Il 16 ottobre 1923 a Burbank prendeva vita uno studio d’animazione destinato a diventare un impero. Un secolo dopo, i lungometraggi d’animazione si sono iscritti nella memoria collettiva e vengono reinterpretati in live-action e con più attenzione ai diritti civili. Non sono mancate le critiche e gli aggiustamenti, e rimane la curiosità sulle svolte più tecnologiche
Un patrimonio da più di 200 miliardi di dollari, secondo Forbes, e ricavi annui da 80 miliardi. Produzioni originali di film e cartoni animati, un servizio streaming on demand da quasi 160 milioni di abbonati, parchi divertimenti, canali di broadcasting, canali sportivi, merchandising.
Sono passati 100 anni tondi da quel martedì di metà ottobre a Burbank, contea di Los Angeles, poche miglia a nord-est di Hollywood, in cui due fratelli firmarono i documenti per fondare il loro studio di animazione, Disney Brothers Cartoon Studios. Buzz Lightyear in Toy Story (1995) si lanciava al grido di «Verso l’infinito e oltre!», e viene naturale chiedersi quale sia la posizione di lancio da cui il colosso Walt Disney Company partirà, potenzialmente per i prossimi 100 anni.
Sono numerose le iniziative di compleanno, tra aste di oggetti firmati realizzati per l’occasione il cui ricavato andrà in beneficenza e la realizzazione di un corto, Once upon a studio, che chiama a raccolta 543 personaggi da più di 85 lungometraggi e corti Disney, disponibile su Disney+ dal 16 ottobre.
Il richiamo alla loro storia secolare del resto non passa solo per i contenuti creati ad hoc per i festeggiamenti: è anche una strategia che la Walt Disney Company sta portando avanti con costanza da diversi anni, tanto che Vulture ha scritto una volta che la società «stava scavando con più forza che mai nel proprio passato d’animazione».
Da Biancaneve a Biancaneve
Le tappe fondamentali sono note: nel 1928 Topolino compare in Steamboat Willie ed è un successo in grado di rimpolpare le casse della società, magre dopo la perdita dei diritti del primo animaletto disegnato da Disney insieme a Ub Iwerks, il coniglietto Oswald, di proprietà della Universal.
L'anno dopo arrivano le Sinfonie Allegre, a livello societario avvengono un po' di trasformazioni, poi arriva il Technicolor, sui cui Walt Disney riesce a ottenere un'esclusiva di tre anni. Nel dicembre del 1937, arriva nelle sale il primo lungometraggio d'animazione targato Disney: Biancaneve e i sette nani.
Da lì alla morte di Walt Disney nel 1967 i successi si susseguono: Cenerentola, Le avventure di Peter Pan, La carica dei cento e uno, Mary Poppins. Fioriscono le controllate, vengono costruiti i Walt Disney Studios a Burbank, arrivano le serie e i programmi per l'Abc come Il club di Topolino, apre il primo parco a tema Disneyland in California.
Per quanto la filmografia Disney sia vastissima, non tutti i decenni sono stati particolarmente creativi: in riferimento ai Classici Disney, dopo i titoli azzeccati degli anni Cinquanta e Sessanta si è impennata di nuovo negli anni Novanta, con film come La bella e la bestia, Aladdin, Il re Leone, Hercules.
Anche i film Pixar hanno avuto il loro peso nel dare nuovo lustro alla Disney, che aveva un contratto da 10 anni con la società che ha poi finito per acquistare nel 2006: Toy Story, il primo lungometraggio in computer grafica, ad esempio, o Monsters & Co, uscito in tempo per essere nominato al primo premio Oscar al miglior film di animazione. Quell'anno vinse Shrek della Dreamworks, ma Alla ricerca di Nemo portò presto la statuetta a casa Pixar, e da allora la grande maggioranza dei film premiati è rientrata nella galassia Disney.
Nonostante la Disney continui a produrre almeno un lungometraggio d'animazione all'anno, con titoli come Frozen e Zootropolis capaci di superare il miliardo di dollari di incassi, e un film come Encanto abbia conquistato TikTok, con la canzone originale Non si nomina Bruno in testa alla Billboard Hot 100 per più di una settimana, negli ultimi tempi è stato dato un grande spazio ai live-action, i remake “in carne e ossa” dei classici più amati.
