Riscaldamento globale e inquinamento stanno avendo effetti concreti sulla nostra testa e il nostro corpo. A indagare questi dati è stato il giornalista ambientale e neuroscienziato americano Clayton Page Aldern
Sappiamo che l’innalzamento dei mari, il clima estremo e il caldo opprimente sono alcune delle conseguenze più evidenti del riscaldamento climatico sul pianeta. Ma qual è l’impatto sul nostro cervello?
È la domanda che si pone Clayton Page Aldern, trentatreenne ma già pluripremiato giornalista ambientale e neuroscienziato americano, nell’audiolibro The weight of nature (Penguin Random House, aprile 2024) che sta facendo molto discutere negli Stati Uniti e che sarà pubblicato in Italia da Aboca edizioni all’inizio del 2025 con il titolo Se il tempo è matto… Come il cambiamento climatico cambia il nostro corpo e la nostra mente.
«Nel 2015, prima della Cop21, mi sono imbattuto in un rapporto del Pentagono sulle implicazioni del cambiamento climatico per la sicurezza nazionale», racconta Clayton Page Aldern.
«Mi colpì il fatto che il dipartimento della Difesa americano non parlasse solo dell’innalzamento del livello del mare o di fenomeni meteorologici estremi, ma di come questi cambiamenti possano alterare il comportamento umano e il processo decisionale.
All’epoca mi sembrò una teoria stranamente progressista. Ho iniziato a studiare e nel tempo sono arrivato a comprendere qualcosa di molto importante ma ancora poco conosciuto: come il cambiamento climatico sta influenzando il nostro cervello».
Basato su sette anni di ricerche, The weight of nature sintetizza le neuroscienze, la psicologia e l’economia comportamentale emergenti sul riscaldamento globale e la salute del cervello, mostrando come l’ambiente che cambia ci stia cambiando oggi, dall’interno.
L’impatto sul cervello
L’ecoansia è la prima conseguenza che viene in mente, ma è solo la punta dell’iceberg. Clayton Page Aldern si concentra sugli interventi diretti del cambiamento ambientale sul cervello.
«Per interventi diretti intendo gli impatti tangibili dei cambiamenti ambientali sulle nostre funzioni neurologiche. Per esempio, la ricerca dimostra che l’esposizione al caldo estremo può causare danni cerebrali permanenti e malattie neurodegenerative.
Questo maggiore stress fisiologico poi può avere effetti a cascata sulle nostre funzioni cognitive, rallentando il pensiero e riducendo la capacità di prendere decisioni complesse. Il caldo condiziona anche la regolazione emotiva e il comportamento, determinando un aumento dell’aggressività e della violenza interpersonale e collettiva. Lo si nota dall’incremento della violenza domestica, dei discorsi di odio online e delle rivolte civili».
Dati allarmanti
Secondo alcune tesi apocalittiche il riscaldamento globale potrebbe addirittura indurre una demenza di massa. «Credo sia esagerato, ma ci sono sempre più prove secondo cui il cambiamento climatico potrebbe contribuire a un aumento del declino cognitivo e di demenza a livello collettivo».
«Allo stesso modo, l’inquinamento atmosferico può avere un impatto sulla salute del cervello. Il particolato prodotto dagli incendi o da combustibili fossili può attraversare la barriera emato-encefalica, causando infiammazioni e contribuendo ad aumentare il rischio di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson.
È dimostrato infatti che le persone che vivono in aree ad alto inquinamento atmosferico presentano forme più gravi di declino cognitivo e demenza. Sono stati trovati, per esempio, biomarker dell’Alzheimer nel cervello di bambini e giovani di Città del Messico, attribuiti ad alti livelli di particolato».
«Inoltre, gli eventi meteorologici estremi, sempre più frequenti a causa dei cambiamenti climatici, possono causare traumi che alterano fisicamente la struttura del cervello.
Studi su persone che hanno vissuto uragani o gravi inondazioni mostrano tassi più elevati di stress post-traumatico (PTSD), associato a cambiamenti nell’ippocampo e nell’amigdala, aree chiave per l’elaborazione della memoria e delle emozioni. A questo proposito Yoko Nomura, neuroscienziata cognitiva del Queens College, CUNY, mi ha raccontato una delle storie più sorprendenti.
Stava studiando gli effetti dello stress prenatale sullo sviluppo infantile quando la tempesta Sandy ha colpito New York nel 2012. Questo le ha permesso di confrontare i risultati dei bambini che erano nell’utero durante la tempesta con quelli nati prima o concepiti dopo. I risultati sono allarmanti.
