Dimmi cosa mangiano i tuoi alunni e ti dirò che scuola sei. Nei giorni scorsi i controlli dei carabinieri Nas hanno rivelato che una mensa scolastica su quattro è irregolare. Su oltre 700 scuole ispezionate in tutto il territorio italiano, circa 170 hanno presentato problematiche che spaziano da carenze igienico-strutturali e autorizzative a mancanze qualitative e quantitative, fino a problemi nella tracciabilità degli alimenti e nella segnalazione degli allergeni.

Le ispezioni, destinate a proseguire per tutto l'anno scolastico, evidenziano un problema di fondo: il servizio di refezione scolastica, pur avendo un’importanza sociale cruciale, risulta troppo eterogeneo.

Il valore del cibo a scuola

Secondo l’ultimo report di Cittadinanzattiva, il servizio mensa costa circa 760 euro l’anno a bambino, un importo che diventa di anno in anno più oneroso. La gestione di norma è affidata al Comune, che può occuparsi direttamente del servizio con il proprio personale o darlo in appalto a ditte di ristorazione private. La seconda opzione è la più diffusa, ma esiste anche la possibilità che la scuola non garantisca proprio il servizio, una situazione che si verifica soprattutto al Sud.

Le conseguenze sono rilevanti, sia in termini economici per le famiglie, sia sul piano educativo e didattico. La mensa può infatti migliorare le possibilità di apprendimento degli studenti, permettendo lo studio pomeridiano e contribuendo a contrastare il fenomeno della dispersione scolastica.

«La mensa scolastica rappresenta un essenziale strumento educativo e di socializzazione, oltre che di promozione di sani stili di vita: è per questo che è un servizio fondamentale per tutti i minorenni. Allo stesso tempo è un importante mezzo di contrasto alle condizioni di povertà materiale e svantaggio socioeconomico», sottolinea Carla Garlatti, autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. «In Italia però, come emerge dagli ultimi dati di Legambiente, il servizio di refezione non funziona allo stesso modo in tutte le regioni».

Inoltre, le recenti denunce dei Nas confermano che non tutti i servizi sono di qualità. Per questo, secondo l’autorità garante, «è necessario da un lato incrementare i controlli, dall’altro sostenere con adeguate risorse le amministrazioni che non riescono ad assicurare una refezione di qualità».

Mense del nord, mense del sud

Le mense scolastiche dovrebbero infatti essere un presidio contro la povertà educativa e alimentare. Secondo i dati pubblicati questo mese da Save the Children ed elaborati dall’Istat, in Italia ci sono 1,295 milioni di minori in povertà assoluta, pari al 13,8 per cento della popolazione minorile: una cifra equivalente a tutta la popolazione di Milano.

Per molti di loro il servizio di refezione garantisce l’unico pasto sano, nutriente ed equilibrato della giornata. La presenza della mensa, inoltre, facilita il potenziamento del tempo pieno, una misura che permette a entrambi i genitori di lavorare. Nonostante questo l’offerta alimentare scolastica continua a non essere riconosciuta come servizio pubblico essenziale.

Il divario territoriale è evidente. Come rilevato da Cittadinanzattiva, nelle regioni del Sud solo il 22 per cento delle scuole possiede una mensa, nelle Isole appena il 21 per cento. La quota si abbassa ulteriormente in Campania (15,6 per cento) e in Sicilia (13,7 per cento). Al Centro e al Nord, invece, la percentuale delle mense scolastiche è decisamente più alta: rispettivamente il 41 per cento e il 43 per cento. La regione con il maggior numero di mense è la Valle d'Aosta (72 per cento), seguita da Piemonte, Toscana e Liguria.

Una disparità confermata anche dall’ultimo report dell’associazione Foodinsider, risalente a questo novembre, secondo il quale nel Meridione le poche mense esistenti presentano inoltre un’offerta qualitativa peggiore.

Una carenza in netto contrasto con l’importanza del settore, riconosciuta dagli stessi cittadini. Per l'86 per cento delle famiglie, secondo il Dossier sul valore sociale delle mense scolastiche e del tempo pieno commissionato dall’Osservatorio ristorazione collettiva e nutrizione (Oricon), la mensa scolastica svolge una funzione sociale, educativa e di socializzazione fondamentale: può ridurre i divari economico-sociali in materia di alimentazione e consentire a entrambi i genitori di conciliare lavoro e cura familiare.

Un tema particolarmente importante se si considera che il mondo del lavoro è il luogo privilegiato per mettere in pratica la parità di genere. La ricerca di Oricon conferma inoltre che nelle aree dove il servizio mensa è assente si registrano livelli di apprendimento più bassi ed un alto tasso di abbandono scolastico.

La speranza del Pnrr

Per affrontare queste criticità, il 29 luglio è stato pubblicato il “Piano di estensione del tempo pieno e mense”, un avviso pubblico che si inserisce nell’ambito del Pnrr, per potenziare l’offerta dei servizi di istruzione. La linea di investimento prevede la messa a disposizione di fondi per 515,4 milioni di euro, di cui il 40 per cento per il Sud.

L’obiettivo è la costruzione di nuove cucine interne alle scuole per le mense e la riqualificazione di quelle esistenti da parte dei Comuni. Si tratta di un’opportunità anche per quelle aree dove le amministrazioni, prive di cucine, dipendono dai fornitori, spesso concentrati nelle mani di pochi attori. Tuttavia la disponibilità di gran parte di queste nuove o rinnovate mense si avrà solo a partire dal secondo semestre del 2026.
Nel frattempo la gestione per appalti e la crisi economica continuano ad avere un impatto sui bambini. Come sottolineato al “Summit della ristorazione collettiva” organizzato da Cirfood il 16 ottobre, il settore soffre di una «insostenibilità economica», per usare le parole di Carlo Scarciotti, presidente di Oricon.

Per questo gli operatori hanno chiesto di rivedere le basi d’asta e aprire un tavolo di confronto con i ministeri. Un primo passo per risolvere le difficoltà economiche di un settore che, come sottolineato dal garante, ha bisogno anche del sostegno delle amministrazioni.

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