Anche l’attuale sottosegretaria si è espressa nello scontro tra questura e familiari sui funerali. «A testa alta», scriveva sotto il post della figlia del boss. Oggi dice: «Solidarietà umana»
C’è un pezzo del governo Meloni che nell’estate del 2019, dopo l’omicidio di Fabrizio Piscitelli detto Diabolik, ha espresso vicinanza alla famiglia e sostenuto l’ipotesi di esequie pubbliche per il narco-ultrà, ucciso in un agguato di matrice mafiosa il 7 agosto nel parco degli Acquedotti.
Non solo Francesco Lollobrigida, cognato d’Italia e attuale ministro dell’Agricoltura, ma anche Isabella Rauti, sottosegretaria alla Difesa, che commentando un post della figlia di Diabolik, Ginevra Piscitelli, scriveva: «Non conoscevo tuo padre ma conosco te e la tua lettera mi ha commossa. Brava Ginevra, sei forte e coraggiosa. Vai a testa alta. Da parte mia un abbraccio forte e stretto».
La vicenda dell’ex capo ultrà della Lazio, è tornata d’attualità, ed è diventata un caso politico, dopo la pubblicazione delle chat tra Paolo Signorelli, nipote dell’omonimo fondatore di Ordine nuovo e portavoce di Lollobrigida, e Piscitelli.
Nelle chat frasi antisemite e commenti esultati per l’assoluzione di un padrino della droga come il boss albanese Elvis Demce. Signorelli, tifosissimo della Lazio e giornalista di professione, conversava come se niente fosse con il narco-ultrà, capoclan della batteria di Ponte Milvio. Non certo una situazione normale.
Signorelli, che conosce da tempo le sorelle Meloni, si è dimesso. Lollobrigida lo ha difeso ricordando che il suo ex collaboratore non salta una messa domenicale e va regolarmente in pellegrinaggio a Medjugorje. E ha ovviamente colto l’occasione per dire che «attraverso di lui si voleva colpire il governo».
Le risposte che mancano
Quello che non ha fatto, il cognato d’Italia, è stato spiegare i motivi del suo intervento a favore dei funerali pubblici di Diabolik. Come già raccontato, Lollobrigida, all’epoca capogruppo di FdI alla Camera, l’11 agosto 2019 scriveva: «La tragica vicenda legata alla morte di Fabrizio Piscitelli va approfondita e chiarita. Ritengo però davvero incomprensibile non permettere ai suoi amici di partecipare come desiderano al funerale, costringendo la famiglia alla forma privata del rito». Da qui la richiesta al questore di rivedere le sue decisioni.
Risale allo stesso giorno il commento di Rauti. Con la figlia del boss che rispondeva così: «Isabella ti ringrazio tantissimo per le belle parole. Ricambio il tuo abbraccio, un bacio grande».
Ma cosa aveva scritto nel suo post Ginevra Piscitelli? Attaccava i giornalisti e ridimensionava il peso criminale del padre ricordando la condanna a soli 4 anni di carcere chiudendo con un riferimento agreste alle mosche e le api «che volano uguali, la differenza sta dove si posano».
Un curriculum criminale
In realtà il casellario di Piscitelli iniziava nel 1992 e a Roma chiunque conosceva il suo peso criminale. Quando a Roma esplodeva la vicenda di “Mafia capitale”, i carabinieri del Ros scrivevano, parlando del clan di Ponte Milvio, «una batteria pericolosa con a capo Piscitelli», legata agli albanesi, ai fratelli Esposito e a Michele Senese.
Il dolore di una figlia non si discute, così come il suo legittimo desiderio di trasmettere al mondo un’immagine del padre diversa da quella delle inchieste. Ma perché Lollobrigida e Rauti intervenivano mentre la questura di Roma provava a vietare, come in ogni città di mafia, i funerali per un trafficante di droga, capoclan in grado di mediare tra gruppi mafiosi?
Rauti, contattata da Domani, ha detto che si è trattato di «solidarietà umana. La ragazza frequentava una comitiva di ragazzi che in parte conoscevo. Mi hanno commosso le sue parole e il mio commento non entra, come si legge, in nessuna vicenda di merito». Ma il comunicato di Lollobrigida e il messaggio di Rauti arrivavano nel pieno della trattativa tra questura e famiglia, con le pagine social dei congiunti piene di insulti a polizia e giornalisti e degli immancabili saluti romani.
I funerali contesi
Quando Lollobrigida e Rauti si esprimevano sulla vicenda, i funerali di Diabolik non si erano ancora celebrati. Piscitelli era stato ucciso il 7 agosto con un colpo alla nuca da un killer professionista nel territorio di Michele Senese, il capo dei capi a Roma. Proprio quel Senese che aveva allevato al crimine Diabolik.
Dopo la sua uccisione, la questura aveva deciso che i funerali sarebbero stati privati, da svolgersi alle sei del mattino. È la prassi quando a morire sono criminali di rango. Ma la famiglia aveva reagito con un ricorso al tribunale amministrativo regionale, subito respinto, mentre gli Irriducibili, gruppo storico degli ultras della Lazio di cui Diabolik è stato capo carismatico e dove ha “allevato” i soldati della sua banda, minacciavano proteste.
I congiunti riuscivano a farsi ricevere in questura il 12 agosto, e l’indomani saltavano i previsti funerali privati. Un altro incontro in questura si svolgeva il giorno successivo. Alla fine l’annuncio: sì ai funerali pubblici con cento persone in chiesa e tutti all’esterno a ricordare il narco-ultrà.
Così il 21 agosto si celebravano finalmente le esequie presso il santuario del Divino Amore. Nel piazzale fumogeni, cori e saluti romani. Una resa dello stato peggiore di quella che quattro anni prima aveva portato ai funerali show di Vittorio Casamonica, capostipite del clan.
Il silenzio di Salvini
In quei lunghi giorni di trattativa a mancare era stata la voce del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, impegnato a fermare le navi con i disperati a bordo, ma non i funerali dei capoclan.
Tra gli accorsi nel piazzale antistante la chiesa si notava anche Luca Lucci, immortalato, pochi mesi prima, in una foto con il leader della Lega durante i festeggiamenti per il Milan. Lucci era noto alle forze dell’ordine per i precedenti di spaccio e aggressione.
Quella foto con Salvini, scattata nel dicembre 2018, aveva suscitato diverse reazioni. Tra queste quella di Fabrizio Piscitelli che aveva invitato il ministro ad andarli a trovare in curva nord. «Vedere qualche politico vicino alla curva fa sempre piacere, soprattutto un ministro», diceva, precisando che anche lì «c’erano pregiudicati e indagati». Non farà in tempo a esaudire il suo sogno, pochi mesi dopo sarà ucciso su una panchina in un delitto di mafia. «Una tragica vicenda», per usare le parole di Lollobrigida. Certe parole sarebbe meglio non usarle.
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