Il primo giorno di scuola, in un istituto alberghiero di Pompei, un tredicenne ha accoltellato alla schiena un coetaneo per una ragazza. L’aggressione è avvenuta all’uscita e la vittima ha riportato lievi ferite da taglio, mentre l’autore è stato identificato e la sua posizione adesso è al vaglio della procura dei minori di Napoli.

La percezione negli ultimi mesi è che il numero di reati commessi da giovanissimi e adulti con coltelli – le cosiddette “armi bianche” – sia in aumento. Risse finite con accoltellamenti, violenze domestiche e omicidi in cui l’arma del delitto è una lama: cronache di questo genere sono sempre più frequenti sui media, ma il fenomeno è difficilmente quantificabile nel dettaglio, visto che spesso i coltelli vengono utilizzati per commettere altri reati, per risolvere litigi o commettere rapine.

Una fotografia disponibile, in particolare per quanto riguarda i giovani, è quella report 2024 sulla “Criminalità minorile e gang giovanili” del Dipartimento pubblica sicurezza e Direzione centrale della polizia criminale del ministero dell’Interno, che ha messo in luce un aumento del 2 per cento delle lesioni dolose per cui sono stati segnalati under 18 fra il 2022 e il 2023.

All’estero

Se in Italia la questione si sta affacciando ora all’attenzione mediatica come in espansione, in altri paesi ha raggiunto una soglia più drammatica. In Svizzera, per esempio, i casi di lesioni gravi e omicidi tra i minori in cui vengono utilizzati i coltelli sono cresciuti in modo significativo per i dati locali: da 5 omicidi e 4 lesioni nel 2016 a 12 omicidi e 25 lesioni nel 2022. Per questo nel 2023 la Prevenzione Svizzera della Criminalità ha lanciato una campagna di sensibilizzazione destinata ai giovani, con l’obiettivo di invitare i giovani a non uscire la sera con il coltello in tasca. Lo slogan: «Tua madre non vuole venirti a trovare in prigione».

Anche in Germania la soglia di attenzione si è alzata soprattutto dopo l’attentato di fine agosto a Solingen rivendicato dall’Isis, dove un ventiseienne siriano è stato arrestato con l’accusa di essere l’attentatore che ha ferito otto persone e ne ha uccise tre con un coltello.

In seguito ai fatti le autorità tedesche stanno ipotizzando di istituire zone “libere da coltelli” intorno alle stazioni ferroviarie e in altri luoghi dove gli accoltellamenti sono più frequenti, ma anche di inasprire le pene per l’uso improprio dei coltelli e di lanciare campagne di sensibilizzazione. Del resto, secondo un rapporto del ministero dell’Interno tedesco, nel 2023 ci sono stati 13844 crimini all’arma bianca, con una media di 38 al giorno un aumento del 15 per cento rispetto all’anno precedente.

Se per l’Europa continentale il fenomeno appare esploso nell’ultimo anno, è invece ormai un’emergenza nazionale nel Regno Unito, dove il tema è al centro del dibattito sulla pubblica sicurezza. I reati all’arma bianca sono aumentati del 35 per cento dal 2011 e da aprile 2022 a marzo 2023 si sono registrati in Inghilterra e Galles 244 morti per accoltellamento (il 41 per cento sul totale degli omicidi).

Nel 2023, addirittura, a Liverpool sono stati installati nel centro della città i primi sei “kit per la sopravvivenza da accoltellamento”: scatole rosse appese al muro in cui sono contenuti lacci emostatici, guanti, forbici e sigillanti per ferite al petto e possono essere aperti con un codice che viene fornito dall’operatore di emergenza una volta contattato. Altre 20 dovranno essere installate nel nord-ovest del paese e 1500 kit portatili sono stati distribuiti a pub, discoteche e scuole della regione.

L’iniziativa è stata presa dalla ong KnifeSavers fondata da medici insieme alle vittime di ferimenti: «Dopo che è stata accoltellata, una persona può morire dissanguata in cinque minuti. Un’ambulanza, quando risponde velocemente, di solito ci mette sette minuti per arrivare sulla scena», si legge sul sito di presentazione dell’iniziativa. «KnifeSavers vuole che tutti siano in grado di fermare il sanguinamento, mantenendo in vita il ferito abbastanza a lungo perché arrivi l’ambulanza».

