester City abbia ottenuto alcune vittorie nelle sue contestazioni, il tribunale ha principalmente sostenuto la posizione della Premier League, riconoscendo la necessità di queste regole per mantenere l’integrità finanziaria del campionato. Le modifiche proposte dal tribunale saranno fondamentali per migliorare la trasparenza e la giustizia procedurale del sistema di controllo finanziario della Premier League, mentre continuerà a monitorare le finanze dei club per garantire una competizione leale.

Questa decisione rappresenta un equilibrio tra la necessità di regolamentare rigorosamente le finanze delle società e la salvaguardia dell’autonomia negoziale delle stesse, assicurando che tutte le parti siano trattate equamente in un contesto altamente competitivo come quello della Premier League», chiosa l’avvocato Ferriolo.

Il City è di proprietà del City Football Group Ltd, azienda multinazionale britannica nel campo dell’intrattenimento sportivo. Fondato nel 2013 su iniziativa di Abu Dhabi United Group, la holding che all’epoca deteneva la proprietà diretta del club inglese, dal 2022 posseduta dalla società emiratina Newton Investment and Development, la quale ne detiene l’80,84%; con la statunitense Silver Lake Partners (18,16%), China Media Capital e CITIC Capital (1%) quali azionisti di minoranza.

Ideato dal politico emiratino Khaldun al-Mubarak insieme con il socio Manṣūr bin Zāyed Āl Nahyān, ha sede legale a Manchester e il direttore responsabile dell’area sportiva è l’ex calciatore inglese Brian Marwood. Il gruppo detiene il controllo azionario di dodici squadre e una stretta collaborazione con altre quattro. Un gruppo privato facilmente riconducibile alla famiglia regnante degli Emirati Arabi Uniti.

Non solo Manchester

La pronuncia del tribunale arbitrale non riguarda solamente il Manchester City ma anche altri club inglesi. Secondo questa, infatti, significa che i prestiti dei proprietari devono essere soggetti allo stesso tipo di regole sul valore corretto – Fair Market Value – degli accordi di sponsorizzazione. E questa è una cattiva notizia per le società che si affidano a prestiti favorevoli per spendere oltre quanto il loro fatturato consentirebbe. Un esempio? Il Chelsea: sarà più difficile sborsare un miliardo per i giocatori se ciò che può entrare nel club come prestito è soggetto a regole restrittive.

Dopo questa pronuncia, la quale ha spazzato via qualsiasi accusa di razzismo nei confronti della Premier League, stabilendo che nelle regole ATP non vi è alcuna discriminazione nei confronti dei club di proprietà araba, ci sarà da affrontare il processo più importante, quello in cui la Lega contesta al City 115 violazioni dei regolamenti finanziari; con la prima in oggettiva posizione di vantaggio.

Violazioni simili a quelle per le quali nel 2020 il club era stato squalificato due anni dalle competizioni UEFA, pena poi cancellata dal Tribunale arbitrale dello sport di Losanna. Secondo l’accusa il City violava i regolamenti finanziari della UEFA e della Premier League in due modi: facendo passare parte degli investimenti della proprietà come sponsorizzazioni di società terze, ma in realtà legate alla famiglia regnante degli Emirati Arabi Uniti; pagando più di quanto dichiarato allenatori e giocatori, aggiungendo allo stipendio ufficiale compensi per consulenze e sponsorizzazioni personali, sempre provenienti da società emiratine. Aumentando i ricavi e diminuendo le spese iscritte a bilancio. Il club si è difeso affermando che la proprietà è di un fondo privato e non riconducibile al governo degli Emirati Arabi Uniti, quindi i soldi sarebbero arrivati da società indipendenti.

Nella scorsa stagione la Premier League ha sanzionato Everton e Nottingham Forest per violazioni delle regole finanziarie, togliendo rispettivamente otto e quattro punti in classifica, mentre il Leicester City aveva vinto in appello un processo simile. L’ultima mossa del Manchester City è stata crudele. Ha alzato la posta nella sua battaglia, scrivendo agli altri 19 club per accusare la Premier League di «averli tratti in inganno». 

Cosa rischia il City? Al momento la forbice oscilla da multe in denaro all’espulsione dalla Premier League, con nel mezzo una penalizzazione che potrebbe farlo retrocedere nell’attuale campionato.

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