Il dibattito che si è generato intorno alla revisione delle Indicazioni nazionali, innescato dalla bozza di documento che il ministero dell’istruzione e del merito ha pubblicato l’11 marzo scorso, sta diventando tanto ricco quanto interessante.

Il ministero ha messo a disposizione un questionario da compilare entro il 10 aprile, prima redatto in modo che sembrava possibile solo ricevere reazioni positive, rivisto in un secondo tempo per dare la possibilità di pareri più articolati.

Ma le prese di posizione delle varie realtà educative, associazioni e anche riviste, gruppi formali e informali di docenti e esperti di didattica, di pedagogia, o anche semplici insegnanti e persone che si occupano di educazione a vario titolo, sono state finora quasi uniformemente critiche, con giudizi che vanno dallo scettico allo sprezzante all’allarmato.

È significativo però come anche in molte delle valutazioni più dure, ci sia la richiesta di un confronto che magari parta proprio dai princìpi opposti a quelli che informano la bozza.

Diamo comunque una panoramica dei pareri delle varie associazioni.

L’Associazione italiana dislessia (Aid Italia) sottolinea come si siano dimenticati alcuni capisaldi dell’innovazione didattica degli ultimi anni – l’apprendimento metafonologico per tutti – mentre si sarebbe tornati a un’idea di scrittura superata dalle Indicazioni nazionali del 2012, con il recupero e il rilievo dato al corsivo e alla scrittura manuale: «Questa enfasi sulla scrittura manuale e in modo particolare sull’uso del corsivo, porterà alla necessità di una certificazione diagnostica per permettere ai bambini che presentano difficoltà nell’area grafo-motoria o disgrafia di non scrivere in corsivo?».

Anche l’Associazione degli italianisti (l’Adi) ha pubblicato un’analisi critica, articolata sul merito ma anche sulla forma della bozza delle indicazioni nazionali in cui si evidenzia la consistente confusione concettuale e terminologica soprattutto della parte dedicata all’italiano, per trarre poi anche una serie di conclusioni pedagogiche: «Una scuola così oscillante e possibilista finisce per diventare una scuola fotografia dell’esistente, che conferma le disparità sociali e l’impoverimento culturale, nutre anziché riequilibrare la diversità tra discenti e riduce se non annulla le opportunità di riscatto sociale; lo studente che frequenta una secondaria inferiore collocata in una zona privilegiata da un punto di vista culturale saprà ancora chi sono Omero, Virgilio, Manzoni, ecc., avrà letto alcuni testi della nostra tradizione e della grande tradizione internazionale e potrà dunque affrontare i gradi scolastici successivi partendo da una base di cultura generale che gli permetterà di approdare anche agli studi universitari; lo studente che invece cresce in un ambiente meno stimolante dal punto di vista culturale, o in un contesto disagiato, conoscerà soprattutto i manga, i fumetti, le graphic novel e avrà di conseguenza meno strumenti non solo per affrontare i gradi scolastici superiori, ma la sua stessa esistenza. Lo diciamo senza alcun disprezzo per i generi suddetti, ma con la consapevolezza che la scuola ha una funzione formativa che non può limitarsi a intercettare le spontanee inclinazioni dei discenti, ma che deve porsi l’obiettivo di formare tutti, con le stesse possibilità, a riflettere e comprendere, in un percorso comune, unitario, solidale».

Per l’Associazione italiana di ricerca in didattica della matematica (Airdm): le nuove indicazioni nazionali, pur dichiarando di essere in continuità con le precedenti, delle quali mantengono gran parte dei nuclei fondanti e degli obiettivi, lo fanno tuttavia in modo da cambiarne la filosofia di fondo.

L’Associazione nazionale dei dirigenti scolastici (Andis) critica sia il merito che il metodo delle Nuove indicazioni nazionali, perché «non garantiscono una reale e piena partecipazione delle Istituzioni scolastiche» e propone almeno di prorogare i tempi di compilazione del questionario al 30 giugno 2025, consentendo un più ampio coinvolgimento dei collegi docenti; ampliare le opzioni di risposta, aggiungendo la voce “altro” per consentire alle scuole di esprimere osservazioni e proposte; aumentare a 8.000 caratteri lo spazio disponibile per rispondere alle domande del questionario.

