Di fronte al disordine internazionale, all’incertezza e all’ansia che avvertiamo, l’Unione europea è in bilico fra bene e male. Fra eutopia e distopia. Fra l’opportunità di seguire i principi di coesione, sviluppo armonico e pace per cui è stata creata, rinnovandoli nel secolo della conoscenza digitale e delle migrazioni climatiche, oppure la tentazione ottusa di tornare alle proprie pratiche monopolistiche, belliche, coloniali e di accaparramento.

Le destre denunziano la disattenzione di chi governa l’Europa alla persona umana – che, trascurando la Costituzione italiana (art.3), insistono a chiamare “uomo” (come nel discorso di Madrid della presidente Meloni) – cogliendo con astuzia il metodo dirigista, non partecipato, di decisioni magari giuste (come il Green New Deal) dell’Ue.

Ma in realtà non dicono mai che le responsabilità delle crisi attuali stanno nel modo di organizzare produzione e territorio, nell’impulso monopolistico impresso dal neoliberismo al capitalismo. Predicano, invece, “conservazione”, condannando i popoli a conservarsi nell’attuale stato di disuguaglianze abissali ed esposizione indifesa al cambiamento climatico.

Nelle destre, la fusione fra pulsione autoritaria e neoliberismo non è tattica, è strategica, e colpisce duramente la persona umana. Di fronte a ciò, chi da tempo governa l’Europa non sa rispondere, perché, come le destre, non vuole o non sa più risalire alle cause strutturali delle ingiustizie, e perché non pratica più da tempo il dialogo sociale, non è in contatto con le aspirazioni, le sperimentazioni avanzate della società, delle sue imprese, dei poli territoriali di innovazione.

Quando “scopre” dalle proteste che le proprie misure non hanno tenuto conto dell’impatto sui più vulnerabili, ferma le macchine, fa marcia indietro, come nella direttiva per la Biodiversità o per l’Abolizione dei pesticidi. Anziché chiedere più accesso aperto alla conoscenza, la sola carta per ottenere uno sviluppo giusto, invoca più grandi corporation europee.

Anziché chiedere che l’Ue si indebiti sui mercati per finanziare un salto nel welfare universale europeo o per realizzare il “Cern della salute”, un’infrastruttura pubblica comune per la ricerca e sviluppo di farmaci che eviti il disastro della scorsa pandemia e prezzi impossibili delle cure future, invoca quel debito per aumentare le spese per la difesa. Nascondendo ciò che il rapporto Letta sul Mercato unico ci ricorda con franchezza, che mettere in comune la difesa consentirebbe di eliminare un’inefficienza di spesa stimata nel 40 per cento. Ma dunque la difesa comune può consentire di tagliare le spese, non di accrescerle. Insomma, il blocco che ha governato l’Europa, sotto le pressioni della destra, già torna a virare verso la distopia.

A portata di mano

Eppure, come argomentiamo col Forum disuguaglianze e diversità (ForumDD) in Quale Europa (Donzelli, a cura di Elena Granaglia e Gloria Riva), lo scenario eutopico è chiaro e a portata di mano. Non è scritto nelle nuvole, come vuole farci credere chi ripete a macchinetta che «non esiste alternativa».

Basta studiare con rigore, apprendere dalle sperimentazioni esistenti e attingere dal dibattito del parlamento europeo. Sì, quell’istituzione è viva, ascolta i saperi della ricerca e del fare, impegna ogni europarlamentare a misurarsi con quei saperi, consente e vede realizzarsi alleanze trasversali. Nei suoi lavori si misura con i temi da cui dipende il nostro futuro, da che parte del bilico cadremo.

Lo abbiamo visto quando, nonostante una rabbiosa reazione degli oligopoli del farmaco, un emendamento volto a realizzare davvero il Cern della salute ha ottenuto 156 voti e quasi 100 astensioni. Segno di un sano conflitto fra i due scenari. E che in questa drammatica crisi dei partiti contano le persone che noi porteremo in quel luogo, più di chi le presenta.

Tutte le nostre proposte, l’intero scenario eutopico, ruotano attorno a quel principio di coesione da cui sono partito: l’adattamento reciproco, la compattezza fra cittadini e cittadine d’Europa. Come scriveva Freud a Einstein nel 1932, solo l’insorgere di un’«identificazione» fra i membri di stati nazionali può impedire la guerra. L’Ue non ha senso per chi ne fa parte se si percepisce l’assenza di un impegno comune a migliorare la condizione di tutti e tutte.

Vero per ogni nazione; decisivo per un’unione ibrida di nazioni. Coesione è il principio che nel 2009 ha indotto a tentare di contrastare i crescenti divari territoriali interni all’Unione, di dare a chi vive in aree marginalizzate l’opportunità di ribaltare la propria condizione anziché andarsene. A fare questo con un metodo «sensibile alle persone nei luoghi», o place-based, superando contrapposizioni deleterie fra accentramento e decentramento, fra top down e bottom up e combinando saperi dei territori con saperi globali della frontiera tecnologica. Possibile. Realizzato in molti contesti. Ma lontano dalla testa di gran parte delle classi dirigenti politiche. Nel votare giudichiamo anche questo.

Coesione è il principio che dentro l’Europa ha condotto a sostituire la cortina di ferro con il passaggio libero delle persone, con la realizzazione di programmi transfrontalieri, con il superamento culturale dei lasciti delle guerre. Che in un luogo fascinoso e travagliato come il confine italo-sloveno ha spinto l’Europa a nominare Gorizia e Nova Gorica capitale europea della cultura 2025. E invece, sull’altro crinale del bilico, ancora una volta, sta la scelta di un ministro degli Esteri dell’Italia di prorogare ancora la sospensione degli accordi di Schengen, per fare finta di frenare flussi di migranti, che entrano comunque, e rigettare il popolo di quei territori nelle divisioni assurde e cupe del passato.

E allora anche lì sarà il ForumDD nei giorni prossimi per partecipare a Territori in Movimento, scuola di formazione itinerante da Monfalcone a Gorizia - Nova Gorica e dialogare su coesione, migrazioni, costruzione di comunità e sull’Europa a cui aspiriamo.

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