Londra, anni Trenta. Quentin Crisp attraversa la città sui tacchi, truccato, con i capelli tinti dall’henné; non si sottrae agli sguardi, né, quando capita, alle aggressioni. Reclama il diritto di essere chi è, e fa della sua omosessualità disinibita ed eccentrica e del suo umorismo tagliente le armi per superare le difficoltà personali, in un’epoca in cui farlo è eroico.

Nonostante sia considerato dalla critica internazionale come l’Oscar Wilde del Novecento, Quentin Crisp è stato finora inedito in Italia. Arriva per la prima volta in libreria con Il funzionario nudo (1968), un memoir senza filtri, commovente e arguto, in cui l’autore si espone con la stessa assoluta sfrontatezza con cui passeggiava per le strade di Londra, nei locali notturni o posando nudo per le lezioni di pittura dal vivo.

Se la vita è «una cosa divertente che capita sulla via che porta alla tomba», Crisp ha saputo trasformarla in un manifesto leggendario. Icona culturale sia in Gran Bretagna sia negli Stati Uniti, nel 1993 è stato scelto da Channel 4 per tenere un discorso alla nazione in contemporanea a quello di fine anno della Regina Elisabetta, e proprio a lui è dedicata la celebre canzone di Sting Englishman in New York, in cui il cantante lo definisce «l’uomo più coraggioso che abbia mai incontrato».

Da questo romanzo, finalmente disponibile per il pubblico italiano con la prefazione di Michele Masneri, scrittore e giornalista del Foglio, e la traduzione di Sara Reggiani da Accento edizioni, nel 1975 è stato tratto l’omonimo film televisivo della BBC.

Fare un romanzo di successo e poi trasferirsi per sempre in America. Esiste sogno più dolce per uno scrittore? Il funzionario nudo diede la gloria e la gioia a Quentin Crisp quando fu pubblicato nel 1968, e soprattutto quando ne venne tratto nel 1975 un film per la tv di enorme clamore, e poi un one-man-show, An Evening With Quentin Crisp, che andrà in scena fino alla sua morte. Da questo libro nasce il trasferimento del suo autore, definitivo e felice, a New York.

Ma questa autobiografia romanzata, che oggi alcuni leggeranno forse come summa di traumi e materiale per podcast dolenti e psicanalisi, per un giovane omosessuale inglese degli anni Venti era invece il tipico cursus honorum: arresti, stazioni, cruising, amiche delle madri con cappellino, frustate di maestri sadici, public school, poliziotti in bagni pubblici, marchette, centrini, high teas con biscottini al burro. Il tutto con quella grazia inglese un po’ da Ronald Firbank o Mitford sister e col gusto della frase a effetto e molto ricordabile che ne ha fatto la fortuna.

Il Grande Eccentrico Inglese

Scrittore, raconteur, personaggio tv, ma soprattutto personalità “larger than life”, Crisp (1908-1999) è stato l’ennesima variazione sul tema del Grande Eccentrico Inglese sull’onda di una figura guida neanche tanto celata, Oscar Wilde. «L’omosessualità» scrive ai suoi tempi, «era un mostro le cui dimensioni e la cui forma non erano ancora né noti né intuibili. Si credeva che avesse origini greche, che fosse di un’entità minore del socialismo ma di letalità maggiore, specialmente per i bambini».

Così ecco l’educazione sentimentale nell’Inghilterra bigotta degli anni Venti, però con mamme e zie svampite e comprensive (i padri non vengono quasi mai nominati, non servono a nulla).

Vista l’impossibilità di un dialogo, in un’Inghilterra in cui «avere una giacca marrone desta già sospetto, così come le scarpe scamosciate», il giovane Crisp «si butta a sinistra» e diventa una specie di ambasciatore camp nel mondo, con un’uniforme che come le vere icone non cambierà mai: make up importante, unghie laccate, blazer di velluto, gran foulard intonato con pochette, e cappellone fedora sulle ventitré (cioè poi il Michel Serrault della Cage aux folles, che lo omaggia, filologico).

In America Crisp rinasce. Senza tanti grand tour e senza orienti o californie, come tutta la combriccola e la fiesta mobile di quella Internazionale queer degli Isherwood e Auden e Spender che vagava tra santoni e grandi spazi, Crisp si stabilisce invece a New York e da lì non se ne andrà mai. È fiore d’appartamento, anzi da monolocale.

Dopo aver fatto tutti i lavori in Inghilterra, compresi il prostituto e il modello per pittori con stipendio statale (da cui il titolo di questo libro), sboccia nella mezza età e come Oscar Wilde affetta il vezzo dell’indirizzo postale iconico (scrivere solo “Quentin Crisp, New York, Stati Uniti”, e la posta arriverà). Nell’81 si trasferisce per sempre nell’East Village in una monocamera senza cucina, con un bagno in comune sul pianerottolo e il telefono che suona tutto il tempo e gente assurda che chiama per chiedere consigli (ha voluto che il nome ormai celebre sia sull’elenco).

