«O si approva la proposta di legge Voto dove Vivo, bloccata da 20 mesi al Senato e che garantirebbe in modo definitivo il diritto di voto ai fuorisede, o si procede con un emendamento al decreto elezioni, come avvenuto per le elezioni europee 2024, anche per i prossimi referendum. Questa volta, però, estendendo tale facilitazione anche ai lavoratori e a chi vive lontano dalla residenza per necessità di cure, non solo agli studenti».

Thomas Osborn, del Comitato Voto dove Vivo, lo dice in maniera chiara durante la conferenza stampa del 4 marzo al Senato. A cui - oltre a 39 associazioni, come Cgil, radicate sui territori del paese, che si battono da anni per garantire il diritto-dovere di voto anche ai cittadini che vivono lontani dalla casa in cui sono nati - hanno partecipato anche Marianna Madia, Marco Meloni, Andrea Giorgis, Rachele Scarpa del Partito democratico, Roberto Giachetti di Italia viva, Riccardo Magi (+Europa), Giulia Pastorella (Azione), Vittoria Baldino (M5s), Beppe De Cristofaro e Marco Grimaldi (Avs).

«Un modo per mostrare l’unione delle opposizioni in questa battaglia che va avanti da anni», ha detto subito il senatore del Pd Marco Meloni, che ha guidato la conferenza: «Ho cominciato questa battaglia nel gennaio 2014, è incredibile che dopo 11 anni siamo ancora qui. Con pochi risultati raggiunti. L’idea che nel 2025 si possa votare ancora con le stesse modalità del 1948 è fuori luogo. E lo dimostra l’astensionismo che cresce. In quasi tutte democrazie del mondo si più votare per corrispondenza o attraverso l’utilizzo di tecnologie digitali, proprio per favorire partecipazione democratica».

5 milioni di astenuti involontari

L’Italia, invece, è uno dei pochi paesi europei, insieme a Cipro e Malta che sono isole, in cui questo non è concesso ai cittadini - studenti, lavoratori, o chi si è spostato per necessità di cure - che vivono in un comune diverso da quello in cui sono residenti.

Sono cinque milioni di persone che, secondo quando ha detto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, durante un question time alla Camera il 12 febbraio scorso, non potranno votare neppure ai cinque referendum che si terranno la prossima primavera - quello sulla cittadinanza che propone di dimezzare da 10 a 5 anni il tempo di residenza legale in Italia e quelli sul lavoro - «perché manca una copertura legislativa», aveva risposto il ministro Piantedosi a Riccardo Magi.

Eppure, la proposta per una legge che possa consentire agli elettori domiciliati fuori dalla propria residenza di andare alle urne nel comune in cui vivono c’è. Peccato che, dopo l’approvazione alla Camera il 4 luglio 2023, sia in attesa di essere calendarizzata per la discussione dalla commissione Affari costituzionali, in Senato. Il testo aveva preso forma dalla fusione di cinque proposte di legge diverse firmate dai partiti di opposizione, poi trasformate in una legge delega dal governo Meloni, secondo cui, in pratica, dovrebbe essere il governo a regolare l’esercizio del diritto di voto degli elettori fuorisede e a ridefinire i prezzi per i trasporti per chi va alle urne nella città di residenza.

Ma è passato più di un anno e la proposta di legge è ferma.

il precedente migliorabile delle ultime europee

Come ha spiegato Alessandro De Nicola, del Comitato Voto dove Vivo, però, «un momento di discontinuità rispetto al vuoto degli ultimi anni c’è stato: si tratta della sperimentazione messa in atto dal governo per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno 2024, quando grazie a un emendamento al decreto elezioni i soli studenti fuorisede (circa 500mila su 4,9 milioni di fuorisede) hanno avuto la possibilità di votare anche lontano da casa».

Hanno utilizzato questo nuovo strumento circa 17mila persone, una percentuale bassa di elettori secondo il ministro Piantedosi, che però - come hanno sottolineato la maggior parte dei relatori durante la conferenza stampa - andrebbe contestualizzata, guardando anche ai dati sull’astensionismo, ad esempio, o ad alcuni requisiti specifici richiesti dall’emendamento per permettere agli studenti effettivamente di votare nel comune di domicilio che hanno complicato le procedure. E anche ricordando che i tempi a disposizione degli elettori per fare la richiesta di voto fuorisede sono stati stretti.

«Crediamo che il primo doveroso passo sia permettere ai fuorisede di votare ai prossimi referendum. Con l’obiettivo di favorire la partecipazione, fondamentale in una consultazione che prevede il quorum del 50 per cento più uno per essere valida. E fondamentale in un momento di crisi della democrazia come quello che stiamo vivendo. Noi di Voto dove vivo sottolineiamo, però, anche che i tempi sono maturi per permettere ai fuorisede di votare a in ogni consultazione, come avviene in quasi tutti i paesi europei: le proposte le abbiamo fatte, ora sta alla politica metterle in pratica», conclude De Nicola, raccogliendo l’appoggio degli altri speaker seduti nella sala “caduti di Nassirya” di Palazzo Madama che garantiscono massimo impegno nel fare pressione sul governo affinché ci sia per tutti la possibilità di votare lontano da casa, almeno per i prossimi referendum.

«Se il governo nega questo diritto si assume la responsabilità di infliggere una grandissima ferita alla nostra democrazia», conclude il senatore dem Marco Meloni, sottolineando come il mancato interesse del governo attuale di garantire il voto di studenti e lavoratori fuorisede ai prossimi referendum possa anche essere letto come una tattica per evitare di raggiungere il quorum: «Visto che con la sperimentazione alle europee abbiamo già dimostrato che il voto fuorisede è possibile, non c’è altra ragione per non metterlo in pratica».

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