L’insicurezza

La soglia di emergenza in Italia non ha raggiunto queste proporzioni, ma la sensazione è quella che sia in corso una sorta di normalizzazione dell’uso delle armi bianche tra i giovani. La ragione di un fenomeno ancora poco studiato è duplice: da una parte la facilità di procurarsi un coltello, dall’altra la percezione che portarlo in tasca per protezione non abbia conseguenze penali.

Se ne è occupato in modo approfondito da Ciro Cascone, che per vent’anni è stato procuratore capo presso il tribunale dei minorenni di Milano e oggi è Avvocato Generale presso la Corte d'Appello di Bologna. «In generale, nel caso in cui un minorenne incensurato venga trovato con un coltello in tasca, la strada è quella di una rapida fuoriuscita processuale motivata dall’irrilevanza penale del fatto», spiega Cascone, che a Milano ha invece deciso di cambiare questa prassi: «La mia scelta in questi casi è stata quella di mandare il ragazzo a processo, ma con l’obiettivo di sensibilizzare lui e soprattutto la famiglia al fatto che i coltelli fanno male e che possono essere il primo passo verso una strada pericolosa».

In effetti, fino al 2023, quando si veniva trovati con indosso coltelli o armi bianche al momento di una perquisizione scattava la contravvenzione prevista dall’articolo 4 della legge 110 del 1975, la cosiddetta “legge Armi”. Oggi, invece, il governo Meloni – attraverso l’ormai famigerato decreto Caivano per contenere la delinquenza giovanile – ha inasprito le conseguenze penali, prevedendo la reclusione da uno a quattro anni per «chiunque porti fuori dalla propria abitazione, o appartenenze di essa, un’arma per cui non è necessaria la licenza», con un aggravamento da un terzo alla metà se il fatto avviene vicino a scuole, banche, uffici postali, stazioni ferroviarie e giardini pubblici, o da persone mascherate.

Parlando con i ragazzi imputati, Cascone racconta che «molti dicono che girano col coltello per difendersi, perché in loro è cresciuta la sensazione di insicurezza, soprattutto in alcune zone di Milano. Ma il coltello in mano a un ragazzino è un pericolo: se ce l’hai in tasca, rischi di tirarlo fuori e usarlo. Per questo ho scelto di adottare la linea della tolleranza zero». Cascone, tuttavia, ha ben chiaro un dato: la risposta al problema non è penale. «La giustizia interviene dopo per quello che può, ma è necessario intervenire con politiche di prevenzione giovanile, con la sensibilizzazione delle famiglie e con il recupero dei minori. Molti si possono riagganciare prima e, se si fa prevenzione, si è poi anche più sereni nell’attuare la repressione penale nei casi in cui è necessaria».

Per questo, in merito al decreto Caivano, sottolinea come «l’inasprimento della pena può essere utile solo se inserito in un pacchetto più ampio, ma da solo non risolve nulla. Aumenta solo la popolazione carceraria minorile, che infatti è stata la diretta conseguenza del decreto Caivano. Ora gli istituti scoppiano e non servono allo scopo per cui sono pensati: sono il risultato di anni di mancati investimenti».

Racconta infatti che a Milano capitava spesso di chiedere per un minore una misura cautelare in comunità, ma spesso si aspettava anche cinque mesi per eseguirla e magari l’unica struttura disponibile era in Puglia, «Ma come si fa a spedire un ragazzo a mille chilometri dalla famiglia?».

Il problema dei reati commessi con coltelli, tuttavia, racconta di un tipo di criminalità non strutturata, che cresce in un sottobosco di violenza ed è figlia di un disagio dalle molte cause, ma principalmente di natura culturale. Nel Regno Unito, dove da anni si studia il fenomeno, gli accademici hanno messo in relazione l’aumento di questi reati con la riduzione drastica del welfare per i minori negli ultimi quindici anni (422 milioni di sterline in meno in servizi per i giovani, 600 centri giovanili chiusi e 130 mila posti in meno nei centri giovani).

Ad oggi, tuttavia, la risposta del governo è stata principalmente securitaria, rafforzando i poteri di polizia. Secondo i criminologi Jo Deaking e Laura Bui dell’Università di Manchester, tuttavia, questa risposta è fallace, perché si basa sul fraintendimento di poter prevenire la violenza identificando e punendo i soggetti a rischio. Ma «stigmatizzando i giovani come a rischio crea in loro un conflitto con l’autorità», diminuendo la fiducia nelle forze dell’ordine e aumentando il loro senso di insicurezza. Lo stesso che provoca l’istinto di girare armati. 

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