Le bambine esposte a Sandy in fase prenatale hanno mostrato un aumento di venti volte dell’ansia e di trenta volte della depressione rispetto a quelle non esposte. I bambini hanno mostrato un aumento di sessanta volte dell’ADHD e di venti volte del disturbo del comportamento. Questi effetti erano evidenti già in età prescolare».
«Un’altra storia inquietante viene dalla ricerca sugli effetti delle fioriture di alghe blu-verdi, ovvero di cianobatteri, che spesso rilasciano una neurotossina chiamata BMAA. L’esposizione a fioriture di alghe nocive come queste è associata a un aumento del rischio di SLA. Sono infatti emersi alcuni casi nelle persone che vivono vicino ai laghi soggetti a queste fioriture».
Tempi brevi
Quindi l’ambiente in evoluzione sta rimodellando le nostre menti e i nostri comportamenti in tempo reale. «Questo non avviene in tempi evolutivi: sta accadendo proprio ora, nella nostra vita quotidiana.
Nei giorni più caldi gli studenti perdono punti nei test standardizzati, assistiamo a un maggior numero di casi di discriminazione razziale e i responsabili dell’immigrazione hanno maggiori probabilità di respingere le domande di asilo. Il rapporto del Pentagono descrive anche come la siccità e la riduzione dei raccolti agricoli abbiano contribuito a innescare la guerra civile siriana».
Il riscaldamento climatico ha anche conseguenze economiche. «La produttività tende a diminuire in condizioni più calde, soprattutto per quanto riguarda i lavori manuali e all’aperto. Questo può avere effetti a catena sull’economia».
Chi è più colpito
È chiaro però che questi effetti non sono gli stessi per tutti. «Alcuni gruppi, come gli anziani, le donne incinte, i bambini piccoli, le persone in particolari condizioni di salute e che lavorano all’aperto sono più esposti agli effetti neurologici del caldo. Inoltre sono maggiormente colpite le persone a basso reddito che spesso vivono in aree più esposte ai rischi ambientali, hanno meno accesso all’aria condizionata e ad altre tecnologie».
Così non tutte le popolazioni del mondo risentono allo stesso modo dei cambiamenti climatici. «In generale, sono maggiormente colpite le popolazioni del sud del mondo.
In particolare, le persone che vivono nelle aree costiere a bassa quota e nelle piccole nazioni insulari che si trovano ad affrontare l’innalzamento del livello del mare e tempeste sempre più violente, causa di traumi e stress cronico. Molte regioni dell’Africa subsahariana stanno sperimentando siccità più frequenti e gravi, che possono portare all’insicurezza alimentare e alla migrazione forzata.
Le comunità indigene dell’Artico stanno assistendo a rapidi cambiamenti nel loro ambiente che altera lo stile di vita tradizionale. Nell’Asia meridionale e sudorientale, l’aumento delle temperature e il cambiamento dei modelli monsonici stanno colpendo milioni di persone.
Le popolazioni urbane povere delle megalopoli, in particolare nei paesi in via di sviluppo, vivono spesso in aree con infrastrutture carenti e spazi verdi limitati. Nelle comunità agricole delle regioni con una crescente siccità o modelli climatici imprevedibili lo stress dovuto al fallimento dei raccolti e all’incertezza economica può portare a un aumento dei tassi di depressione e ansia».
Gli effetti sugli animali
Ma anche gli animali sono colpiti dal riscaldamento climatico? «Gli esseri umani sono animali, tutti ne risentono. Gli studi dimostrano che ragni, scimmie e pesci sono più aggressivi a temperature più elevate. L’acidificazione degli oceani influisce sulla comunicazione chimica tra le specie marine. Il cambiamento climatico sta ampliando il raggio d’azione di insetti portatori di malattie come le zanzare.
I mammiferi marini come i delfini accumulano livelli più elevati di neurotossine a causa del riscaldamento delle acque e dell’aumento delle fioriture algali. Nel complesso, le ricerche suggeriscono che il cambiamento climatico sta alterando i sistemi sensoriali, i comportamenti, gli habitat e le reti alimentari degli animali in modi complessi che spesso rispecchiano l’impatto neurologico e psicologico sugli esseri umani».
Con esattezza e lucidità, Clayton Page Aldern offre il ritratto inquietante di una crisi globale a cui assistiamo quasi inermi. La nostra Terra Madre cambia e ci sta già cambiando ma non ce ne siamo ancora resi conto.
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