Donald Trump ha vinto perché l’America è cambiata. Dal paese dell’innovazione, della sperimentazione sociale e del progresso scientifico, in molti hanno scritto di come la grande nazione sembra essersi trasformata in un paese spaventato del futuro, pieno di paure.

In realtà questa è piuttosto la foto dell’Europa: l’America è alla (pur confusa) ricerca di una nuova ambizione. In parte il tradizionale ottimismo americano, che gli europei prendevano in giro come ingenuo e un po’ pacioccone, sembra aver lasciato il posto ad un sentimento aggressivo e vittimista: è l’atteggiamento prevalente tra i wasp (white anglosaxon protestants) e tra i cattolici non latini (irlandesi, italiani, polacchi ecc.), cioè tra i bianchi che si sentono i costruttori del paese.

Le minoranze cambiate

È l’immagine proposta da Elegia americana di JD Vance il nuovo vicepresidente, in cui narra la difficile risalita della sua famiglia di “forgotten” cioè i dimenticati dalle élite di Washington DC e di New York City, ma che alla fine riesce a risollevarsi. È la rivincita degli hillbillies, dei cafoni di campagna e di tutti i bianchi non parte dell’élite.

Ma nella vittoria di The Donald non c’è solo questo: c’è anche l’inattesa reazione degli altri, coloro che bianchi non sono. Sono costoro ad aver assicurato al tycoon una vittoria definita potente. Trump ha aumentato i voti in tutti i settori della società, anche tra i neri, i latini, le minoranze e addirittura tra le donne. In questo caso non si tratta di un comportamento difensivo ma ottimista e battagliero.

A spiegare l’ampiezza della vittoria è la passione emotiva che spinge le minoranze a voler assomigliare e adeguarsi alla (pur esile) maggioranza bianca, associandosi così alla medesima categoria dei “fondatori”.

La sconfitta di Kamala Harris è quella degli Obama: l’idea di una coalizione delle minoranze o dei subalterni non funziona più. Le minoranze dimostrano di volersi aggregare alla maggioranza, casomai in cambio di un ruolo. È questa la via scelta dai latini ad esempio, cioè dagli immigrati latinoamericani (in primis i messicani) il cui sogno è diventare padroni a loro volta.

A nessuno piace la narrativa e l’identità da subalterni propagandata dal politically correct (adottato dai democratici) e dal wokismo successivo. La critical race theory immagina una società intersezionale, cioè divisa in sezioni (etniche, di gender, di razza, di origine, di ideologia, di orientamento sessuale, di identità ecc. ecc.) che approfondiscono la propria identità subalterna e si alleano insieme contro la (ex) maggioranza di bianchi privilegiati (cercando di farla sentire in colpa).

Doveva essere una rivoluzione sociale ma si è scontrata con l’avversità di una parte consistente delle minoranze medesime: non c’è alcun valore positivo nella subalternità e nel rancore sociale che porta con sé. Divide e non unisce.

Perciò hanno preferito allearsi con chi è (socialmente) ancora in cima: una narrazione da winners e non da losers (che Trump bene o male incarna). Occorre sempre tener conto dei simboli e dei valori reputazionali che si sfidano sul mercato della scala sociale: a nessuno attrae l’idea di rimanere inchiodato ad un’identità considerata (anche se a torto) inferiore.

In ogni caso a nessuno piace rimanere minoranza: molto meglio fondersi in una nuova maggioranza. Puoi abbattere tutte le statue che vuoi ma resterà sempre il fatto che la subalternità non rappresenta un valore in sé.

La prospettiva dei subalterni

Se ciò avviene per i neri d’America, figuriamoci cosa agita l’animo dei latini, abituati a casa loro a politiche autoritarie e a ideologie conservatrici, se non di destra estrema. Ordine sociale, sicurezza e uniformità pubblica sono i loro valori: non si vuole essere etichettati come “minoranze”, per di più subalterne, ma parte della maggioranza o al massimo di una nuova maggioranza.

Così molte altre minoranze, ad iniziare dagli asiatici senza dimenticare la classe media afroamericana. Così – fenomeno da studiare - anche le donne che non vogliono essere vittimizzate, considerate cioè vittime e bisognose di protezione.

Con Trump il “me too” trova il suo limite: in maggioranza le donne hanno votato per Harris ma in quantità non sufficiente a farla prevalere. Su questi tasti ha battuto efficacemente la propaganda di Trump, creando una nuova coalizione valida per tutti: quella degli americani forti e conquistatori, primi fra tutte le nazioni.

Una narrazione vincente che fa spazio a tutti (non importa chi sia, da dove venga o quale identità si dia), che accetti chiunque si allei con coloro che vogliono rifare grande l’America (Make America Great Again, MAGA).

Si tratta di una narrazione vigorosa e coinvolgente, che “dimentica” le identità e le diversità (una volta si sarebbe detto “colorblinded”, cieca davanti alle differenze). Per questo molte minoranze si associano a Trump per salire nella scala sociale, e molte donne lo votano malgrado tutto ciò che si è detto sulla sua misoginia.

Ci sarà anche da osservare la costruzione di tale idea di nuova coalizione attorno a JD Vance, il vicepresidente eletto. Molto più sobrio e meno sanguigno del suo capo, Vance ha fatto una buona campagna, ha vinto il dibattito contro il suo contendente e rappresenta il futuro dei MAGA. Sarà da tenere d’occhio.

Cosa avviene ora del partito democratico? Non gli basterà avere amici all’estero (agli americani non importa proprio nulla) ma dovrà ritrovare un’idea attorno alla quale provare a rivincere. L’alleanza dei subalterni (con il suo seguito wokista) non funziona: ci vuole qualcosa di molto diverso.

La guerra culturale (culture war) è stata vinta dai repubblicani, al costo di una trasformazione radicale del proprio partito e di un’epurazione delle proprie élite. Anche le chiese sono state coinvolte, quasi tutte a favore dei repubblicani.

Ora tocca ai democratici fare qualcosa di simile, liberarsi della vecchia élite e provare a parlare a tutti gli americani in maniera unitiva e non divisiva. Non basterà giocare di rimessa: ci vuole un discorso. Il partito democratico ha puntato su argomenti e idee che in realtà stavano dividendo la società: gli americani hanno mostrato di non gradire. Tornare indietro ai valori sociali di una volta (sanità, educazione ecc.) probabilmente non basterà. Se poi Trump farà davvero terminare le guerre in corso, diverrà molto difficile per i democratici risollevarsi: resterà loro attaccato il marchio da guerrafondai. Le sinistre europee prendano esempio rapidamente. 

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