La stanza è lercia, ci sono un letto, due televisori, una macchina da scrivere: «Devo avvertirla che vitupero altamente le pulizie di casa» avvisa gli interlocutori, che pensano a un modo di dire un po’ piccoloborghese. Invece è tragicamente vero. «Le posso assicurare che senza fare nessuna pulizia, dopo quattro anni lo sporco smette di peggiorare».

Diventa un’istituzione newyorchese. «La prima cosa da imparare in questa città è che bisogna presenziare anche all’opening… di una busta. Imparare come tirare avanti a champagne economico e tartine trangugiate in piedi». «Si può vivere perfettamente a vino bianco e noccioline», come dirà da Jay Leno al Tonight show o da Letterman, dove viene regolarmente annunciato come «Quentin Crisp, omosessuale».

Benché viva miseramente, «singing for my supper», mondanissimo sparanomi superwitty, è celebrità globale e di quartiere: quando nel 1993 interpreterà Elisabetta I nel film Orlando di Sally Potter, gli abitanti del Village si inchineranno al suo passaggio. Alla sua festa per i novant’anni c’è John Waters, che dichiarerà l’influenza di quell’inglese nella sua vita e arte, e Fran Lebowitz chiama per fare gli auguri; gli invitati intanto cantano God Save The Queen, e la regina ovviamente è lui.

Dietro l’armatura

Oltre al Funzionario, Crisp ha pubblicato altri libri, tra cui Resident Alien: The New York Diaries, una raccolta di articoli apparsi sul New York Native, un giornale gay ormai defunto da anni. Un altro inglese (etero) accresce la sua fortuna: Sting se ne innamora e compone Englishman in New York: «Be yourself, no matter what they say» («Sii te stesso, non importa cosa dicono gli altri»), ripetuto continuamente nel brano, è dedicato all’amico, ma anche «Takes more than combat gear to make a man/ Takes more than license for a gun/ Confront your enemies, avoid them when you can/ A gentleman will walk but never run» («Occorre più che saper combattere per fare un uomo/ Più che una licenza per un’arma/ Affronta i tuoi nemici, evitali quando puoi/ Un gentiluomo camminerà, ma non correrà mai»).

Specie di Paolo Poli britannico, Crisp si vantava come molti suoi simili della stessa generazione di non essersi mai innamorato. «Barbra Streisand dice che “People who need people are the luckiest people in the world”, ma se ti manca qualcuno nello specifico sei finito. Diciamo che ho sparso il mio amore in maniera orizzontale, invece che verticale, su un unico oggetto».

Come al solito difficile dire se dietro l’armatura di velluto ci fosse il trauma. Era nato Dennis Charles Pratt (Quentin Crisp se lo inventò più tardi) a Carshalton, Surrey, nel giorno di Natale del 1908, ultimo figlio di un avvocato sempre pieno di debiti («Forse è perché ero l’ultimo che mi odiava in quel modo») e di una capo infermiera in una famigliola che al massimo lo portava a fare dei picnic sull’oceano. È l’orribile Inghilterra delle classi sociali istericamente separate, dove ognuno sopravvive come può anche sviluppando nevrosi particolari: Isherwood per esempio teorizzerà la propria possibilità di eccitarsi sessualmente soltanto con dei proletari, possibilmente non inglesi.

È il mondo dei poliziotti che inseguono gli “invertiti” nei bagni pubblici («Coloro per cui l’idea di bella serata combaciava con un tour dei bagni pubblici impararono presto a riconoscere un poliziotto anche a occhi chiusi. Dal punto di vista della legge l’unico punto debole di questo sistema era che ci volevano due agenti per acciuffare un maniaco sessuale. Era cioè uno spreco di forza lavoro. I poliziotti vedevano gli omosessuali come i nativi americani vedevano il bisonte. Cercavano un modo per sterminarli in branchi»).

È l’Inghilterra mai ufficialmente rimpianta, salvo poi morirci inopinatamente. «La stufetta a gas» aveva risposto Crisp al New York Times che gli chiedeva se gli mancasse qualcosa della madrepatria. «In Inghilterra puoi sempre contare sulla tua stufetta a cui stringerti; in America non importa quanto sei ricco, ma la temperatura di casa tua la decide sempre il condominio».

Stufette a parte, Crisp ama subito New York, la New York degli anni Settanta e Ottanta, sgarrupata e svalvolata, del solito Wharol e dello Studio 54, e ci si stabilisce tipo attrazione estera e magnete mondano-culturale, alla Fulco di Verdura, il designer di gioielli palermitano riscoperto oggi di sguincio nelle serie tv, che muore a Manhattan investito da un taxi giallo e le cui ultime parole al poliziotto che gracchia nella radio («Rinvenuto uomo agonizzante di età apparente sessantanove anni») saranno: «Sixy eight!» (e poi, stecchito).