In un comunicato congiunto anche l’Associazione nazionale dirigenti scolastici (Andis), il Centro iniziativa democratica insegnanti (Cidi), Legambiente Scuola Formazione, Movimento cooperazione educativa, Proteo Fare Sapere scrivono: «In generale, a una prima lettura le associazioni firmatarie evidenziano gravi criticità riferibili all’abbandono del paradigma culturale della complessità e di un modello democratico, laico, critico di scuola in favore di un paradigma chiuso e dogmatico, che genera una visione etnocentrica, in un’ottica difensiva rispetto a un mondo globale e interconnesso. Da questa visione derivano un’idea di appartenenza alla comunità scolastica e civile che enfatizza l’occidentalismo e il concetto di identità nazionale con la riproposizione di un modello di storia identitario, trascurando lo sviluppo di uno spirito critico e la funzione delle fonti».

Il Cesp (Centro per la scuola pubblica) ha elaborato una simile disamina critica con rilievi ancora più pesanti, focalizzandosi anche sull’ideologia personalista della bozza e delle politiche ministeriali in generale e propone essenzialmente di boicottare la consultazione: «In conclusione le Nuove Indicazioni nazionali sono un testo fortemente etnocentrico, che tende alla prescrittività dei contenuti, che non si preoccupa delle differenze sociali, culturali e di genere. Promuove invece un’idea di libertà come semplice accettazione delle regole, che dimentica la dimensione relazionale del sapere e dell’apprendimento, che rappresenta una chiusura a tutto ciò che si ispira al dialogo inter-culturale e al pensiero critico. Il carattere globale della composizione delle nostre classi viene mortificato con un curricolo asfittico di apologhi risorgimentali e dell’antica Roma e di richiami alla superiorità dell’Occidente e dell’identità cristiana. Una tale massa di contraddizioni e aspetti regressivi non permette un atteggiamento emendativo, poiché la correzione di qualche passaggio o paragrafo non potrebbe rendere accettabile il testo».

Per il Cidi è di fatto incomprensibile e inaccettabile il rovesciamento del paradigma della complessità e il ritorno della linearità e sequenzialità dei contenuti disciplinari, elencati come in indici manualistici e con toni prescrittivi: l’ormai proverbiale “testa ben fatta” di Edgar Morin cede di nuovo il passo alla testa ben piena di precise conoscenze, sebbene nella premessa si raccomandi il criterio del non multa sed multum. Del resto, quasi tutte le associazioni interpellate in audizione hanno fatto rilevare le incongruenze palesi tra parti del lunghissimo documento, dove si coglie qua e là il sovrapporsi di “mani” diverse e talora in contraddizione.

La Cisl scuola anche è molto critica sul metodo della consultazione che sembra inficiare anche ovviamente i rilievi sul merito: «Ancora una volta – come già accadde nel 2014-15 con la legge 107 – l’impressione è quella di una consultazione di facciata, priva in realtà di alcuna reale incidenza sugli esiti del lavoro in via di svolgimento. Una consultazione in cui, per osservazioni e proposte, non vi è alcuno spazio diverso da quello verso il quale “incanala” la formulazione dei quesiti».

I Cobas scuola sono anche loro allineati alla critica all’ideologia della bozza, non usano mezze misure e ritengono il modello di scuola proposto inaccettabile, sia da un punto di vista pedagogico che epistemico.

Per il 10 aprile il Coordinamento nazionale dei corsi di laurea di scienze della formazione primaria organizza un convegno dal titolo “Per un tempo di dialogo e di pensiero democratico, scientifico, interdisciplinare e interprofessionale”, in cui sarà presentato un documento sulle indicazioni nazionali. Sono previsti interventi di rappresentanti di diverse società scientifiche e associazioni professionali su temi legati alla didattica, alla pedagogia, alla storia, alla matematica, alla musica e all’infanzia. Fra i diversi interventi sono previsti quelli di: Centro Italiano per la Ricerca storico educativa (Cirse), Società italiana di didattica della storia (Sididast), Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica per tutti gli studenti (Mim), Associazione per la storia della lingua italiana, Commissione italiana per l’insegnamento della matematica (Ciim), Società italiana di pedagogia (Siped), Coordinamento docenti biologia presso Sfp, Gruppo nazionale nidi e infanzia. Parteciperanno anche il Movimento di cooperazione educativa, l’Associazione professionale Proteo Fare Sapere ed il Centro iniziativa democratica insegnanti (Cidi).

