Nel discorso finale ad Atreju la premier ha usato il linguaggio del corpo per dirci che i vari Prodi e Saviano non sono suoi nemici, ma del popolo sovrano. Le sue scelte di comunicazione politica manifestano il carattere antipluralista della nuova destra europea. Una caratteristica che alimenta i rischi di una deriva autoritaria
Il discorso tenuto da Giorgia Meloni a conclusione di Atreju, la manifestazione di FdI organizzata a Roma, merita di essere visto in video più che letto nei resoconti che ne hanno dato i giornali. Perché prima ancora dei contenuti conta il modo in cui sono formulati e espressi; contano il tono della voce, la gestualità, la mimica facciale: insomma il linguaggio del corpo. Un linguaggio che non lascia scampo a quelli con cui Meloni se l’è presa.
E così Maurizio Landini è accusato di fare gli scioperi non per sostenere i lavoratori, ma per rafforzare la sinistra. Ogni patriota, poi, deve essere fiero delle critiche di Romano Prodi, perché dimostrano di essere dalla parte giusta della storia. Quanto a Roberto Saviano, i successi del governo nella lotta alla camorra non gli consentono di fare più una serie televisiva milionaria. Che cosa cerca di dirci questa forma di comunicazione?
Vuole trasmettere l’idea che queste persone non sono degli avversari politici dai quali si può dissentire anche vigorosamente, ma dei nemici non solo della leader, ma del popolo sovrano. Che quindi possono essere a ragione denigrati. In sostanza, con le loro azioni, o con le idee che hanno espresso, si sono qualificati come dei manipolatori, delle figure che ingannano il popolo anche per interessi personali. In ogni caso essi sono membri di quell’establishment che la leader e i suoi sostenitori vogliono combattere in nome del popolo.
Quella tra avversari politici e nemici del popolo può sembrare una distinzione difficile da tracciare, e in ogni caso poco importante. Ma non è così. È bene invece attirare l’attenzione su questo aspetto perché è non meno rilevante – anzi forse lo è di più – delle critiche rivolte alla nuova destra in Italia e in Europa che sottolineano la nostalgia o anche i legami concreti con esperienze legate a regimi fascisti.
Discorsi come quelli recitati da Meloni sono da prendere seriamente in considerazione perché minano delle regole culturali non scritte ma non meno importanti per il funzionamento e la vitalità delle democrazie: le regole della comunicazione politica. Quelle che il noto economista conservatore, studioso della democrazia, Joseph Schumpeter, chiamava regole non scritte dell’“autocontrollo democratico”.
Esse presuppongono il riconoscimento degli oppositori come legittimi rappresentanti di distinti interessi economici e sociali che hanno ragione di esistere in una democrazia, e con i quali il governo si deve confrontare guidato dal proprio indirizzo politico.
Rischi di deriva autoritaria
Invece, le forme di comunicazione politica scelte da Giorgia Meloni manifestano il carattere nel fondo antipluralista della nuova destra europea. Ed è proprio questa caratteristica che alimenta i rischi di una deriva autoritaria, testimoniata dal fastidio, se non dall’ostilità esplicita, del governo nei riguardi di strumenti istituzionali di controllo e bilanciamento dei poteri tipici delle democrazie rappresentative, che ne limitano la possibilità di azione “in difesa del popolo” dei cui interessi si propone come vero difensore (vedi riforma del premierato, atteggiamento verso magistratura e media).
Lo stile di comunicazione meloniano è stato in genere meno considerato, ma dovrebbe essere più attentamente valutato. Non basta ad attenuarne la portata la distinzione tra il ruolo istituzionale di presidente del Consiglio e quello più politico di leader di partito. Certo, è difficile immaginare Giorgia Meloni usare a Bruxelles lo stesso modo di comunicare del comizio romano. Ma questa giustificazione non è sufficiente ad allontanare i rischi dello “stile romano”.
Non ha mai fatto bene alla salute della democrazia un clima dell’opinione pubblica riscaldato dai discorsi di leader capaci di trascinare le folle rompendo le regole informali della comunicazione politica, che non sono meno importanti di quelle istituzionali (checks and balances). E presuppongono il rispetto e il riconoscimento degli avversari.
Sarebbe bene che le culture politiche più sensibili – liberale, socialdemocratica, cattolicodemocratica– unissero le loro voci a sostegno di questa infrastruttura culturale fondamentale della democrazia.
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