Da Alice nel paese delle meraviglie, diretto da Tim Burton, a Cenerentola, al Re Leone questa operazione nostalgia ha incontrato critiche, ma è allo stesso tempo redditizia. Come osserva Screen Rant in un'analisi del fenomeno, questi remake sono una puntata sicura, dal momento che le storie sono già amate dal pubblico e permettono di risparmiare anche tempo e soldi nella fase di pre-produzione: non ci sono nuovi diritti da acquistare.
Senza contare tutti i titoli targati 20th century Fox, Marvel, Searchligh Pictures, e il franchise di Star Wars, che fanno tutti parte della galassia Walt Disney Company, quello che ci sarà quindi nel futuro è senz'altro nuovi remake: è in uscita a breve Biancaneve, e si parla di un Hercules prodotto dai fratelli Russo e diretto da Guy Ritchie.
Joe Russo ha detto a Variety nel novembre 2022 che la vicenda del semidio che vuole diventare un eroe «sarà un po' più sperimentale nei toni e nell'esecuzione», rispetto agli altri progetti che sono rimasti piuttosto fedeli all'originale animato. Si parla prima di tutto di un musical, con un occhio ultracontemporaneo: «Il pubblico oggi è abituato a TikTok, giusto? Quali sono le loro aspettative su come deve essere un musical?». Ad agosto è girata sui social la notizia, ancora da confermare, che nei panni di Hercules e Megara ci saranno Tagar Egerton (già Elton John in Rocketman) e la cantante Ariana Grande.
Anche un remake di Oceania potrebbe essere in programma per il 2025: Dwayne “The Rock” Johnson, che ha doppiato il personaggio di Maui nel cartone, ha annunciato il progetto in un video rilasciato in aprile.
Quanto alle storie originali, i prossimi film in uscita sono Wish a novembre, sulle stelle che esaudiscono i desideri, ed Elio, previsto in primavera, che avrà una deriva fantascientifica con tanto di alieni. In arrivo c'è anche il seguito di Inside Out e Mufasa, un prequel del Re Leone.
La sfida dell’inclusività
Ridare vita a vecchie storie non è solo la scelta confortevole che sembra. Nel campo della letteratura e della cinematografia è in atto da tempo un lavoro di rielaborazione e riattualizzazione delle storie, soprattutto per bambini, uscite in un contesto differente da quello odierno e che rivelano stereotipi sessisti, razzisti o abilisti.
È un tema che è stato affrontato ad esempio per quanto riguarda i romanzi di Roald Dahl, e inevitabilmente va a toccare una produzione vasta come quella disneyana, che per i suoi lungometraggi deve risalire fino al 1937.
Sulla piattaforma di streaming Disney+, per esempio, titoli come Peter Pan sono accompagnati da un avviso: «Questo programma include rappresentazioni negative e/o trattamenti errati nei confronti di persone o culture. Questi stereotipi e comportamenti erano sbagliati allora e lo sono oggi. La rimozione di questo contenuto negherebbe l'esistenza di questi pregiudizi e il loro impatto dannoso sulla società. Scegliamo invece di trarne insegnamento per stimolare il dialogo e creare insieme un futuro più inclusivo».
Se nei film già realizzati la scelta quindi è di contestualizzare per non dimenticare il percorso fatto, nei remake Disney ha l'occasione di correggere il tiro e rispettare il proprio impegno «a creare storie con temi ispiratori e aspirazionali che riflettano la ricca diversità dell'esperienza umana in tutto il mondo», come prosegue il disclaimer.
La scelta di scritturare Halle Bailey, un'attrice nera, per interpretare Ariel in La sirenetta è stata oggetto di attacchi: «Il pubblico è possessivo nei confronti di una proprietà culturale come i classici Disney, perché servono, in tanti modi, a rinforzare la tradizionale narrativa statunitense: nei mondi bianchi, tutti gli eroi sono bianchi», è stato scritto sul Guardian.
