L’attenzione sul tema della violenza maschile sulle donne da parte della politica italiana è intermittente e i picchi si registrano in occasione di giornate simboliche o durante momenti chiave dei processi legislativi. È ciò che emerge dai nuovi dati pubblicati da ActionAid con l’Osservatorio di Pavia, su come e quanto comunicano sul tema governo, parlamento ed enti locali.

La politica italiana comunica poco sui social in materia di violenza di genere, si legge nel rapporto: solo l’1,2 per cento di 169.572 post pubblicati su Facebook e l’1,5 per cento di 117.487 pubblicati su Instagram in 12 mesi. «Questa scarsità di comunicazione», scrivono le esperte, «sembra riflettere la mancata priorità assegnata alla violenza maschile contro le donne nell’agenda politica».

Emerge poi un ampio divario di genere nella comunicazione politica sui social. Due post su tre infatti sono pubblicati da donne e, nella maggior parte dei casi, sono del Partito democratico (il 23 per cento su Facebook e il 24 per cento su Instagram), di Fratelli d’Italia (il 23 per cento su entrambe le piattaforme), del Movimento cinque stelle (17 e 14 per cento, rispettivamente su Facebook e Instagram) e della Lega (il 12 per cento su entrambi i social). Ma sono le deputate a pubblicare maggiormente, mentre «la comunicazione politica via social del governo sul tema» risulta «particolarmente scarsa». 

«Ancora una volta la violenza è “un affare di donne” anche all’interno delle istituzioni», ha dichiarato Katia Scannavini, vicesegretaria generale ActionAid Italia. Ma, sottolinea, «la violenza maschile contro le donne è una conseguenza delle disuguaglianze di genere e il suo contrasto deve toccare tutti gli ambiti della politica nazionale. Così non è mai stato».

Contenuti fuorvianti

La presenza di una comunicazione però non significa necessariamente che l’informazione porti a un cambiamento in positivo. «Il livello di approfondimento è nella maggior parte dei casi nullo o scarso, con post che presentano anche contenuti fuorvianti», si legge nel rapporto. Ad esempio, si fa notare che c’è confusione sul concetto di prevenzione, spesso associato a quello di protezione o che le fonti utilizzate non sono quelle ufficiali. O ancora «ci sono post contenenti dati e definizioni sulla violenza maschile contro le donne che non utilizzano fonti ufficiali», che contribuiscono «ad alimentare una comunicazione errata sulla dimensione del fenomeno e sulla sua concettualizzazione».

La violenza di genere viene, per esempio, ricondotta a un problema di sicurezza pubblica, per le strade o nei luoghi di lavoro. Alcuni post, invece, contengono «elementi di sessismo benevolo, che interpretano interpretano la relazione tra donne e uomini come una forma di protezione maschile nei confronti delle donne, contribuendo così a rafforzare la cultura patriarcale alla base della violenza in questione», si evidenzia nel rapporto, che riporta un post di Giovanni Toti, in cui si legge: «Mogli, madri, sorelle, figlie uccise spesso da chi avrebbe dovuto proteggerle, tra le mura di casa». Questa lettura – sottolineano le associazioni – è frutto della cultura patriarcale, la stessa «in cui affonda le radici la violenza contro le donne».

Formare la classe politica

«Per adottare norme realmente trasformative», evidenzia Scannavini, «la classe politica deve diventare competente, indipendentemente dal genere o dal ruolo ricoperto. È quindi necessario formare correttamente coloro che legiferano e governano. Ma non solo, la politica passi dalle parole ai fatti, superando le differenze ideologiche e raggiunga una convergenza per approvare una legge che introduca l’educazione sessuale, affettiva e di genere nelle scuole, in linea con le direttive internazionali».

Ciò che accade però è molto diverso: «La violenza contro le donne viene raramente inserita in una cornice di senso più ampia, come – ad esempio – quella dei diritti delle donne o delle politiche per le pari opportunità», scrivono Action Aid e Osservatorio di Pavia.

La ricerca ha anche individuato quali figure politiche sono più attive sui social nella discussione sulla violenza di genere. Prima tra tutte Stefania Ascari, deputata del Movimento cinque stelle e prima firmataria della riforma del Codice rosso del 2019 (legge n. 69/2019), e seconda Martina Semenzato, deputata di Noi Moderati e presidente dell’attuale Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere. Seguono su Instagram Valeria Valente, del Partito democratico ed ex presidente della Commissione sui femminicidi della scorsa legislatura istituita in Senato, e Valentina Ghio (Pd). 

L’opinione pubblica

Il 92 per cento degli italiani e delle italiane, secondo i dati del rapporto, pensa di essere molto o abbastanza informato sul fenomeno. È ancora più alta la percentuale, il 98 per cento, delle donne a considerare rilevante la violenza, mentre lo è per il 95 per cento degli uomini. La violenza, per il 74 per cento delle persone sentite, è aumentata e per l’80 per cento le misure della politica e le leggi attuali non sono sufficienti a prevenire e contrastare la violenza di genere. 

Le donne italiane che dichiarato di aver subito violenza verbale, emotiva o fisica da parte di un uomo sono il 36 per cento, in maggioranza ragazze con meno di 25 anni. Ma sono moltissime (84 per cento) le donne che dichiarano di non aver ricevuto o non aver cercato aiuto e sostegno. Perché? «Vergogna, mancanza di informazioni su chi contattare, timore di non ottenere il supporto necessario o paura di ritorsioni da parte dell’autore della violenza», riporta lo studio.

«Tra gli uomini», invece, «una schiacciante maggioranza allontana da sé il problema: l’84% dice di non aver mai manifestato comportamenti violenti, né fisici né verbali, nei confronti di una donna». C’è una cosa su cui converge l’attenzione di uomini e donne: si chiede, in egual misura, educazione e sensibilizzazione delle persone, a partire dall’età scolare. 

“Oltre le parole”

Disinteresse e retorica della narrazione politica. È questo che denunciano le organizzazioni, considerando che la stessa premier, Giorgia Meloni, in un anno ha parlato di violenza sui suoi canali social solo quattro volte. Non basta, concludono, serve che il governo e le istituzioni incidano sulla cultura responsabile del reiterarsi della violenza maschile contro le donne in Italia con interventi strutturali, adeguatamente finanziati e gestiti da personale qualificato, l’introduzione dell’educazione sessuale affettiva nelle scuole.

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