In molte discipline olimpiche, gli allenatori non hanno un sindacato, né tutele. Eppure la scuola italiana è guardata con ammirazione in tutto il mondo: vale per il nuoto, l'atletica, la scherma. Nominiamoli, citiamoli, riconosciamo più spesso l'ottimo lavoro che svolgono
Si parla sempre degli atleti, com’è giusto che sia, ma troppo poco degli allenatori. È una categoria tanto fondamentale quanto delicata in alcune discipline. Cosa intendiamo con il termine delicato? Basta un esempio.
Nel calcio c’è l’Assoallenatori, quindi c’è una categoria con garanzie per tutti i suoi iscritti. In molte delle discipline olimpiche, invece, gli allenatori non hanno una associazione di riferimento, un sindacato. Questo vuol dire mancanza di serietà? No, indica soprattutto una mancanze di tutela, di diritti.
Perché sulla serietà, c’è poco da discutere. In questo preciso momento storico la scuola tecnica italiana è guardata con ammirazione da più parti del mondo.
Scuola italiana
Un tempo il sogno di molti atleti italiani era quello di andare all’estero per farsi seguire dagli allenatori migliori. Adesso il percorso è inverso, campioni internazionali bussano alle porte dei tecnici italiani: possiamo allenarci con voi?
I tecnici italiani hanno dimostrato di essere aperti mentalmente, si evolvono, studiano, sperimentano, dal nuoto all’atletica passando per la scherma.
A proposito della scherma, sentiamo spesso dire in questi giorni la frase: l’Italia azzurra vince meno di una volta. Verissimo. Ma una volta c’erano sempre le stesse dieci-dodici nazioni. Adesso la geografia di tutti gli sport è cambiata, i confini si sono allargati. Un processo di globalizzazione che è anche merito anche dei tecnici italiani: molti hanno risposto agli inviti delle varie Federazioni mondiali per tenere corsi e stage all’estero, per esportare il loro know-how dalla Tunisia alla Finlandia, fino alla Cina.
Due esempi
Oltre agli allenatori più noti, valgono due esempi.
Nell’atletica, a Padova, Marco Aireale allena una decina di atleti, un quarto dei velocisti della nazionale britannica, da Jeremiah Azu a Daryll Neita, in aggiunta al giamaicano Omar McLeod, oro di Rio 2016 nei 100 ostacoli.
La città di Livorno nel nuoto è diventata la capitale dei misti, grazie al lavoro di Stefano Franceschi che allena tra gli altri Alberto Razzetti, protagonista di ben tre finali olimpiche (200 farfalla, 200 e 400 misti) nella piscina di Parigi, La Defénse Arena. Franceschi ospita e allena anche atleti stranieri, avversari degli stessi azzurri, come il britannico Max Litchfield.
Prendiamolo come proposito, non solo da parte di noi addetti ai lavori: nominiamo più spesso gli allenatori. Non è tanto una gratificazione per loro, bensì una considerazione per il grande lavoro che svolte la scuola tecnica italiana.
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