Brunori Sas sontuoso, Francesco Gabbani ritrito, Lucio Corsi post-futurista, Olly sciamannato. Il linguista Massimo Arcangeli ha letto i testi delle canzoni e ha espresso un giudizio al netto delle musiche e dell’interpretazione. Solo i testi. Ecco cosa ne è venuto fuori
Sanremo è sempre Sanremo? Mai come in questa settantacinquesima edizione della più longeva rassegna canora italiana. Ma facciamo parlare direttamente i testi.
Achille Lauro, Incoscienti giovani
Rétro. Come il vecchio film nel quale lui cerca lei o come il titolo stesso del brano, con l'aggettivo anteposto al sostantivo. Una ballata che pretende di raccontare la storia vera di due giovani maledetti e innamorati della periferia romana, ma al posto di una roulotte c'è una roulette (di Las Vegas) e la pioggia torrenziale in cui i due ragazzi annegano per amore non cade figurativamente su San Basilio, o sul Corviale, o su Tor Bella Monaca, bensì su Villa Borghese. Si vorrebbe épater le bourgeois, ma finirebbe per sbadigliare anche il ceto medio. I versi peggiori, compresa la rima quasi baciata: “ti chiamerò da un autogrill / tra cento vite o giù di lì”.
Voto: 3
Bresh, La tana del granchio
Crepuscolare. Forte della sua raffinata semplicità, e del controstereotipo di una mamma inadempiente e polverizzata dal punto di vista (“sono una madre che si sgola, / una testa che gira ancora, / una chitarra che non suona, / una borsa piena di buchi”), non delude neanche nella retorica immaginativa. È la seconda volta dei granchi (la prima nel 2011: “cuba libre per i granchi in prucession”, cantava allora Davide Van De Sfroos in Yanez). Fra i passaggi più icastici: “se il mare si è salato / è perché un marinaio / ci ha pianto sopra”.
Voto: 7
Brunori Sas, L'albero delle noci
Delicatamente sontuoso. Una bambina, sua madre e suo padre (lui), con le immagini che ora s'incavano e ora s'inarcano, sollevandosi in architetture, proporzioni e geometrie sentimentali fino a svettare dalle parti dell'antico Egitto biblico delle sette vacche grasse e delle sette magre apparse in sogno al Faraone (Genesi, 41, 2-4). Dietro l'albero delle noci, alla fine, ti sembra così d'intravedere, più che il tempo delle mele (troppo in anticipo, la bambina ha tre anni), l'età spensierata delle nuces dei bambini dell'antica Grecia e dell'antica Roma. Dal moto verticale a quello orizzontale, per un movimento ritmico a fisarmonica: “Sono cresciuto / in una terra crudele / dove la neve / si mescola al miele”.
Voto: 8
Clara, Febbre
Sconnesso. Tanta (troppa) roba. Disorienta come una quaglia saltellante tutta presa a spiazzare i cacciatori. Fra un glitch e un bling bling, un enfant e un je t'aime, degli “occhi blu Klein” e un “buio tagliato dalle luci viola” (comunque il verso più bello), tutto pare far linguistico brodo.
Voto: 5
Coma_Cose, Cuoricini
La fragilità amorosa al tempo dei social, quasi a strapiombo sul nonsense tra un intervallo e l'altro di banalità, fritte o rifritte, del (comporre) male. Prima volta dei cuoricini, e speriamo sia anche l'ultima. Fra “oggi mi sento una pozzanghera”, “un divano e due telefoni / è la tomba dell'amore, / ce l'ha detto anche il dottore” e “se mi trascuri impazzisco come maionese”, è un bel dilemma decidere a chi assegnare lo scarrafoncino d'oro.
Voto: 3
Elodie, Dimenticarsi alle 7
Da incubo. Le frasi, più che fatte, sono sfatte. Il grado zero di un italiano che non è né carne né pesce. Di più: la lingua alla frutta. Un testo che non dice niente, e vorresti scordarlo già alle 7 del mattino successivo al giorno d'ascolto (come lei vorrebbe scordare le persone con cui ha ballato in discoteca la sera prima). I versi più brutti (ma anche il resto non scherza): “che strano effetto che fa / mandare giù la verità”.
Voto: 0
Fedez, Battito
Farmacistico. Il cuore non batte per una donna, ma per gli effetti cinematografici (“dentro i miei occhi / guerra dei mondi”) di una didascalica depressione da bugiardino. Fra un regolatore dell'umore (serotonina, nel testo seratonina: Federico la prende di sera?) e, giustappunto, di un antidepressivo (fluoxetina) mai sentiti a Sanremo. E con un'anticchia di volgarotto passa anche la paura di Fedez di sentirsi del tutto spossessato dei toni del (t)rapper che fu: “con due gocce di veleno / tu mi fotti”. I versi meno brutti: “ho alzato barriere / di filo spinato / ma le ho sempre messe / nel lato sbagliato”.
