Con la pandemia abbiamo sperimentato un nuovo modo di lavorare, si è scoperto che alcune attività potevano essere svolte da casa e alcune aziende hanno deciso di continuare a lavorare con queste modalità anche quando il Covid è finito. Altre invece hanno deciso di ripristinare il lavoro in presenza, introducendo una modalità mista, altre ancora hanno deciso di tornare come prima.

La scorsa settimana sui social si è di discusso molto di solitudine, una delle più grandi paure per il futuro secondo il sondaggio che abbiamo lanciato tra i nostri abbonati, in relazione allo smart working. Tutto è partito da un articolo di Massimo Giannini su D di Repubblica, in cui l’autore sottolinea la perdita di relazioni sociali legata al lavoro da casa.

Così, nella nostra newsletter Oggi è Domani (iscriviti qui per riceverla ogni mattina), abbiamo chiesto ai nostri lettori di condividere, anonimamente, con noi le loro riflessioni sullo smart working. Il lavoro da casa è un valore da difendere in assoluto? Si tratta di un vantaggio o ha un impatto negativo sulla socialità? Relazionarsi solo attraverso un device provoca malessere? E infine si può provare solitudine anche stando in ufficio?

Sono arrivate molte risposte interessanti, perciò abbiamo deciso di riportarle integralmente e condividerle con tutti i nostri lettori.

«Il lavoro agile è una conquista»

  • «L’equilibrio fra lavoro agile e in presenza è soggettivo. Saper stare soli è una ricchezza che aumenta la qualità del rapporto con se stessi e con gli altri. Anche sul lavoro. La mia esperienza è che lavoro meglio a casa. In ufficio sono più distratta, anche se per me è un piacere incontrare e dialogare coi colleghi di qualsiasi argomento lavorativo e non. Lavoro 12 giorni in agile dal 2016 in un’azienda medio grande. Lo trovo un buon compromesso. Credo che chi non lavora in presenza non lo faccia neppure in smart. Per cui la questione del controllo è un problema per i responsabili che lo applicano negli uffici. La qualità professionale di ognuno di noi si evince da “come facciamo” e non da “dove stiamo”. Il lavoro agile è una grande conquista per chiunque lo possa fare». 
  • «Lo smart working, sperimentato con successo durante la pandemia, fornisce un ottimo contributo alla vivibilità delle città decongestionando il traffico e migliorando la qualità dell’aria .. rende più padron3 del proprio tempo… sicuramente da implementare!».
  • «Io ho la fortuna di poter continuare a fare smart working tuttora. Lavoro per un agenzia web e mi rendo conto che nel mio caso sia più semplice di altri tipi di lavoro e settori. Non mi sento più sola, anzi ho più tempo per me perché risparmio almeno un’ora al giorno in trasporto. Sono felice di stare con il mio gatto che altrimenti soffrirebbe la solitudine e la noia. Quando lavoravo in ufficio mi sentivo molto più sola di adesso, pause pranzo passate ognuno al proprio pc a guardare serie tv, o chiacchiere forzate con persone che nemmeno mi stavano simpatiche. E badate bene, tra diversi colleghi andiamo d’accordo e spesso ci troviamo di persona, ma fuori dall’ufficio, per una serata assieme. Io sono per dare la possibilità di scelta, sempre».
  • «Lo smart working nel mio caso ha invece contribuito ad incrementare la relazione tra i colleghi, oltre ad aver determinato un aumento certo e misurato della produttività, come da analisi svolta dal Capo dipartimento. Il resto sono fandonie oppure problematiche dovute all’incapacità dei dirigenti». 
  • «Non ho esperienza, ero già in pensione quando è stato introdotto. Credo che offra molti vantaggi per la riduzione del traffico, per chi abita lontano dal posto di lavoro e per chi ha incombenze familiari. Che possa rendere più soli mi sembra molto probabile. Sarebbe auspicabile una regolamentazione del lavoro da remoto e magari l’integrazione con momenti di lavoro in presenza». 
  • «Smart working non significa “lavoro da casa”. In smart si può lavorare da ovunque, da un bar, da uno spazio di coworking, da casa degli amici, da un luogo di vacanza. Detto ciò, il fatto che in ufficio siamo circondati da persone, non significa che non siamo soli. Il problema della socialità non si risolve costringendo persone diverse a stare obbligatoriamente nello stesso luogo di lavoro. I colleghi di ufficio non sono persone che scegliamo di avere nella nostra vita, ci capitano e dobbiamo conviverci. Se non ci sopportiamo? Se ci fanno mobbing? Anche questo contribuisce a renderci ancora più soli e aggrava il problema della socialità. Lo smart working, a differenza del lavoro in sede, dà la possibilità di scegliere dove lavorare, se farlo circondato da altre persone, e se sì, da quali, riduce le ore nel traffico e quindi lo stress conseguente, fa recuperare un sacco di tempo che si può scegliere di dedicare ad altro. L’esperienza dello smart è positiva anche in relazione alla riduzione dell’inquinamento (e fare avanti e dietro tutti i giorni da casa al lavoro è altamente inquinante, moltiplicato per tutta la popolazione). Posto che la possibilità di andare in ufficio deve esserci sempre, bisogna tuttavia offrire un’alternativa. E la questione della socialità va affrontata in altre sedi (quanto tempo e quanti soldi abbiamo per dedicarci ai nostri interessi? Quante energie ho, a fine giornata, dopo essere andato e tornato dall’ufficio e aver lavorato almeno 8 ore, per incontrare gli amici? Quanto sostegno riceve il mondo dell’associazionismo?)».
  • «Nelle grandi aziende i meeting si fanno per lo più on call anche quando si è in presenza, sia perché il personale è dislocato sia perché non si è mai in presenza tutti. Lo smart working, nella mia personale esperienza e in quella di molte persone con cui mi confronto, non solo è indispensabile per la conciliazione vita privata/lavorativa ma permette di risparmiare tempo da usare per sé e la propria vita (a Roma nel mio caso due ore di viaggio, ma conosco chi viene da Latina o Viterbo), risparmiare su affitti (per pochi giorni al mese una soluzione alternativa si trova e permette di mantenere le amicizie di sempre nel paese/quartiere, senza essere costretti a frequentare solo colleghi se non quando per lavoro o quando ci fa piacere). Quindi, per persone normali con vite appagate e contratti di lavoro stabili e trasparenti fa solo bene, e permette di frequentare e stare con le persone care che scegliamo durante e fuori orario di lavoro. È invece gravemente nocivo, per solitudine, sempre sulla base di ciò che vedo quindi punti di vista, a chi non ha saputo o non è riuscito ad avere una vita appagante privata, chi non sta bene in casa con chi vive o con se stesso, chi ha una dipendenza da lavoro (cioè vive per lavorare), chi insomma non ha una vita sociale anzi chi non ha una vita fuori dal lavoro, spesso per mancanza di interessi o a volte per problemi anche gravi in casa. Ovviamente lo smart working è insopportabile anche a chi non ha dimestichezza con gli strumenti informatici o non ha voglia o soldi per la connessione. Credo però che il problema da attribuire allo smart working non sia la solitudine ma il rischio, per chi ha contratti poco trasparenti e datori di lavoro senza scrupoli, di essere costretto a una disponibilità 24 ore senza orario, specie alla luce della recente riforma del lavoro in approvazione questi giorni».

