Il decreto numero 481 del 26 febbraio 2024 emanato dal ministero dell’Università e della ricerca (Mur) aveva l’obiettivo di acquisire nuovi alloggi o residenze per studenti universitari. Con questo strumento, il dicastero retto da Anna Maria Bernini aveva voluto rispondere alle proteste degli studenti universitari di diverse città italiane contro la mancanza di alloggi pubblici e il caro degli affitti (negli ultimi tre anni il costo di una stanza singola è aumentato di quasi il 10 per cento), annunciando così di poter mettere a disposizione 60mila nuovi posti letto con i fondi ottenuti, in gran parte, dal Pnrr.

Ora, però, come Domani è in grado di dimostrare, il piano del governo è completamente fallito. Vediamo perché.

Dalle parole ai fatti

A leggere i decreti di concessione registrati dagli organi di controllo e quindi effettivamente ammessi a finanziamento, si scopre così che alla data del 15 marzo i nuovi posti letto disponibili sono 11.275, appena il 20 per cento di quelli promessi, a un anno dalla dead line stabilita dal ministero.

Non solo. La maggior parte dei posti è andata a pochissime città. Per dare l’idea: Roma, Milano, Napoli, Venezia, Parma, Enna e L’Aquila ne hanno ottenuto la metà. Dall’elenco risultano assenti, completamente, decine di sedi universitarie “storiche” sia del Nord che del Sud, tra cui Perugia, Chieti e Pescara, Lecce, Genova, Firenze, Pisa, Siena. Ed è un fatto che intere regioni sono state tagliate fuori dai finanziamenti: Basilicata, Marche, Toscana, Trentino Alto Adige, ma anche metà della Puglia, della Lombardia e della Sardegna.

Il report

«La distribuzione dei posti a oggi autorizzati sembra proprio casuale e non legata a una strategia e frutto di una visione generale. Con queste modalità di improvvisazione sono rimaste escluse intere città universitarie», denuncia un report dell’Unione degli universitari, presentato oggi alla Camera.

A conti fatti, entro il 30 giugno del 2026 il governo dovrebbe spendere 1,2 miliardi di euro di fondi messi a disposizione dalla misura 4 del Piano di ripresa e resilienza, ma ne sono stati spesi soltanto 225mila, con un costo stimato di due milioni di euro per ogni struttura.

Credits: Unione degli universitari (UDU)

Ma c’è di più. «Il costo medio stanziato per ogni posto letto si conferma attorno ai 20mila euro, ma per la sua realizzazione occorrono, invece, 90mila euro», dicono dall’Udu. «Gli altri 70mila necessari a coprire il resto dei costi spettano ai soggetti proponenti, ma chi può permetterselo?».

I privati, naturalmente, che gestiranno il 95 per cento delle nuove strutture, visto che le università, le aziende per il diritto allo studio e i comuni non sono stati messi nelle condizioni di poter fare richieste di questo cofinanziamento.

Come aveva già rivelato Domani due anni fa, infatti, la maggior parte (il 75 per cento) delle risorse stanziate dal Pnrr finiranno nelle tasche di enti e fondazioni che non faranno altro che alzare i prezzi dei posti letto per adeguarli agli standard di mercato, mentre il numero dei posti letto messi a disposizione negli studentati pubblici, negli ultimi anni, invece che aumentare era diminuito.

Ora, con il report diffuso dall’Udu, si ha una ulteriore conferma che si sta andando in questa direzione. Addirittura peggio delle previsioni. 

Il tema del vincolo temporale

Uno degli aspetti più controversi della questione, in verità, è proprio il massiccio trasferimento di fondi pubblici a soggetti privati che, con l’avallo del governo Meloni, hanno ottenuto un così massiccio drenaggio di risorse, senza poter assicurare, di contro, un adeguato ritorno in termini di accessibilità e diritto allo studio.

Un ulteriore problema, in questo senso, è costituito dal cosiddetto vincolo temporale imposto dal Pnrr, secondo cui i privati dovranno garantire una tariffa calmierata in relazione ai posti letto per i prossimi dodici anni, ma poi potranno affittare liberamente gli alloggi a prezzi di mercato. A ciò si aggiunge che le tariffe già applicabili sono in molti casi superiori a quelle del mercato privato.

«Da diverso tempo chiediamo maggiore attenzione per gli investimenti in alloggi pubblici», dice a Domani Alessandro Bruscella, coordinatore nazionale dell’Udu. «Avevamo presentato anche un emendamento attraverso cui chiedevamo di aggiungere risorse per favorire la partecipazione degli enti pubblici e così garantire una reale accessibilità dei posti di letto, ma il governo l’ha bocciato e ora la ministra Bernini dovrà assumersi le proprie responsabilità, visto che non solo l’obiettivo non sarà raggiunto, ma l’emergenza studentesca è rimasta tale», conclude.

Già, perché i dati di Ustet parlano chiaro: in Italia studiano fuorisede circa 900mila studenti, e solo il 5 per cento di questi trova accesso negli studentati pubblici. Sono 46.193 i posti letto esistenti in tutto il territorio nazionale, un numero troppo basso rispetto alla domanda. «Il problema delle residenze universitarie esiste. Non possiamo nasconderlo. Ma il diritto allo studio è una priorità di questo governo», disse tempo fa la ministra Bernini. A vedere come è fallito il suo piano, avrà mostrato fin troppo ottimismo.

La replica del ministero

Sul tema la ministra Bernini risponderà in dettaglio a un’interrogazione parlamentare presentata in commissione alla Camera. Fonti del ministero però fanno sapere che il report dell’Udu «mette insieme una serie di numeri imprecisi e non aggiornati generando solo confusione», visto che «il bando, inizialmente rivolto esclusivamente ai privati, è stato successivamente esteso anche ai soggetti pubblici» e che «nessuna città è stata esclusa dai finanziamenti» perché «il bando si basa su candidature e non su una selezione territoriale del ministero».

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