Voto: 3
Francesca Michielin, Fango in paradiso
Sciatto e insapore. Ancora un'ode tormentone all'imperfezione e alla fragilità, condita sulla tavola sanremese in tutte le salse. Al fondo: “quante volte mi avrai fatto il cinema / dentro a quel supermercato, / non so se l'avevi considerato / che uno dei due sarebbe stato / da schifo”. In cima, si fa per dire: “Dopo centomila lacrime / le grondaie cadono”. Cadono come i palazzi di Lauro, e i suoi “stupidi ragazzi” diventano qui gli “stupidi occhi” di lui. “Quasi zero poesia, /solo pratica”. Se a dirlo è lei stessa, c'è da crederle.
Voto: 4
Francesco Gabbani, Viva la vita
Trito e ritrito, fra i mezzi pieni e i mezzi vuoti delle mezze stagioni delle verità a mezzo... Il peggior Gabbani, malgrado la collaborazione alla stesura di Pacifico. Raggelante: “Insieme due paralisi faranno un movimento”.
Voto: 3
Gaia, Chiamo io chiami tu
Ottundente, altro che martellante. Alla fine ti restano in testa solo le ripetizioni à gogo del ritornello: “chiamo io, chiami tu” (28 volte); chiama (10 volte). Anche perché fra un andante dantesco (“limbo infernale”) e l'avvinghio nillapizziano dei “rami contorti dell'edera”, col rinforzo del solito shottino disfemico (“troppe persone si fottono il cuore”) e dell'eccipiente fragiloso (qui è la voce, insieme all'idea di stare con lui), non c'è molto da scherzare. Si può però ridere: “dimmi dove sei / dove dove dove dove / solo io solo tu / tanto non ne vale la pena / chissà dove sei / dove dove dove dove” (10 dove, la metà del totale); “volevo stringerti a me / come fosse per sempre ancora, / ogni volta che stiamo così / non serve a niente / tanto è sempre lunedì”.
Voto: 1
Giorgia, La cura per me
Allo sbianco di luna (l'ha cofirmato Blanco). A parte proprio gli occhi sostitutivi dell'astro (“che fanno da luna”), siamo alla fiera di luoghi comuni di lingua e di stile che, come i ricordi del testo, in un continuo andirivieni di fughe e insicurezze (“più ti avvicini e più / io mi allontano, / non so più quante volte / ti ho cercato, / [...] / non so più quante notti / ti ho aspettato; “non ho voglia / di rincorrerti, / seguire la tua ombra / e salire fino sugli alberi”) e inseguimenti e certezze (“solo tu sei la cura per me”), si muovono (stracchi) “su e giù come un ascensore”. Dovunque si peschi, si pesca bene. Tanto vale rinunciare allora a gettare la lenza.
Voto 4
Irama, Lentamente
Scotto. Qualche spunto di un realismo situazionale di maggior momento, ma niente di più. Bisognava forse spegnerlo prima il fornello del “fottuto sentimento” che divora l'autore a fuoco lento. I versi più insulsi: “il tuo sorriso mi mastica, / ballavi nuda su una canzone classica”.
Voto: 4
Joan Thiele, Eco
Incompiuto. Dedicato al fratello, tra fragilità versipelle e salvifica incitazione al movimento (“è meglio sbagliare che restare immobile”), è acquartierato fra l'istinto di sopravvivenza e la sguaiatella (à la Fedez) certezza di farcela: “spara al centro / qui la notte non ci fotte / (Bang Bang Woo)”. Cher, Dalida, Equipe 84? No, il singolo di una famiglia musicale allargata (South Rakkas Crew & Marcy Chin). I versi più sbilenchi: “se il tempo è una linea / che cambia / sarò la tua eco / e poi mai la distanza / che corre / tra il mondo e le cose”. Fermate lei e il fratello al primo posto di blocco.
Voto: 4
Lucio Corsi, Volevo essere un duro
Post-futurista. Una ballata composta “in comodità” (come ha dichiarato lui) o scioltezza di parole, espressioni, immagini verbali. Disinvolta qua e là anche la sintassi (“volevo essere un duro / che non gli importa del futuro”), e certi arditi cortocircuiti fra cielo e terra, come certe rime (“alla stazione di Bolo / una gallina dalle uova d'oro”), rispondono bene allo scopo: “medaglia d'oro di sputo”; “cintura bianca di judo, / invece che una stella uno starnuto”. È la prima volta di spaccino (“in fuga da un cane lupo”). E riecco la mamma, stavolta quella dell'autore: “me lo diceva mamma ed io / cadevo giù dagli alberi”.
