Con le indicazioni nazionali per il curricolo, dai 3 ai 14 anni, la destra e il ministro Giuseppe Valditara hanno decisamente passato il segno. Non si tratta di questa o quella posizione discutibile che, nel merito, in parlamento e nel paese, abbiamo criticato e discusso. Il dato, ormai evidente e assolutamente inaccettabile, è che il ministro – anziché mettere mano ai problemi reali e concreti delle scuole italiane – sta usando la scuola come testa d’ariete per una crociata ideologica più generale, che prevede una società selettiva, su base di classe, e autoritaria. E, per imporre questo modello, cerca di travolgere decenni di cultura pedagogica democratica, l’autonomia delle scuole e la stessa libertà d’insegnamento, valore costituzionale e diritto incoercibile.

Ciò è assolutamente inaccettabile, perché prova a colpire al cuore la sostanza stessa del sistema formativo pubblico, che vede al suo centro bambine e bambini, ragazze e ragazzi, la loro formazione umana, civile e culturale, la loro libera crescita personale e collettiva, la loro possibilità di emancipazione sociale. E, dato storico prevalente, il loro essere cittadine e cittadini del mondo e del tempo presente, non solo della nazione, non più concepibile come isolata e circoscritta rispetto alle istituzioni sovranazionali.

Una scuola fuori dal mondo

Da questo punto di vista, le indicazioni ministeriali tentano di disegnare una scuola – letteralmente e non metaforicamente – fuori dal mondo; che non corrisponde minimamente (né sul piano dei contenuti, né su quello dei metodi didattici e formativi) al livello culturale e operativo della grande maggioranza delle scuole italiane, le quali, nonostante i costanti tentativi di indebolirle e precarizzarle, continuano a svolgere una funzione decisiva sul piano dell’inclusione, della formazione e del pensiero critico, per milioni di giovani. Ed è proprio questa funzione che si tenta di colpire ulteriormente.

La crociata del ministro, al di là del lessico pre-costituzionale, si muove prevalentemente in due direzioni; entrambe pericolose e in sempre più evidente rotta di collisione con la scuola della Costituzione. Da un lato, un approccio autoritario che vede nei giovani una massa indistinta da controllare, reprimere e indottrinare; dall’altro, la scuola come strumento che riproduce – anziché superare – una selezione sociale tra una élite destinata a proseguire gli studi e una grande massa da collocare, quanto prima, dentro una filiera produttiva precaria, senza strumenti culturali e quindi con meno possibilità di ottenere tutele e diritti.

Tutti i provvedimenti del governo, relativi all’istruzione, si muovono sostanzialmente su questi due binari, che vanno nella stessa direzione, conforme, tra l’altro, a quella di altri paesi che stanno mettendo in discussione le proprie radici democratiche; si pensi alla spinta di Donald Trump a cancellare il sistema d’istruzione pubblico, o al nuovo lessico violento e discriminatorio, imposto da Javier Milei in Argentina, per indicare le persone diversamente abili.

È quello che potremmo definire un neoliberismo autoritario che, non a caso, odia il carattere sociale e democratico di molte Costituzioni europee. Gli esempi, in Italia, sono molti e sotto gli occhi di tutti: dal «valore educativo dell’umiliazione» al decreto Caivano, dal 5 in condotta (con conseguente bocciatura) per chi occupa le scuole alla riproposizione del giudizio sintetico (voto) alle elementari e alle linee guida per l’Educazione civica, ai profondi limiti della riforma della filiera tecnico professionale e al taglio di un anno alle scuole superiori, fino ai provvedimenti disciplinari per i docenti critici e, da ultime, appunto, queste indicazioni che trasudano ideologia reazionaria.

la battaglia per il diritto al sapere

Non ci soffermiamo sull’elenco, incompleto, dei singoli interventi, proprio per non perdere di vista il disegno generale che, vogliamo ripeterlo, prefigura un modello di scuola funzionale a un modello di società. Vogliamo solo sottolineare che essi, tra l’altro, tendono a espropriare le scuole della loro autonoma funzione di indirizzo, plurale e democratico, del processo formativo.

Ciò che più ci preme – come esponenti dell’opposizione – è lavorare insieme nel contrasto alle politiche scolastiche di questo governo con obiettivi ben precisi: la centralità, nel bilancio dello Stato, degli investimenti per la formazione, il contrasto alla precarizzazione del lavoro dei docenti e la difesa della scuola come luogo inclusivo di formazione umana e civile, rilanciando la democraticità della vita e del lavoro delle scuole e delle università.

Per fare questo non bastano le forze politiche e la, pur necessaria, battaglia parlamentare; occorre rinsaldare e ampliare quella rete che già esiste, fatta di organizzazioni sindacali, associazioni degli studenti, dei docenti, dei ricercatori e dei genitori.

E, ancor più, serve che la battaglia per il diritto al sapere esca dai confini delle scuole e delle università e, come nei momenti delle più grandi avanzate civili e sociali, diventi un patrimonio della democrazia e del paese, per la libertà delle nuove generazioni. Proprio per questo condividiamo l’appello promosso dalla Flc Cgil e dalle altre associazioni del mondo della scuola per una consultazione reale e partecipata intorno alle indicazioni nazionali e saremo presenti alla manifestazione indetta il prossimo 2 aprile a Roma Tre e a tutte le iniziative che intendono favorire l’apertura di un autentico dibattito pubblico intorno alle nuove indicazioni nazionali.
Giuseppe Buondonno (responsabile nazionale scuola Sinistra italiana)
Antonio Caso (capogruppo Movimento 5 stelle Commissione Cultura Camera)
Cecilia d’Elia (capogruppo Partito Democratico Commissione Cultura Senato)
Irene Manzi (responsabile nazionale scuola Partito Democratico)
Elisabetta Piccolotti (capogruppo Alleanza Verdi e Sinistra Commissione Cultura Camera)
Luca Pirondini (capogruppo Movimento 5 stelle Commissione Cultura Senato)

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