La Commissione italiana per l’insegnamento della matematica (Ciim) chiede di «chiarire o di mettere in rilievo alcuni aspetti rilevanti della matematica e della terminologia del documento». In particolare si evidenzia come «l’attuale formulazione crea una sovrapposizione o una non chiara correlazione tra obiettivi generali, competenze attese, obiettivi specifici e conoscenze. Il lessico utilizzato necessita di una chiarificazione utile alle scuole sia per definire il curricolo d’istituto sia per l’elaborazione degli strumenti di valutazione in itinere. L’aver tolto i traguardi e aver aggiunto le conoscenze ha dato alle indicazioni un taglio maggiormente prescrittivo in cui si individuano con difficoltà i margini di operatività e di autonomia delle scuole. Il rischio è l’appiattimento su un modello di valutazione esclusivamente sommativa centrata sulla misurazione delle conoscenze apprese.»

Il Coordinamento per la valutazione educativa (Cve) scrive che il testo delle nuove indicazioni presentano dal punto di vista valutativo «quattro fondamentali elementi: 1) rafforzamento del carattere contenutistico e prescrittivo degli obiettivi; 2) marginalizzazione dell'autovalutazione; 3) negazione della funzione formativa della valutazione; 4) affermazione di una visione autocratica, burocratica, riproduttiva e selettiva della valutazione». A ciascuno dei quattro punti viene dedicato un approfondimento e nelle conclusioni Cve segnala la «visione autoritaria e burocratica della valutazione che è decisamente agli antipodi rispetto a quella valutazione partecipata e autorevole che consente a docenti e studenti di vivere esperienze di insegnamento e apprendimento ricche e significative».

Durante l’incontro di Flc Cgil con la Commissione di studio del ministero, la segretaria generale Gianna Fracassi ha posto alcune considerazioni di metodo: «Il senso di queste linee guida è profondamente politico e deve entrare nel dibattito pubblico. L’unico obiettivo che ha il governo è quello di togliere di mezzo la visione della scuola costituzionale, della conoscenza come complessità e fare strame della ricerca pedagogica, per passare a un modello di istruzione culturalmente povero, ideologico, condito di autoritarismo e dogmatismo ma la scuola non è del governo in carica».

Molto critica anche sulla «consultazione farsa» delle scuole: «Per le scuole la scelta è stata di proporre un questionario a risposta chiusa, in cui non è possibile esprimere il dissenso rispetto ai contenuti, tra l’altro in tempi così stretti che minano la possibilità di una riflessione collegiale. Non c’è quindi la volontà politica di aprire un vero confronto con i docenti che vivono la scuola ogni giorno». Qui l’intervento di Gianna Fracassi.

Sul sito di Gessetti colorati, Maurizio Parodi scrive che «la sola, paradossale consolazione, derivante da una profonda conoscenza del nostro sistema scolastico, è data dalla speranza che le “Nuove Indicazioni” seguano il corso delle precedenti, incomparabilmente più evolute sotto il profilo, culturale, pedagogico, didattico, ovvero che restino lettera morta, sopraffatte dalla granitica autoreferenzialità della scuola reale. Va anche detto che di queste nuove indicazioni non vi era alcun bisogno, semmai si sarebbe dovuto cercare di rendere operative le precedenti, così come non vi è alcun bisogno di una nuova Costituzione, ma di dare piena applicazione alla vigente, giusto per fare un esempio non peregrino».

Il Giscel (il Gruppo d’Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica) ha deciso di non partecipare alle consultazioni al ministero, ma ha pubblicato sul suo sito un intervento pieno di riferimenti della linguista Maria Lo Duca che scrive una sorta di racconto di una prima lettura della bozza di indicazioni nazionali, in cui si mescolano analisi approfondite a reazioni di incredulità e d’indignazione soprattutto per la confusione del testo: «…Non mi addentrerò in questa selva intricata e confusa, che merita molto tempo e molta attenzione per essere analizzata. Trattandosi di poche pagine, invito gli interessati alla lettura diretta, e rimando il resto ad una prossima occasione. Tuttavia almeno alcune cose mi preme dirle.