Voto: 7
Marcella Bella, Pelle diamante
Forte, tosta, stronza, volitiva e indipendente, una combattente (non le “fa male niente”) sorprendente come una “mina vagante”. Vabbè, ok. Buonissime le intenzioni, pessimi i risultati artistici. La star quality (altra new entry a Sanremo) la verificheremo magari alla prossima occasione.
Voto: 2
Massimo Ranieri, Tra le mani un cuore
Scritto, fra gli altri, da Nek e da Tiziano Ferro, e ispirato da nobilissime intenzioni (dar voce a chi ha patito la guerra e anela alla pace dopo aver attraversato il mare), non brilla né per originalità di lingua né per efficacia di stile. “Proteggilo dal freddo che c'è stato, / e troverà la pace / dopo quello che ha passato”. La semplicità è un punto d'arrivo, qui non siamo ancora neanche ai nastri di partenza.
Voto: 5
Modà, Non ti dimentico
Grossolano. La sfilza di rime e assonanze è da prima elementare musicale: “l'ho letto sull'oroscopo / che quelli del mio segno / di complicarsi i piani / quasi ne hanno un po' bisogno, / e non te l'ho mai detto / che mentre ti baciavo / tenevo aperti gli occhi / e di nascosto ti osservavo”. Terribile, con un'inversione sintattica che sa di amatoriale tentativo di ascensione stilistica miseramente (e rovinosamente) fallito. E il “quadro di Kandinsky” non rattoppa più di tanto. Anzi.
Voto: 1
Noemi, Se t'innamori muori
Ci si muove fra il desiderio inappagato e - a quanto pare - inappagabile di maternità e la sfida portata alla propria vita fino in fondo: “se ti innamori muori”, d'accordo, ma in serenità perché hai avuto il coraggio di lasciarti andare. Un bel messaggio, ma il testo è un buco nell'acqua. La lingua non tiene, e neanche lo stle. Leggere per credere: “dire siam diversi / è sempre dura da ammettere, / lasciami perdere/ se conosci il peggio di me”. Di lei non saprei dire, ma in quell'acqua i firmatari del testo (Blanco e Mahmood) hanno sguazzato decisamemente male.
Voto: 3
Olly, Balorda nostalgia
Sciamannato. L'ennesima storia d'amore (finita). Il testo più brutto insieme a quello di Elodie. “Beh, insomma, / ti sembra la maniera / che vai e mi lasci qua, / ti cerco ancora in casa / quando mi prude la schiena / e metto ancora / un piatto in più / quando apparecchio a cena”. Il divano e il telecomando rispondono all'appello. Mancano le pantofole, ma vuoi mettere il grattino?
Voto: 0
Rkomi, Il ritmo delle cose
Sonoro ed elettrificato. Le parole rimbalzano da un punto all'altro, en plein air (malgrado le apparenze), e l'autore le flippa ora verso il caos frenetico del mondo digitalizzato ora in direzione del proprio disordine interiore: “questo casino mi somiglia, / è il lato oscuro in piena vista / o è forse merda di un artista”. E se neanche Piero Manzoni risolve, non rimane che cercare riparo nella psichiatria: “è inutile scomodare i cieli / se in quelle macchie di Rorschach / ci vedo cose le più crudeli”.
Voto: 7
Rocco Hunt, Mille vote ancora
Meticciato. Il modello è il code switching, l'ordinata alternanza di codice. Per metà in italiano, il testo è per l'altra metà in un napoletano che dà ospitalità a qualche nostra vecchia conoscenza: “me vonno fottere l'anema”. Anche qui, con i ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza funestati dalla sentenza di dannazione (“mi dicevano: Tu non sarai mai nessuno”), riaffiora la mamma (“quelle canzoni che mamma ascoltava alla radio”). Piano e colloquiale, non dispiace né l'insieme né certi singoli versi: “Siamo carte stropicciate nel portafoglio”.