Come un vecchio principe di Salina camp, Crisp non fa il salto di specie, rimane ancorato al suo vecchio mondo; non abbraccia nessuno dei movimenti di liberazione gay che nascono e crescono, e odia, riodiato, tutta la politicizzazione della “cosa”.

Come avrebbe potuto aderire alla gender identity di massa quando aveva impiegato così tanto a costruirsene una unica e insostituibile? («Non seguire corsi serali, a meno che non siano di canto o danza. Vivi da solo. Cerca di non rimanere bloccato in un lavoro in cui hai a che fare solo con “cose”, anche se queste cose sono libri o sculture. Intraprendi una delle professioni più eleganti: insegnare, recitare, predicare. La cosa più importante è “Devi dare un’occhiata lunga e dura a quello che i tuoi amici chiamano ‘il problema con te’”. Usalo. Poi raffina la tua identità finché non diventa uno stile»).

La resistenza alla politica

E del resto, oggi pare strano, ma sono dettami e lifestyle che predicavano anche illustri omosessuali creativi italiani del secolo scorso come Pasolini e Arbasino, incredibilmente avanzati su tanti altri fronti ma molto timorosi circa la politicizzazione del tema, e nostalgici di un’Arcadia immaginaria di felice bisessualità in cui avieri, marinaretti e meccanici erano sempre pronti e sorridenti. Rimozione?

Ma del resto tappe obbligate dell’Internazionale Queer erano Roma e l’Italia, dove tutti, da Truman Capote a Gore Vidal, avevano abitato: se l’omosessualità in Inghilterra venne depenalizzata solo nel 1967, nell’Italia anche fascistissima la sodomia non era mai stata vietata, forse perché si presumeva che l’italico maschio mai avrebbe ceduto al turpe vizio. E molto più tardi Pier Vittorio Tondelli: «Quando due uomini vivono insieme, uno dei due finisce sempre per somigliare a una cameriera».

Si poneva, a questi ragazzi speciali che potevano già fare smart working, anche un tema di collocamento, in un’epoca che avevano vissuto come già globale da generazioni. Anche se viaggiare era meno facile e non c’era Ryanair. Dunque, fughe da guerre, regimi oppressivi, rovesci di fortuna (vedi sempre Isherwood e tutte le sue disavventure tra visti e passaporti per il suo biondo tedesco, mentre i figli di Oscar Wilde avevano vagato per anni in Europa, costretti a cambiare cognome per lo scandalo immane).

Anche, come oggi, pattinando su fusi orari di sensibilità diversi: Crisp era stato troppo gay nell’Inghilterra post vittoriana in cui era nato, e troppo poco nell’America progressista in cui ora viveva, dove le audience giovanili e politicizzate lo disprezzavano e boicottavano i suoi show per lo scarso anzi scarsissimo impegno politico («Ma amore, io devo vendere biglietti per i miei spettacoli, più che attaccare manifesti. E chi va a teatro sono signore middle class e di mezza età dal cuore infranto, loro sono il mio pubblico». E ancora: «Non capisco perché gli omosessuali vogliono essere uguali ma diversi da tutti gli altri. Vuol dire che vogliono essere tagliati fuori dal 90 per cento della razza umana»).

Quando stava per trasferirsi in America, all’ambasciata americana a Londra a Grosvenor Square, un solerte impiegato gli domanda: «Lei è omosessuale praticante?» Lui: «Non ho dovuto fare pratica: ero già così, perfetto». Fu contro la lotta all’AIDS («una moda») e naturalmente contro i pride («L’orgoglio mi sembra un ossimoro, essere gay non è normale ed è strano pensare che lo sia, anche se il mio agente mi dice che tutto è cambiato. C’è persino un personaggio gay in Roseanne. Che consolazione patetica»).

Oggi forse sta per tornare di moda: Russell Tovey, iconissima gay da Looking in poi, e che ha impersonato il fidanzato di Truman Capote nella serie Feud, sulla vita dello scrittore di Preghiere esaudite, ha detto che Capote è il Crisp americano.

È morto praticamente in scena, a novant’anni, mentre stava per replicare il suo An Evening With Quentin Crisp in una tournée nella madrepatria inglese, nonostante il divieto dei dottori di intraprendere il faticoso viaggio. Volle che le sue ceneri fossero sparse nel cielo di New York e disse di avere due soli rimpianti: non essere diventato cittadino americano e non aver mai incontrato Elizabeth Taylor.


Il funzionario nudo (Accento 2024, pp. 256, euro 18) è un romanzo di Quentin Crisp, tradotto in italiano da Sara Reggiani

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