un mix di smart e presenza

  • «I rapporti umani (e in generale, animali) son fatti di vista, udito, tatto e, in minima parte, odorato. Tutto ciò che viene inteso da questi sensi afferisce al cervello che elabora questi dati e produce pensieri. Se tutti questi parametri vengono alterati o, peggio ancora, scompaiono e rimangono solo le parole scritte avremo un diverso risultato. Servirebbero studi approfonditi su questo, senza limitarsi a chiedere se uno preferisce una cosa o un’altra. Che stare con se stessi o relazionarsi solo attraverso un device provochi, alla lunga, malessere e sia dannoso per la società è cosa ovvia, anche per chi non è capace di riconoscerlo e guarda solo agli immediati vantaggi. Questi cambiamenti tecnologici così repentini stanno provocando effetti assolutamente sconosciuti, ma mi viene da pensare che una riflessione, che per essere seria dovrebbe prevedere tempi abbastanza lunghi, arriverà troppo tardi perché nel frattempo saranno maturati i tempi per un’altra riflessione. Mi accorgo di avere scritto “dannoso“, che è parola divisiva ma poco chiara. Consoliamoci pensando che la chiarezza è la cosa che di sicuro manca alla quasi totalità dell’attuale umanità. Ce l’hanno solo i pochissimi che hanno tanto, ma tanto, ma tanto denaro. Non li invidio affatto».
  • «Lo smart working è utilissimo, cancellarlo è follia. Una metà del tempo in presenza in azienda assicura i contatti umani che sono certamente importanti».
  • «Ho letto molta animazione su X. Non ho letto l’articolo di Giannini, ma credo che la parola centrale sia “dipende”....per chi può lavorare col solo computer credo che la discriminante sia il tempo/modo e costo del viaggio casa lavoro. Capisco che chi deve passere 1-2 ore nel traffico prediliga la casa, se poi usa macchina abbassa costi e riduce inquinamento ed il traffico cittadino. Poi c’è la visione personale: per me il lavoro è una via rilevante per essere all’interno di un contesto sociale, il chiudersi in casa non lo vedo positivo. Poi per alcuni lavori più di “vertice” (dirigenziali) potenzialmente fattibili da casa, ritengo indispensabile una larga presenza in situ. Potrebbe esserci una soluzione “mista” con x ore a casa e y ore in sito. Potrebbero poi sorgere dei centri “informatici“ comuni fra aziende delocalizzati e gestiti in remoto (se si vuole anche con il controllo dei tradizionali cartellini) risparmiando considerevolmente i tempi/costi di viaggio. Non è la stessa cosa dello stare in azienda fra colleghi, ma consente di vivere in un contesto sociale più vario e non ultimo forse essere utile anche in termini di confronti/raffronti professionali e di comprensione/comparazione fra diversi tipologie di contratto di lavoro. Vale ancor di più per i giovani che possono valersi dell’esperienza dei più maturi e magari trovare nuovi rapporti amicali, quante famiglie nate sul luogo lavoro».
  • «Come per ogni cosa dipende dal modo in cui si organizza lo smart working. Se si tratta di stare 5 giorni su 5 a casa allora può essere negativo per i rapporti sociali e, a lungo andare, demotivante perché non rafforza il team. Invece se fosse una via di mezzo, 3 su 5 per esempio, sarebbe molto interessante. Va tenuto conto che in grandi città aiuterebbe a smaltire il traffico estremo e l’inquinamento, favorendo il benessere fisico e mentale dei lavoratori».

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