Non appena sono arrivato all’ultima pagina di Leggere Lolita a Teheran sapevo che sarebbe dovuto diventare un film, il mio film. Un regista israeliano, una scrittrice iraniana, una storia iraniana. Il mio film? Improbabile: era il 2009.

Avevo appena finito di girare Il Giardino di limoni (2008) che seguiva il successo della Sposa siriana, mi sembrava perfettamente logico continuare con la storia di una iraniana. Fui preso però dalla lavorazioni di altri film: Il responsabile delle risorse umane (basato sul libro di A. B. Yeyoshua) e da Playoff (2011), In fuga con il nemico (2012) e Dancing Arabs (2014), ero un regista molto occupato. Lolita venne rimesso al suo posto nella mia libreria.

Nel 2016 feci Shelter che aveva come protagonista la straordinaria attrice iraniana Golshifteh Farahani che in quel caso interpretava una spia libanese. Il nostro lavoro comune di quei mesi, la nostra amicizia, mi portarono a pensare che avremmo dovuto lavorare ancora presto insieme.

Così ritornai alla mia libreria, e al centro, brillava ancora Leggere Lolita a Teheran, che sembrava aspettarmi. Lo lessi di nuovo e nuovamente me ne innamorai.

«I Diritti non sono sicuramente disponibili», mi dissi, «ma dovrei almeno provare e sapere». Riuscii a trovare Azar Nafisi e ci parlammo al telefono.

«Lei pensa che avrebbe senso che un regista israeliano adattasse il suo libro più celebre per un film?», le chiesi. «Sarebbe stupendo», fu la sua risposta.

«E avrebbe senso se prendessi un aereo e venisse da lei per parlarne a quattr’occhi?»

«Assolutamente sì», fu la sua risposta.

Così la settimana successiva ero su un aereo. E qualche giorno dopo tornai a casa con un’opzione sui diritti cinematografici del libro. Sapevo di essere stato fortunato, mi sentivo felice e al contempo spaventato…

Con la mia sceneggiatrice, Marjorie David, scrivemmo il copione. Azar ci scrisse: «Grazie per aver capito il mio libro, il vostro lavoro è conciso e bello». Era già il 2018 e io mi imbarcavo in un lunghissimo viaggio per trovare i finanziamenti per il film. Non sapevo quanto ci avrei messo.

Nel frattempo avevo portato a termine un altro film, Spider in the web, e affrontato molti rifiuti relativi al film di Lolita.

Da subito e da sempre avevo avuto al mio fianco il mio socio israeliano, Moshe Edery (United Kings Films), che mi sosteneva senza nessuna esitazione, e Michael Sharfshtein, il produttore con cui ho lavorato per molti film film fin dagli anni ’80. Ma fu impossibile trovare dei soci nei miei abituali partner in Germania e in Francia. E poi vennero gli anni del Covid e le cose diventarono più complicate ancora. Nonostante questo non perdevo la speranza, sapevo che questo film aveva un suo destino, e che lo avremmo realizzato. Ne ero certo.

Dopo molte notti insonni, ho trovato una casa. In Italia. Non soltanto, al contrario di quello che sembrava inizialmente, l’Italia mise la maggior parte dei finanziamenti per il film, ma l’intero film fu girato a Roma. Teheran a Roma. Molti espressero seri dubbi sulla faccenda, ma io ero fiducioso sentivo così profondamente Teheran nel mio animo, che la percepivo e intravedevo anche a Roma. Sapevo di poter vincere questa scommessa.

I miei due meravigliosi produttori italiani, Marica Stocchi (Rosamont) e Gianluca Curti (Minerva Pictures) condividevano i miei progetti e ci credevano. Credevano nel nostro film anche quando dovemmo affrontare la difficoltà dei finanziamenti. Divenne chiaro, a un certo punto del 2021, che avremmo fatto questo film.

Iniziai il lungo processo del casting, insistendo sul fatto che nel film sarebbero apparsi solo attori iraniani. Ben inteso quindi iraniani in esilio, residenti a: Parigi, Londra, Berlino, New York, Los Angeles e anche in India e Norvegia.

Li ho raggiunti tutti, in un modo o nell’altro. Per le audizioni sono andato sul posto per incontrare ognuno di persona, ho avuto numerose sessioni su Zoom. Dopo dubbi, esitazioni, scelte più o meno certe (Golshifteh esclusa, perché per lei ho sempre pensato il ruolo di Azar Nafisi), il cast era infine pronto nel 2022. Il mio bellissimo e brillante cast. Il mio cast totalmente iraniano.

Nell’agosto 2022 il mio produttore, Michael, purtroppo ci ha lasciato. Era così entusiasta di questo film, ma il suo fisico venne meno. Sapevamo che dovevamo andare avanti e fui inghiottito da Lolita. Ho cercato e trovato numerose location a Roma e con la collaborazione della mia squadra fantastica (capitanata dalla direttora della fotografia Helene Louvart) ci avvicinammo alle riprese a metà del 2023.

