Le ragazze si allontanavano dal piazzale di una stazione delle corriere male illuminata, ridevano tenendosi per mano e guardandole abbiamo pensato che non potevamo proteggerle tutte. Non potevamo proteggerci tutte. Allo stesso modo guardavamo l’ombra sullo zigomo di un’amica sentendoci impotenti, perché non siamo mai riuscite a farci dire che cos’era.

Abbiamo detto e scritto tante volte da perderne il conto: «(Se succede qualcosa o se pensi che possa succedere qualcosa) chiamami in qualsiasi momento». Tra parentesi c’era quel che non osiamo dire per paura di essere indiscrete, offensive, per paura di evocare il peggio e l’orrore con le nostre stesse parole.

È capitato che trascorressimo giorni e notti, o vite intere, con persone che potevano accarezzarci il collo. Sempre pensavamo, da qualche parte neanche troppo in fondo alla coscienza, che quella mano poteva strangolarci e se lo avesse fatto lo avrebbero chiamato raptus.

Entrando in una macchina, in una stanza, in un ufficio, in una casa abbiamo valutato le possibili vie di fuga. Spesso era proprio casa nostra, quella che condividevamo con gli affetti più intimi. Ci siamo chieste se buttandoci dalla finestra saremmo sopravvissute e, in quel caso, se avremmo avuto abbastanza forze per scappare ancora. Raramente ci siamo immaginate non in fuga.

Era normale e anzi, considerato segno di responsabilità personale, mandare un messaggio ad almeno un’amica in modo che sapesse dove eravamo e con chi. L’assunzione di responsabilità personale era comunque, sempre e in ogni caso, questione di nostra esclusiva competenza. Così, sempre e in ogni caso, nostra era la colpa.

Il regno dell’infelicità 

Il 2024 è stato un anno come un altro in cui le donne hanno continuato a essere ammazzate dagli uomini e gli uomini hanno continuato a non volerne parlare.

Non ci siamo mai fidate di loro, di nessuno di loro. Questo sentimento totalizzante non si è sviluppato oggi, la settimana scorsa, un anno fa. È cresciuto dentro di noi fin dall’infanzia. A quel tempo la paura animava in modo quasi eguale ogni creatura. Gli uomini erano bambini molto piccoli e in quanto tali erano, come noi, i più inermi e abusabili della terra. Le nostre strade si sono divise quando abbiamo iniziato a intuire che ci avrebbero programmate e programmati come specie diverse.

Di qua chi colpisce, di là chi viene colpito.

Di qua chi ammazza, di là chi viene ammazzato.

Di là non siamo da sole, siamo con tutte le persone considerate materiale utilizzabile e scarto smaltibile. Siamo talmente tante da essere la maggioranza della popolazione del pianeta terra. Siamo più di voi (gli uomini).

Eppure non rovesciamo mai il vostro regno di infelicità collettiva. Almeno, non è ancora accaduto. Non è ancora accaduto anche se dite il contrario. A prescindere dal credo politico e dall’estrazione sociale vi abbiamo sentito dire infinite volte (con grida scomposte o con il tono pacato di chi è l’unico adulto in sala) che stiamo esagerando, che non si può più dire nulla, che le donne ormai sono dappertutto. Faceva più male quando accadeva con un uomo che credevamo vicino, affine, amico, compagno, alleato. Ne ha fatto ancor di più quando abbiamo capito che accadeva perché ogni élite si agita di fronte al rischio di non essere più tale.

Speranza e pretesa

Secondo l’Osservatorio Nazionale Femminicidi Lesbicidi Trans*cidi di Non una di meno, all’8 novembre 2024 il numero di questi delitti è 104. Al 25 ottobre la cifra del ministero dell’Interno riportata da Ansa è 90. Sempre su Ansa si sottolinea che la cifra segna una flessione rispetto all’anno precedente (-6 per cento).

Ma flessione per noi non significa nulla. È un concetto vuoto. Non ospita consolazione né speranza. La consolazione è la caramella con cui ci vogliono ammansite dopo uno schiaffo o una coltellata. La speranza è la nostra tomba. La speranza è fiducia in una salvezza calata dall’alto, concessa da chi ha il potere di volerci vive o morte, sane o martoriate.

Qui nessuna spera che ci concediate di continuare a vivere, in compenso tutte pretendiamo di non essere mai più uccise.

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