Il processo per la morte di Giulio Regeni, lo studente ritrovato ucciso in Egitto il 3 febbraio del 2016, è stato sospeso il 14 ottobre del 2021. Al termine della prima udienza, nell’aula bunker di Rebibbia, i giudici hanno deciso che è necessaria una nuova decisione del giudice per l’udienza preliminari sulla notifica delle accuse agli imputati.

Secondo i loro legali, infatti, i tre membri dei servizi segreti e l’agente della polizia giudiziaria egiziani accusati di aver torturato e ucciso il ricercatore friulano potrebbero non essere a conoscenza di quanto viene loro imputato a Roma.

L’udienza

Dopo sette ore in camera di consiglio, la Corte d’assise ha deciso che il processo non può andare avanti senza la conferma dell’avvenuta notifica al generale Sabir Tariq e ai colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif dell’esistenza del processo a loro carico. I quattro agenti sono accusati di sequestro di persona. Sharif è anche accusato di lesioni e concorso in omicidio di Regeni. 

«L'acclarata inerzia dello stato egiziano a fronte di tali richieste del ministero della Giustizia italiano, certamente pervenute presso l'omologa autorità egiziana, seguite da reiterati solleciti per via giudiziaria e diplomatica nonché da appelli di risonanza internazionale, effettuato dalle massime autorità dello Stato italiano, ha determinato l'impossibilità di notificare agli imputati», hanno detto i giudici. 

Si dovrà ora tornare di fronte al gup, per procedere a una nuova rogatoria per notificare gli atti ed eventualmente disporre un nuovo giudizio. 

Il procuratore aggiunto, Sergio Colaiocco, durante il suo intervento di giovedì aveva ricordato che gli imputati hanno il diritto ad avere tutte le notifiche del processo, ma anche il dovere di eleggere il proprio domicilio: «Abbiamo fatto quanto umanamente possibile. Credo che le notifiche siano corrette e che l’Italia abbia fatto di tutto». 

La famiglia Regeni ha definito la decisione della corte presieduta da Antonella Capri un premio «per l’ostruzionismo, l’arroganza e la prepotenza egiziana». 

«È solo una battuta d’arresto, non ci siamo fatti fermare in questi cinque anni e mezzo e non ci arrenderemo certo ora», hanno detto i genitori del dottorando. 

Il processo 

Quella di giovedì, senza gli imputati in aula, è stata la prima udienza del processo, ora sospeso in attesa di una nuova decisione da parte del giudice dell’udienza preliminare. 

I quattro agenti di sicurezza erano stati rinviati a giudizio dal gup, Pierluigi Balestrieri, il 25 maggio del 2021. Balestrieri aveva respinto l’eccezione presentata dalla difesa sull’irreperibiltà degli imputati. 

Prima dell’udienza preliminare, era stato diffuso su Youtube un documentario di 50 minuti, intitolato “The story of Regeni” nel quale il ricercatore veniva presentato come una pedina dei Fratelli musulmani.

La posizione del governo

Il governo italiano ha scelto di costituirsi parte civile nel procedimento contro i quattro agenti egiziani.

Nelle settimane successive alla chiusura delle indagini da parte della procura di Roma, è emersa la notizia della consegna di due fregate all’Egitto. La vendita delle navi dal governo Conte bis al regime di al-Sisi era stata approvata all’unanimità dal Consiglio dei ministri nell’estate del 2020. 

I genitori del ricercatore, Paola Deffendi e Claudio Regeni, hanno presentato un esposto contro il governo per la violazione della legge 185/90 che regola l’export di armi italiane. 

Le indagini

Le indagini sulla morte di Regeni si sono chiuse a dicembre del 2020, dopo quasi cinque anni. Due fonti hanno riferito ai magistrati Michele Prestipino e Sergio Colaiocco di aver visto Regeni detenuto e torturato da agenti dei servizi egiziani, nel palazzo chiamato “Lazoughly” che sarebbe una sede della National Security, che si trova all’interno del ministero dell’Interno.

Uno dei testimoni ha descritto la condizione del ricercatore dopo alcuni giorni di detenzione: «Lui era mezzo nudo: nella parte superiore portava dei segni di torture e stava blaterando parole nella sua lingua, delirava. Era un ragazzo magro, molto magro...era sdraiato steso per terra con il viso riverso...l’ho visto ammanettato con delle manette che lo costringevano a terra».

I testimoni hanno spiegato che il luogo di detenzione di Regeni era una villa dove vengono portati gli stranieri sospettati di aver tramato contro la sicurezza nazionale. Hanno anche identificato il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif come esecutore materiale dell’omicidio del ricercatore.

Secondo la ricostruzione dei magistrati, Regeni sarebbe stato arrestato il 25 gennaio, giorno dell’anniversario delle proteste di piazza Tahrir, e portato a Lazoughly. Si trovava ancora detenuto lì il 28 o 29 gennaio, quando uno dei due testimoni lo ha visto. Il suo cadavere mutilato è stato poi trovato senza vita il 3 febbraio, in un fosso ai lati di Desert Road, la strada che collega Alessandria con il Cairo.

Anche le autorità egiziane hanno comunicato a dicembre la chiusura ufficiale delle indagini sulla morte di Regeni. Il procuratore generale ha annunciato di non voler aprire un processo ed escluso responsabilità dei quattro agenti indagati a Roma. 

I depistaggi egiziani 

Quando il 3 febbraio 2016 è stato ritrovato il corpo di Regeni, l’allora ministra dello Sviluppo economico, Federica Guidi, era al Cairo in visita ufficiale. La visita è stata interrotta, Guidi ha incontrato i genitori del ricercatore in ambasciata ed è poi rientrata in Italia.

La versione inizialmente fornita dalle autorità egiziane sulla morte di Regeni è stata quella di un incidente stradale, poi quella di una rapina finita male.

Nell’aprile del 2016, il governo Renzi ha deciso di ritirare l’ambasciatore italiano dall’Egitto, ma nell’agosto del 2017 il governo Gentiloni ha ripristinato completamente i rapporti con l’Egitto di al-Sisi. L’allora minsitro degli Esteri, Angelino Alfano, ha difeso la scelta del governo dicendo che per l’Italia «l’Egitto è un partner ineludibile». 

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