Mi sentivo così concentrato, così implicato nel film che niente poteva distrarmi. Lavoravo con passione, eccitazione e sì, con quei dubbi che sono sempre parte del processo.

Dirigere questo film mi prese molta energia, così tante emozioni, così tanto di tutta la mia esistenza che quando finii le riprese a Roma e ritornai a Tel Aviv, a casa, per montare il film, mi dovettero ricoverare per un certo periodo all’ospedale. Immagino fossi spossato. Mi sono ripreso rapidamente e rimasi diversi mesi chiuso a montare il film, per risvegliarmi il 7 ottobre di fronte al più devastante evento irradiato da Gaza nel sud di Israele, e che ha portato alla guerra con Hamas a Gaza, con Hezbollah in Libano e con l’Iran, ovviamente.

Queste guerre che perdurano ancora oggi con eventi quotidiani caotici, violenti e tragici creano angoscia e pessimismo, e tuttavia, in me, alimentano una volontà ancora più forte di portare avanti questa storia che serve sia come monito ma anche, forse, come una sorta di antidoto a tutti gli avvenimenti del mio Paese, della nostra regione, del nostro mondo. Quando si fa un film, quando realizzo un film, provo sempre a elevarmi al di sopra delle discussioni e degli scontri quotidiani tra israeliani, palestinesi, arabi, iraniani.

Siamo tutti profondamente coinvolti nel caos e nella tragedia, eppure uno deve mantenere la concentrazione rivolta verso un punto di vista diverso sul mondo, nel mio caso, portare all’attenzione del mondo il film Leggere Lolita a Teheran.

Il montaggio e tutta la post produzione (le musiche, gli effetti visivi, il montaggio del suono) mi hanno preso molto più tempo del normale. Era la complessità della storia il motivo? Erano gli eventi fuori dalla porta di casa mia? Era chiedersi se ogni decisione fosse giusta? Tutte le risposte a queste domande avranno qualcosa di vero, ma io credo che quello che stavo cercando veramente fosse il tono giusto, stavo cercando di assicurare che il nucleo umanistico della storia restasse intatto, che il cuore democratico della storia venisse tutelato.

La mia professione non è predicare, se ci sono è per raccontare, descrivere, dipingere una tela che lasci negli occhi, nella mente e nell'anima del pubblico, chiunque esso sia, in qualunque cosa creda, degli strumenti per decifrare il mondo in cui viviamo.

Le persone credono in moltissime cose, spesso contraddicendosi senza saperlo.

Io credo nel potere di questo film, nello smantellare gli sbarramenti, nel superare i confini, nell’essere coraggiosi e impavidi di fronte alla tirannia e all’oppressione senza fine. Non sono un ingenuo e non sono nemmeno un sognatore. Eppure, ci credo.

A un certo punto è arrivato il momento di mostrare il film al mondo, iniziando dalla prima alla Festa del Cinema di Roma. Abbiamo partecipato tutti: i miei produttori, l’intero cast, l’intera squadra, io. Siamo stati una presenza importante sul tappeto rosso e alla Festa del Cinema in generale, e quando siamo giunti alla fine della proiezione, il pubblico ci ha regalato una lunghissimo, meraviglioso e interminabile applauso.

Il mio cuore – che ha battuto all’impazzata per quasi 18 mesi, si è finalmente potuto calmare e godersi il momento, colmo di gioia. E io sono orgoglioso – orgoglioso di Azar Nafisi (posso dirvi che ha visto il film per la prima volta il giorno prima della proiezione ufficiale e lo ha amato con tutto il suo cuore), orgoglioso di Golshifteh Farahani, Zar Amir, Mina Kavani, Bahar Beihaghi, Lara Wolf, Raha Rahbari, Isabella Nefar e di tutto l’intero, fantastico cast, orgoglioso dei miei collaboratori, dei miei produttori, del mio editor Arik, per la sua saggezza, del mio compositore Yoanatan (che è anche mio figlio) per le sue musiche emozionanti, del mio direttore della fotografia Helene, per le sue bellissime e suadenti immagini, orgoglioso di tutti quelli che ci hanno accompagnato in questo viaggio incredibile, un viaggio che a volte è stato come le montagne russe, altre volte come scalare l’Everest, altre come navigare in acque agitate, altre come dal paracadute, come tutte quelle cose che mi hanno sempre spinto a dare il meglio di me, costringendomi a portare ottimismo in un mondo pieno di tenebra che ha bisogno di stelle più brillanti che mai, per guidarci e continuare a farci sperare che alla fine del viaggio, qualcosa di bello attenda ognuno di noi. Io ci credo.

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