Si conferma, e se possibile si aggrava, la confusione tra lingua e letteratura. Ad esempio tra le Conoscenze da raggiungere al termine della terza media, la voce Letteratura (pp. 42-43) – che occupa uno spazio lungo più del doppio rispetto allo spazio dedicato alla Lingua – si articola in una serie di indici come Scrivere; Studiare, esporre; Discernere; Usare la rete che poco o nulla hanno a che fare con la letteratura: come quando si dice che “è opportuno che gli studenti imparino a studiare, e che quindi qualche ora di lezione venga spesa in vista di questo obiettivo: come si prendono appunti?”, o “un ottimo esercizio, effettuato su testi sempre più complessi, è la riscrittura di testi scorretti, con riguardo all’ortografia, alla morfologia, alla sintassi e al lessico”, o “ragionare sull’attendibilità delle fonti, cioè imparare a distinguere le fonti attendibili da quelle che non lo sono”, o “una lezione utile è una visita alla biblioteca scolastica, o a quella del quartiere”: anche qui, cose sacrosante, ma che c’entrano con la letteratura?

E per quanto riguarda la letteratura in senso stretto, i suggerimenti sono contraddittori: prima, come si è visto, l’invito a privilegiare opere italiane (p. 36); poi (p. 40) si citano alcuni autori (ma stranamente ci si dimentica di un classico per l’infanzia come Gianni Rodari), poeti e romanzi italiani e stranieri; infine, per i più grandi (p. 42), l’ignoto estensore si lascia prendere dall’entusiasmo e suggerisce “i romanzi di Jules Verne, un po’ di buona fantascienza e di buon horror (Stephen King, per esempio, o Asimov), il fantasy di Harry Potter o le saghe di Percy Jackson". E aggiunge “inutile, in questo caso, creare un “canone italiano”, meglio scegliere i buoni libri anche e soprattutto dalle letterature straniere”. Allora qual è, in definitiva, l’indicazione cui attenersi?».

Alberto Sobrero, membro del Giscel, su Linguisticamente critica il metodo delle nuove indicazioni, perché «hanno già in troppe parti l’aspetto di un curriculo formale, cioè di un’integrazione preconfezionata fra obiettivi, contenuti e metodi». Ed elenca anche gli «altri problemi» che nascono «dal modo in cui vengono affrontati – se vengono affrontati – i principali punti di crisi delle singole discipline».

Il Gruppo nazionale Nidi e infanzia, in un comunicato congiunto con altre associazioni, denuncia «la pericolosa operazione di revisione della cultura democratica della Scuola e del Paese con una compressione delle prerogative democratiche per un autentico dibattito pubblico».

Per il Movimento di cooperazione educativa (Mce) ciò che occorre contrastare non è solo il contenuto anacronistico e regressivo del documento ma il tentativo di trasformarlo in “programma” andando a ledere sia la libertà di insegnamento sia l’autonomia scolastica.

Non una di meno Roma e Cattive Maestre scrivono in un post sui social perché dal loro punto di vista «il documento è inemendabile, va rigettato completamente. E ad alta voce». Questa una delle sottolineature più critiche in un documento che boccia totalmente le nuove indicazioni: «Forse ancora peggiore il passaggio in cui la violenza di genere viene definita una triste patologia! Una manciata di parole contro la marea di questi ultimi 10 anni, contro le piazze del 25 novembre di tutto il mondo: non solo viene banalizzato un fenomeno complesso come la violenza di genere, trattato come qualcosa che si può risolvere con l’educazione del cuore ma viene contraddetto ed eliminato il fatto che la violenza di genere in tutte le sue forme è sistemica e strutturale e riguarda – storicamente – tutti gli ambiti e gli aspetti della vita di tutt. D’altronde l’esaltazione dei sentimenti di “fiducia, empatia, tenerezza, incanto, gentilezza” e soprattutto dell’amore romantico come unico modello perseguibile e risolutivo contro ogni violenza, messo “al centro della propria felicità” ignora volutamente la profonda relazione tra amore e violenza».

L’associazione Non uno di meno in un comunicato, considerando che «la stragrande maggioranza dei rappresentanti auditi ha espresso critiche e forti riserve, chi sull’impianto, chi sugli assi portanti, chi su alcuni aspetti particolari delle Nuove Indicazioni» chiede «una moratoria del testo proposto e l'apertura di un'autentica fase di consultazione per una riscrittura partecipata e condivisa».