Voto: 6
Rose Villain, Fuorilegge
Finto-trasgressivo. Lei vorrebbe essere Bonnie e partire il giorno dopo col suo Clyde, tentando l'affondo col déjà vu di una parolaccia similoro (“nostalgia puttana”) e col ricordo di una grande cantante “maledetta” (“io rido del nostro destino avverso / ascolto Almeno tu nell'universo”). È però un film visto, rivisto e stravisto, come quello che a lui piaceva vedere in tivvù, e c'è poi la (cacofonica) ciliegina sulla torta: “cuori a 200 all'ora / ma vuoi ballare un lento, / forse ho oltrepassato il limite / di ore senza te, / sento il tuo nome / e inizia a piovere / fuori e dentro me”
Voto: 4
Sarah Toscano, Amarcord
Rievocativo. Da un altro film, ma è solo un pretesto per parlare d'amore (e di cosa sennò?), a una canzone: “Di una vie en rose come Édith Piaf”. E aridagli col francese (“sembra così démodé / però era magico, / cosa sei tu / un déjà vu”). I versi più rimediati, con un pronome inzeppato a forza: “una lama mi accarezza la consapevolezza / che indietro non ci ritornerò”.
Voto: 4
Serena Brancale, Anema e core
Frizzante. Si gioca fra l'italiano, l'italo-americano e il dialetto (stavolta il barese, lo stesso di Baccalà), e la contaminazione è efficace. Qui, più che al code switching, ci si atteggia al code mixing, la giustapposizione di parole o locuzioni di lingue diverse o la presenza di intrusi lessicali o frasali in contesti altri: “baby I love u, Nenné ti amo”; “sim du facce della stessa luna, / com 'sta collana che porta fortuna”.
Voto: 7
Shablo feat. Guè, Joshua, Tormento, La mia parola
Italrepellente. Da consiglio per gli acquisti di un'azienda nostrana sull'orlo di una crisi di identità linguistica (“tu fai chatty chatty / io faccio partire il mio flow, / non ti danno abbracci / qua sei da solo nel block, / io le mando baci / lei che per me è la più hot, / mi dicevi taci / ora però sono il goat”) ma riecco anche la mamma, in versione più caramellosa: “amo la mia mami, / amo ’sti money / e l'hip hop”. Se l'italiano vacilla, l'inglese non brilla: “è UNA street song / per dare quello che ho". Street song come street journalism (maschile) e non come street art (femminile), ma l'urban style politrasfuso comunque non guasta.
Voto: 6
Simone Cristicchi, Quando sarai piccola
Il tema è la fragilità degli anziani, e le malattie che li colpiscono facendoli ancor più sensibilmente tornare bambini. Qui l'anziana è la madre di Cristicchi, che però quella parola (madre, o mamma) non la menziona mai. Il titolo arriva, e il testo pure. È a tratti un po' sentimental-paludato, ma la sua carne più viva è il prodotto d'esercizio di una buona retorica della sottrazione ai limiti dell'understatement: “ci sono cose / che non puoi cancellare, / ci sono abbracci / che non devi sprecare, / ci sono sguardi / pieni di silenzio, / che non sai descrivere / con le parole".
Voto: 6
The Kolors, Tu con chi fai l'amore
Sconclusionato. Tanto fumo, niente arrosto. Vorrebbe riuscire simpatico, a suon di rime e assonanze sgargianti (dico/Portorico/frigo; calamita/Visa/partita; minimo/Mykonos), ma la fattura è improbabile e l'insieme stucchevole. Basti questo: “non posso spegnere le luci dell'alba / che sono dentro la stanza, / guarda che confusione / non c'è mai una ragione”.
Voto: 2
Tony Effe, Damme 'na mano
Da minimo sindacale. Lui ce lo saremmo volentieri risparmiato, ma purtroppo c'è e dobbiamo tenercelo. A parte l'attacco, con quell'uomo d'onore più simile a un teppista metropolitano che a un galantuomo (“sono pronto a sbagliare / come un uomo d'onore”), non c'è traccia nel testo, dove l'italiano convive con un romanesco sentimental-popolare o da osteria (“Roma nun fa la stupida…”), del trapper violento e misogino che conosciamo. Ad alzare le mani è la morosa, mentre lui, nel solco della pavoniana Partita di pallone (1962), fra una gara domenicale e l'altra in cui lascia la sua donna sola, si consegna volentieri a sua volta all'abbraccio materno: “sono il classico uomo italiano, / amo solo mia madre Annarita”.
Voto: 5
Willie Peyote, Grazie ma no grazie
Accattivante. L'unico brano “politico” in gara, ironico e intelligente. È uno spaccato dei tempi correnti, cannibalizzati dagli opposti estremismi ma fitti di contraddizioni: “c'è chi dice / che non si può / più dire niente / e poi invece / parla sempre". Il testo non è un capolavoro, ma è comunque una boccata d'aria fresca in una kermesse precipitata nel vuoto del più assoluto disimpegno dei cuori e degli amori, dei baci e dei dolori, dei sogni e dei rimpianti, dei pianti e dei lamenti, dei piagnucolii e dei piagnistei.
Voto: 6
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