Sull’isola di Ustica, al largo di Palermo, c’è una sola scuola, il Saveria Profeta. Un istituto omnicomprensivo, composto da tutti gli ordini di scuola, in cui gli studenti iscritti sono centouno. Gli anni precedenti il numero era più alto di poche decine, ma le pluriclassi di questo istituto, che quest’anno sono quattro, salvano il servizio scolastico dell’isola, e con esso il diritto allo studio dei giovani residenti.

Come a Ustica, in Italia ci sono tante altre realtà simili: piccole scuole con pochi iscritti che si concentrano nei territori periferici. Se non esistessero, i giovani abitanti di queste zone dovrebbero percorrere quotidianamente lunghe distanze per frequentare le scuole in paesi limitrofi. Sono circa il 30 per cento delle scuole statali: una realtà consistente, in leggero e costante aumento, che risponde all’evoluzione demografica e abitativa dei territori.

Nella mappatura dell’Atlante delle piccole scuole (redatto da Indire, con dati dell’anno scolastico 2020/2021), esse si trovano nelle zone interne di montagna e sulle piccole isole, nei comuni “intermedi”, tra i centri urbani e le aree rurali. Località che più di altre soffrono il calo demografico e lo spopolamento, con conseguenze anche sulle scuole, dove può accadere che il numero di studenti sia così basso da non consentire la formazione di una classe singola: in questi casi, studenti di età e anni scolastici diversi confluiscono in una sola “pluriclasse”.

Le piccole scuole, frequentate da 648.111 alunni, sono soprattutto primarie e secondarie di I grado. La loro incidenza è molto alta in regioni come Calabria, Basilicata, Molise, Sardegna, Abruzzo, Liguria, Emilia-Romagna. Questa realtà «riflette le caratteristiche del nostro sistema insediativo, non basato su grandi metropoli, ma sui paesi più piccoli, sulle città», commenta Rudi Bartolini, ricercatore di Indire.

FOTOGRAFARE LE PLURICLASSI

Le pluriclassi sono attive in circa il 15 per cento del totale delle piccole scuole. Distribuite in modo simile al Nord (15,7 per cento) e al Sud (14,3 per cento), sono una prerogativa quasi esclusiva dei territori marginali e ultraperiferici. Il Piemonte è la regione con più pluriclassi, seconda per incidenza (26 per cento), preceduta dalla Basilicata (28,1 per cento). Seguono l’Umbria, il Molise, la Calabria.

Le pluriclassi si trovano in zone con densità abitativa bassa, non sempre facili da raggiungere, con una mancanza di servizi di base che condiziona l’ordinarietà della vita delle poche centinaia o migliaia di abitanti che restano. Anche fare scuola diventa complesso.

In molte aree i collegamenti e i trasporti pubblici scarseggiano. In provincia di Forlì Cesena, nel comune montano di Premilcuore, poco più di 600 abitanti, c’è un plesso con due pluriclassi e 22 studenti in tutto, appartenente all’IC Predappio. Raggiungere la sede con i mezzi pubblici è possibile, ma gli autobus sono pochi, costringendo gli insegnanti – spesso non del luogo – a spostarsi con un mezzo proprio, e, date le lunghe distanze, diventa una spesa considerevole.

Sull’isola di Ustica ci sono pochi collegamenti con la terraferma, le tratte finiscono a metà giornata, ostacolando gli spostamenti quotidiani. Chi non è dell’isola, ma ci lavora, dovrebbe quindi restarvi per tutta la settimana, «ma non tutti sono disposti a farlo», dice il vicepreside del Saveria Profeta Fabio Raimondo. E così sorge il problema del reclutamento dei docenti. E se c’è qualcuno disposto a farlo, spesso lo fa solo per un anno, sbriciolando le speranze di continuità per gli anni successivi.

Nel piccolo paesino di San Mauro Forte, in provincia di Matera, gli spostamenti sono difficili anche per gli studenti. Il plesso di San Mauro fa parte dell’IC D’Onofrio-Ferrandina e ospita tre pluriclassi, meno di 100 studenti. Il servizio scuolabus in paese non c’è nemmeno, racconta la dirigente Livia Casamassima, quindi va tutto a carico delle famiglie.

Luci e ombre

C’è poi da considerare la frequente assenza di spazi sociali, sportivi o culturali, che mina l’attrattività dei luoghi e spinge i più giovani a un certo punto ad andar via. È vero, infatti, che per gli studenti più grandi lo scambio sociale, a scuola e altrove, non è sempre agevolato.

Ad esempio, a San Mauro il prossimo anno ci sarà un solo iscritto al primo anno della secondaria: ciò significa che quella persona, essendo l’unica per quell’annata, non avrà un confronto con altri bambini della sua età. «Quando diventano un po’ più grandi questo bisogno emerge con forza, chiedono nuovi stimoli», spiega Casamassima. Così è anche a Ustica, dove chi sta per iniziare le scuole superiori spesso lascia l’isola e si sposta a Palermo.

Però in queste realtà non mancano aspetti positivi e determinanti. C’è un tessuto sociale di prossimità, sono contesti ancora a misura d’uomo, in cui il forte contatto con la natura consente esperienze ludico-didattiche non possibili altrove. Lavorando con un numero basso di studenti è più facile personalizzare le lezioni e attuare i modelli di apprendimento cooperativi.

Sebbene la pluriclasse sia vista ancora con diffidenza, sostiene il ricercatore di Indire, Bartolini, «esse sono laboratori di innovazione didattica e una loro chiusura ha un costo sociale». All’interno di comunità locali periferiche, la scuola è l’unica vera istituzione sociale e culturale. Rappresenta un servizio ancora presente ed essenziale per le famiglie e il territorio diventa serbatoio di risorse educative.

E se sono luoghi che ci sono ancora e se ci sono persone che decidono di rimanere ancora in questi luoghi, allora è necessario che la sopravvivenza delle piccole scuole venga favorita, perché una comunità destinata a morire è quella senza la scuola.

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