L’associazione di promozione sociale Scosse mette a confronto alcuni passaggi della bozza delle nuove indicazioni con le indicazioni nazionali del 2012. Nell’analisi si dedica un passaggio all’educazione sessuo-affettiva: «Rispetto all’educazione al genere e alle differenze (che compare solo una volta come educazione alle differenze di genere) e all’educazione sessuo-affettiva (mai esplicitamente nominata) emergono nel generale silenzio e nel grande peso riconosciuto già in apertura al patto di corresponsabilità con le famiglie, posizioni deboli, scivolose e pericolose in cui si legge tutto l’impianto ideologico reazionario, le interferenze cattoliche, l’istituzionalizzazione della cis-eteronormatività e dell’amore romantico e la negazione del carattere strutturale e culturale della violenza di genere».

La Società italiana di Didattica della storia (Sididast) è in linea con queste critiche all’arretratezza e al nazionalismo, e scrive in un suo documento che la bozza: «Sembra proporre una visione della storia italiana che enfatizza un passato glorioso e un Risorgimento eroico, escludendo importanti sviluppi storiografici recenti, come la storia ambientale, post-coloniale, di genere e globale. Questo approccio rischia di trasformare l’insegnamento della storia in uno strumento di costruzione dell’identità nazionale piuttosto che in un mezzo per sviluppare il pensiero critico degli studenti».

La Società italiana delle letterate (Sil) ha rilasciato un comunicato molto duro e pieno di preoccupazioni, anche qui evidenziandone l’arretramento e l’impostazione ideologica reazionaria e neonazionalista, perché – per esempio – «Si propone una visione della lingua legata all’identità nazionale, trascurandone la dimensione polifonica e plurale e ignorandone la varietà linguistica interna, che comprende dialetti, lingue di minoranza e diverse forme espressive. Una pluralità di voci e di registri che la scuola pubblica non può sacrificare in nome di una visione ideologica e astratta lontana dalla realtà della lingua italiana scritta e parlata oggi» e «viene trascurato il lavoro di ripensamento del canone letterario volto a valorizzare voci marginalizzate. Come Società italiana delle Letterate sappiamo che il concetto di tradizione dipende da chi utilizza la lingua come strumento d’enunciazione del proprio potere. Il lavoro più che decennale che abbiamo portato avanti su categorie quali l’oltrecanone e le personagge, ci ha condotte a importanti momenti di condivisione con le didattiche della e per la scuola, nel tentativo di rinnovare e trasformare i curricula scolastici dei vari ordini e gradi. Ci avvilisce vedere che non v’è traccia di questo lavorio di riscrittura della tradizione in una prospettiva aperta alla presa di parola di tutte le soggettività oppresse».

La Società italiana di pedagogia (Siped) scrive: «Nello spirito al quale il documento ambisce, è utile rilevare che il testo rappresenta la necessità di un confronto sistematico con la ricerca in ambito educativo, sia pedagogica sia delle scienze tutte dell’educazione. La ricerca pedagogica di area teoretica, sociale, storica, didattica, speciale e sperimentale – anche e soprattutto laddove essa ha trovato valide connessioni interdisciplinari con le didattiche delle discipline – ha infatti portato a definire costrutti, ipotesi operative, evidenze empiriche che non si rinvengono nel testo. L’orientamento ideologico emerge in varie parti del documento, ed è particolarmente visibile nei rimandi all’Occidente e alla tradizione classica (p.68: “Solo l’Occidente conosce la Storia”, mentre la tradizione illuminista e l’idea moderna di Europa paiono assenti), oppure nella trattazione della violenza di genere come una “patologia”, e non come orientamento purtroppo socio-strutturale delle nostre società». Seguono «considerazioni puntuali ma non esaustive» inviati alla Commissione di studio che si possono leggere qui.

La Società Italiana delle storiche (Sis) sottolinea non solo i «passaggi oscuri e le interpretazioni storiografiche discutibili», ma soprattutto evidenzia che «alla luce delle ricerche condotte nell’ambito della nostra associazione sulla violenza di genere in prospettiva storica e delle iniziative di formazione organizzate negli ultimi anni sul tema, guardiamo con preoccupazione anzitutto a quanto le Indicazioni propongono sull’educazione alle relazioni».  «Ci sentiamo lontane da una scuola rigidamente gerarchica, in cui il sapere storico è un pacchetto pre-confezionato da somministrare, senza alcuna valutazione del contesto in cui si lavora, a studenti considerati come soggetti incorporei e astratti. Il nostro percorso di ricerca e di insegnamento ci mostra che un’altra scuola è possibile, una scuola in cui crescere cittadinǝ responsabili e capaci di spirito critico».