Allo stesso modo, Rachel Zegler, che vestirà i panni della nuova Biancaneve, è stata attaccata per le sue origini in parte colombiane, che, stando ad alcuni, tradirebbero il requisito del personaggio «con la pelle bianca come la neve». Zegler ha bollato la polemica come “nonsense” su X, il vecchio Twitter, chiedendo alle persone di smettere di taggarla in tweet a riguardo.
L’adattamento del lungometraggio ha richiesto anche un altro aggiustamento: l’attore di Game of Thrones Peter Dinklage ha infatti accusato la Disney di applicare «doppi standard», dal momento che il film avrebbe comunque previsto la presenza dei sette nani. La società ha risposto che «per evitare di rinforzare gli stereotipi del cartone originale useremo un approccio diverso per i sette personaggi, e ci stiamo consultando con la comunità delle persone affette da nanismo».
Disney negli ultimi anni si è esposta di più anche sulle tematiche Lgbtq+, ospitando la parata del Pride a Disneyland Paris o costruendo trame e personaggi che rompessero il canone eterosessuale: Le Tont nel remake della Bella e la Bestia era stato applaudito come il primo personaggio apertamente gay, non senza qualche rimostranza dello stesso attore che lo interpretava sul fatto che si sarebbe potuto fare di meglio.
La controversia tra Disney e il governatore Ron DeSantis sui parchi divertimenti in Florida degli ultimi mesi sembra poi aver preso le mosse proprio dal comunicato rilasciato dalla società a supporto della comunità Lgbtq+ nella scia del progetto di legge ribattezzato “Don't say gay”.
La legge prevede che non si faccia in nessun modo accenno nelle scuole elementari ad argomenti relativi all’orientamento sessuale e all'identità di genere, e aveva ricevuto critiche dal presidente Joe Biden e dall'ex amministratore delegato di Disney (ex all'epoca, ora è di nuovo in carica) Bob Iger.
L'Orlando sentinel aveva rivelato che la Disney in realtà finanziava alcuni degli sponsor dietro il disegno di legge: i lavoratori avevano chiesto una presa di posizione netta, e in particolare i dipendenti della Pixar avevano lamentato una politica interna che riduceva di molto le scelte creative che includevano storie d'amore o personaggi esplicitamente omosessuali. All'uscita di Lightyear, si è scoperto che i creativi avevano insistito per far inserire la scena di un bacio che era stata precedentemente tagliata.
Lo streaming
Il futuro passa anche per le scelte distributive. Oltre a essersi allargata ai franchise come la Marvel e Star Wars, nell'immediato pre-pandemia la Walt Disney Company si è lanciata nel settore dei servizi di streaming on demand con la propria piattaforma Disney+. Adesso, l'intero settore dello streaming sta andando incontro a diversi aggiustamenti, tra innalzamento dei costi di abbonamento e restrizioni sulla condivisione degli account. Anche la stessa uscita di film in contemporanea in sala e sugli schermi on demand è una pratica su cui tutti i servizi si stanno ora interrogando.
In agosto Forbes segnalava che nel terzo trimestre fiscale la piattaforma aveva perso più di 11 milioni di iscritti. Tuttavia, Bob Iger, che è tornato nella veste di Ceo di Disney dopo la parentesi di Bob Chapek, ha annunciato che lo streaming è una delle tre direzioni su cui puntare per la crescita, insieme alla produzione di contenuti e ai parchi. A settembre la compagnia ha comunicato anche che espanderà l'investimento nel settore dei parchi a tema.
L’intelligenza artificiale
Quanto ai passi futuri nel campo della tecnologia, Reuters ha rivelato in agosto l'esistenza di una «task force» per «studiare l'intelligenza artificiale e la sua applicazione nel campo dell'intrattenimento». Disney non ha commentato, mentre una fonte anonima avrebbe detto a Reuters che «società come Disney devono capire l'intelligenza artificiale o rischiano l'obsolescenza».
La presunta task force sarebbe stata avviata prima dell'inizio dello sciopero degli attori di Hollywood, che tra le richieste avanzate dal sindacato presenta proprio la necessità di regolamentare l'utilizzo dell'intelligenza artificiale nel cinema.
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