Esulta l’Usb: «Vincono i lavoratori e la democrazia». Da quando è ministro, il leader leghista ha provato a bloccare o limitare sette mobilitazioni, più di chi lo ha preceduto. I dati sbugiardano la propaganda della destra: da quando Meloni è al governo le agitazioni non sono aumentate
Più che ministro delle Infrastrutture e dei trasporti lo si dovrebbe rinominare «ministro della precettazione». Perché da quando è in carica questo governo, Matteo Salvini – invece di risolvere il problema dei treni in perenne ritardo o dei taxi che mancano – sembra impegnato in una sua battaglia personale: bloccare gli scioperi. Ma c’è un giudice a Roma. Il Tar del Lazio ha infatti annullato l’ordinanza che riduceva da 24 a 4 ore la mobilitazione del 13 dicembre indetta dai sindacati di base. Esulta l’Usb: «Vincono i lavoratori e vince la democrazia».
Per garantire «il diritto alla vita tranquilla della stragrande maggioranza degli italiani», come ha ribadito solo qualche giorno fa, il leader leghista usa spesso e con disinvoltura un’arma a sua disposizione – la precettazione appunto – pensata come estrema ratio per bilanciare diritti costituzionalmente garantiti.
Lo ha fatto per ben sette volte in poco più di un anno, superando i suoi predecessori, e nel 2023 è stato il primo ministro nella storia italiana a bloccare o limitare uno sciopero generale, cosa che ha replicato anche nel 2024. E spesso in totale autonomia, come nel caso del 13 dicembre, senza alcuna pronuncia da parte della Commissione di garanzia.
Il Tar annulla la precettazione
Il senso dello sciopero è quello di creare disagi e dare fastidio, altrimenti che agitazione sarebbe? Ma per «non bloccare l’Italia intera a dieci giorni dal Natale», Salvini aveva firmato un’ordinanza per limitare di un sesto la durata dello sciopero del 13 dicembre nel settore di propria competenza. Ma dopo l’intervento del tribunale amministrativo, che ha annullato la precettazione del ministro, l’agitazione durerà un giorno intero anche per i trasporti, dalle 21 del 12 dicembre fino alla stessa ora del 13. E il leader leghista, come da copione, ha attaccato la magistratura: «Grazie al Tar ci sarà il caos. Abbiamo fatto tutto il possibile per difendere il diritto alla mobilità degli italiani. Per l'ennesimo venerdì di caos e disagi, i cittadini potranno ringraziare un giudice».
Il Tar del Lazio sottolinea che non emergono «quelle ragioni che, in assenza della segnalazione della predetta Commissione (di garanzia, ndr) possano sorreggere la disposta precettazione. I richiamati disagi discendenti dallo sciopero – continuano i giudici amministrativi – appaiono riconducibili all’effetto fisiologico proprio di tale forma di astensione dal lavoro, né emergono le motivazioni in base alle quali i disagi eccederebbero tale carattere, tenuto conto della vincolante presenza di fasce orarie di garanzia».
Questa volta vincono i sindacati. Gli stessi che negli scorsi giorni erano stati ricevuti dal ministro e che, anche dopo la firma dell’ordinanza, avevano confermato di voler tirare dritto definendo «illegittima» la precettazione di Salvini. Ora anche i giudici gli danno ragione, così com’era successo lo scorso 28 marzo, quando sempre il Tar del Lazio si era pronunciato contro la misura per limitare lo sciopero nazionale del trasporto pubblico locale indetto per la giornata del 15 dicembre 2023.
Sette precettazioni in poco più di un anno
Negli scorsi mesi il leader leghista ha ripetuto più volte che quello allo sciopero è un diritto «sacrosanto», che però spesso «nega il diritto di vivere, di curarsi e di lavorare». E poi: «Non penso sia utile andare avanti di scontro in scontro, di precettazione in precettazione». Peccato che praticamente ogni mese Salvini agita l’arma dello stop agli scioperi, strumento che a volte usa e altre no.
Dal settembre del 2023 sono stati sette gli scioperi precettati: la prima volta il 29 settembre dello scorso anno, poi il 17 e il 27 novembre, il 19 e il 20 maggio del 2024, fino ad arrivare alla scorsa mobilitazione generale del 29 novembre e a quella – ora annullata dal Tar – del 13 dicembre. Ormai è diventato un rituale, una certezza.
Nessuno più di lui, nessuno prima di lui. Il leader leghista è stato il primo ministro ad aver precettato uno sciopero generale, nel 2023. In quel caso si era espressa la Commissione di garanzia – nata nel 1990, nello stesso anno in cui è stata introdotta la precettazione – che aveva negato la natura «generale» di quell’agitazione, e con lei le deroghe speciali di cui avrebbe dovuto godere, e Salvini aveva ridotto lo sciopero dei trasporti da 8 a 4 ore. Il segretario della Cgil Maurizio Landini – oltre a criticare il garante di «forzare la mano» (le critiche non sarebbero finite lì) – aveva poi deciso insieme alla Uil di limitare la durata della mobilitazione. Ma lo scontro tra i sindacati e il governo (e Salvini in particolare) non si è mai fermato.
Più scioperi con il governo Meloni? Falso
Qualche giorno fa dalla Brianza Salvini ha annunciato di voler mettere mano una volta per tutte «alle regole sugli scioperi. Sarà opportuno rivedere la normativa». Lo ha fatto usando un’argomentazione che torna spesso nei discorsi suoi e di componenti della maggioranza: da quando si è insediato il governo Meloni – è il senso del suo ragionamento – gli scioperi sono aumentati, segno che i sindacati se la prendono di più con il centrodestra rispetto agli esecutivi precedenti. Ma è davvero così? La risosta è semplice: no.
Ne abbiamo già scritto su questo giornale. I numeri del centro studi della Camera dei deputati mettono in chiaro un elemento: il numero degli scioperi proclamati lo scorso anno, il primo con Meloni a Palazzo Chigi, è inferiore rispetto a quasi tutti i predecessori.
Nel 2023 ci sono stati 1.129 agitazioni (da interpretare come le mobilitazioni effettuate, non i singoli giorni interessati). Quando a Palazzo Chigi c’era Paolo Gentiloni del Pd – di un partito teoricamente più «amico» dei sindacati – gli scioperi sono stati 1.616, quasi 500 in più del governo Meloni. Con Renzi sono stati 1.488, nel 2020 – con il Conte II – ce ne sono stati 894. Ma in quell’anno per molti mesi tutta l’Italia è stata chiusa in casa per il Covid. Nel 2018 e nel 2019 lo studio di Montecitorio ha contato rispettivamente 1.384 e 1.462 scioperi.
E nel trasporto pubblico locale, il settore interessato dalle precettazioni di Salvini? Stessa cosa. Nel 2016 ce ne sono stati 250, 318 nel 2017. Lo scorso anno, invece, se ne contano 245, stesso livello dei governi Conte. E anche il dettaglio delle giornate per i singoli settori vanno nella stessa direzione.
I numeri sbugiardano la propaganda del governo e di Salvini. E ora il Tar, per la seconda volta in pochi mesi, dà ragione ai sindacati: la precettazione non può essere un’arma politica da usare a proprio piacimento.
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