In una netta presa di posizione, diverse Società storiche « si oppongono con fermezza e convinzione alle Indicazioni nazionali 2025 relative alla Storia»: in particolare, oltre a sottolineare il carattere eccessivamente prescrittivo delle indicazioni, si rinnega «l’idea che la
storia debba sostanzialmente limitarsi a formare l’identità nazionale degli studenti. Né tantomeno ci riconosciamo nell’idea che l’insegnamento della Storia debba esprimere un giudizio morale sul nostro passato, insegnando cioè a distinguere tra bene e male. L’insegnamento della Storia deve educare a comprendere il passato, non a giudicarlo. A fornire attraverso lo studio di problemi storici, le domande da porre, i nessi da sviluppare, la riflessione sulle conseguenze degli eventi storici, gli strumenti per interrogare il passato e meglio comprendere il presente». 

La Società di linguistica italiana comunica che le associazioni hanno deciso si non aderire «a una consultazione breve e frammentaria, priva di un vero dialogo e di un confronto costruttivo»; «di predisporre un testo articolato e non vincolato ai tratti della sintesi per condividere le proprie osservazioni e i propri commenti sulle Nuove Indicazioni Nazionali con tutte le parti interessate»; «di organizzare gli Stati Generali dell’Educazione Linguistica per la Scuola, per offrire un’ampia e profonda occasione di ascolto, di riflessione, di confronto e di stimolo a chiunque sia interessato a difendere e promuovere i principi di un’istruzione democratica, inclusiva, aperta alla pluriculturalità e al plurilinguismo».

Sulla rivista “La ricerca” della casa editrice Loescher Simone Giusti, docente di didattica della letteratura all’università per stranieri di Siena, s’incarica di smontare l’impianto e l’intento, ma rilancia sulla necessità del confronto: «Ritengo queste Indicazioni irricevibili nel metodo e nel merito, per cui non potrò suggerire emendamenti o miglioramenti. Credo però che valga la pena discutere pubblicamente la rappresentazione della scuola e della società che emerge da questo documento. In qualche modo, proprio per la loro scarsa qualità professionale e scientifica e per il loro impianto sostanzialmente ideologico, queste Indicazioni nazionali 2025 possono aiutarci a ridare slancio al ruolo della ricerca educativa e delle didattiche disciplinari, le grandi avversarie di questa Commissione».

Anche Massimo Baldacci, docente di pedagogica all’università di Urbino, e coordinatore di Proteo Fare Sapere, il gruppo di ricerca della Cgil scuola, prende di mira soprattutto la concezione di un concetto molto caro al ministro Valditara, quello di talento, e insieme l’ideologia sottesa, che mostrerebbe un’ispirazione pedagogica anti egualitaria e determinista: «Nelle righe di apertura del paragrafo su Scuola e nuovo umanesimo si scrive che “finalità principale della scuola è l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base nella prospettiva dello sviluppo integrale della persona e dei suoi talenti (corsivo mio)”. E si continua precisando che “il concetto di talento è intrinsecamente legato al potenziale cognitivo di ogni alunno che, se stimolato da un ambiente in grado di valorizzarne le potenzialità, può conseguire esiti positivi anche nelle situazioni di maggiore fragilità” (corsivi miei). Connettere la finalità principale della scuola a un concetto equivoco come quello di talento sembra, nuovamente, almeno discutibile. Ma la Commissione sembra avere le idee chiare circa il concetto di talento: “è legato al potenziale cognitivo di ogni alunno”. Detto così, senza ulteriori precisazioni, il “potenziale cognitivo” (le capacità cognitive presenti in potenza nell’alunno) tende facilmente ad essere inteso come innato. Tale potenziale (e il talento che ne deriva) sembra, cioè, una sorta dono naturale, diverso da alunno ad alunno. Ovviamente, questo potenziale naturale esercita un vincolo sul tipo di sviluppo possibile per ciascun scolaro, predeterminandone le soglie in modo differenziale nei diversi ambiti».

Sul Corriere della Sera, Pietro Di Martino (professore di Didattica della matematica, Università di Pisa) e Roberto Natalini (direttore Istituto per le Applicazioni del calcolo – Cnr) mettono in discussione l’inserimento dell’informatica all’interno delle indicazioni per la matematica: «È un’operazione discutibile dal punto di vista culturale non solo perché, se è vero che la Matematica è alla base di molte discipline scientifiche, il suo valore, come disciplina scientifica e come materia di insegnamento, va ben oltre a quello di semplice strumento per le altre scienze; ma anche perché la Matematica ha un significato formativo e un’epistemologia proprie, differenti dalle altre scienze e, in particolare, dall’Informatica».

Sulla rivista Educazione aperta si può leggere un lungo intervento di Antonio Vigilante che attacca l’ideologia della bozza di indicazioni nazionali in modo aperto: «Affermare che una bambina e un bambino non hanno alcun desiderio di imparare, ma che tale desiderio nasce dall’esterno, grazie all’azione magica del Maestro, è semplicemente una bestialità. Non c’è crescita senza una spinta innata, naturale, perfino inarrestabile verso la conoscenza. Non c’è sviluppo motorio, linguistico, intellettivo senza un inesausto toccare, osservare, domandare. I bambini e le bambine diventano invece qui deboli e inermi di fronte al Maestro: vuoti al cospetto del pieno. Obietterà a quanto appena detto, il Maestro, che sono esperienza comune di chiunque insegni la svogliatezza, lo scarso interesse, la poca voglia di lavorare dei piccoli studenti. Non è dunque vero che occorre il Maestro perché sorga il desiderio di conoscere? No, non è affatto vero. È vero invece che la scuola è talmente artificiale, innaturale, sbagliata, che riesce a contrastare e in qualche caso anche a spegnere quello slancio naturale, sostituendolo con una attività fondata interamente sulla promessa e sulla minaccia. Ma per cogliere questo limite strutturale occorre avere strumenti diversi – ben più critici – di quelli di cui dispone il personalismo».

In un articolo su Historia Ludens, Walter Panciera sottolinea che, per quanto riguarda il contenuto delle indicazioni per il programma di storia, «nessuno dei sette membri della commissione specifica che ha contribuito a predisporre il documento può stranamente vantare un impegno e pubblicazioni specifiche in relazione a quella che tecnicamente si chiama Didattica della Storia». Nel suo intervento Panciera evidenzia tre tematiche critiche: In primo luogo, le indicazioni negano il carattere «problematico, interpretativo e multidisciplinare che la Storia ha assunto almeno a partire dalla prima metà del ‘900»; in secondo luogo si critica «l’idea che la conoscenza storica serva a emettere sentenze contro o a favore è semplicemente anacronistica» e, in ultimo, il fatto che apprendere la storia non è una semplice memorizzazione dei fatti: «la conoscenza non costituisce in sé una competenza. Quest’ultima è infatti “una qualità, abilità, capacità o talento che è stata sviluppata da uno studente e che gli appartiene”, coinvolgendo tutta la sua persona». 

In un intervento su Insegnare, la rivista del centro di iniziativa democratica degli insegnanti, Giuseppe Bagni contestualizza le linee guida, non solo all’interno del sistema scolastico, ma delle scelte politiche del governo, da ultima l’approvazione del d.l. sicurezza, concludendo che «l’adolescenza fa paura, e fa paura l’istruzione perché vuol dare strumenti di cittadinanza a ragazze e ragazzi che sono vissuti come fossero stranieri che avanzano pretese. Pericolosi perché ci chiedono di lasciare loro un pianeta abitabile e un futuro per ciascuno che valga la pena di essere costruito. Sono stranieri interni, come li ha definiti Georg Simmel, che non possiamo fermare alle frontiere o rispedire a casa, semplicemente perché la loro casa è qui, ed ecco allora crescere il desiderio del loro controllo e normalizzazione.» Si critica fortemente la totale mancanza di conoscenza della realtà scolastica di base «dove nelle classi si fa lezione a partire dalle diversità di ciascuno. Per questo è gravissimo il tema dell’inclusione venga declinato quasi unicamente nella logica dell’assimilazione a una cultura e civiltà ritenute superiori, che è un modo terribile di rimarcare una differenze e una inferiorità, elementi di una sostanziale esclusione». Il testo integrale dell’articolo si può leggere qui


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