È il decennio dell’affermazione della musica leggera come fenomeno commerciale. Le vendite di dischi passano in Italia dai 18 milioni di 45 giri del 1959 ai 44 milioni del 1969. Nasce il concetto di adolescenza, il 40% delle persone che compra un disco ha meno di 20 anni. Così muta pure la scena: arrivano «gli urlatori» e la Panini lancia l’album dei cantanti
Quando Sanremo si affaccia sulla soglia degli anni Sessanta – il decennio dei Beatles e dei Rolling Stones – ci sono già state nove edizioni. Sei sono state vinte in coppia come voleva la formula d'allora (cinque composte da soli uomini e una da due donne), le altre tre sono andate a Nilla Pizzi (le prime due) e Franca Raimondi (1956).
Siamo nell'età dei pionieri, tutto si tiene ancora nel piccolo Salone delle feste del Casinò. Ma è il decennio in cui la musica leggera si gonfia, si trasforma in un bene di consumo di massa. Le vendite dei dischi passano dai 18 milioni di 45 giri del 1959 ai 44 milioni del 1969. Sta nascendo un concetto mai sentito prima, l'adolescenza, e i suoi protagonisti iniziano a giocare un ruolo sul mercato commerciale. Succede negli Stati Uniti, in Inghilterra e succede anche da noi. Sono un nuovo segmento a cui rivolgersi.
Un sondaggio a metà decennio accerta che il 40% delle persone che compra un disco ha meno di 20 anni. Addirittura acquistano un 45 giri alla settimana. Così è fatale che muti anche il panorama degli interpreti. Si adeguano a un nuovo pubblico. Arrivano quelli che la stampa dell'epoca definisce «gli urlatori». Sono loro i barbari del tempo. Spazzano via le voci melodiche, i ghirigori e lo stile pieno di abbellimenti portato al successo da Claudio Villa e Nilla Pizzi, Achille Togliani e Luciano Tajoli.
I nuovi eroi si chiamano Adriano Celentano e Little Tony, Betty Curtis e Mina. Le manifestazioni si moltiplicano. Nascono il Cantagiro (1962), Un Disco per l'Estate (1964), il Festivalbar (1964) basato sulla diffusione capillare del juke-box. In Italia esistono più di 100 case discografiche e oltre 700 night. La Panini affianca all'album dei calciatori anche quello dei cantanti. Il Festival di Sanremo diventa un cult.
Ecco le dieci canzoni del festival anni Sessanta da ricordare.
Non sei felice (1960): Mina
Quando la più grande cantante italiana di sempre sale sul palco di Sanremo per la prima volta, si trova in testa alla Hit Parade da due settimane con Tintarella di luna. Il mese precedente era stata a Canzonissima con Nessuno. Al festival porta Non sei felice in coppia con Betty Curtis. Non è un’esecuzione indimenticabile per colpa di una faringite. Eppure sta nascendo un mito. L’anno dopo tornerà da favorita con due pezzi. Uno è Le mille bolle blu, l’altro è Io amo tu ami. Per l’emozione Mina si trova con la voce spezzata sull’acuto finale. Scappa dal palco in lacrime senza finire la canzone. Giura di non partecipare mai più al festival e davvero non tornerà.
24mila baci (1961): Adriano Celentano
Uno degli urlatori fa la rivoluzione totale al festival, mettendo in scena il ricambio generazionale. Durante l’esibizione, saltella, si piega su sé stesso, fa nascere il soprannome di Molleggiato e per la prima volta un cantante dà le spalle al pubblico. È anche la prima volta di un assolo di sax a Sanremo. Celentano aveva rischiato di non partecipare perché impegnato a Torino nel servizio militare. La leggenda dice che si sia rivolto al ministro della Difesa, Giulio Andreotti.
Quando quando quando (1962): Tony Renis
Ha 24 anni, suo padre è un pittore, lui si è scelto un nome che ricorda quello dell’attore Tony Curtis e ha cominciato imitando Dean Martin. Scrive canzoni per lo Zecchino d’oro e quando si presenta al festival arriva quarto, ma manda il suo pezzo in giro per il mondo, in originale, in tutte le lingue, o sotto forma di cover. L’ha cantata Michael Bublé ed è nella colonna sonora del film The Blues Brothers.
Una lacrima sul viso (1964): Bobby Solo
Con Little Tony è uno degli Elvis Presley all’italiana. Ha la vittoria in pugno quando un improvviso abbassamento di voce gli impedisce di proporre la canzone dal vivo. Per la prima volta sul palco fa la sua comparsa il play-back, ma per regolamento Bobby Solo viene escluso dalla classifica. L’anno dopo la vittoria con Se piangi, se ridi avrà il sapore del risarcimento.
E se domani (1964): Fausto Cigliano
Una delle più clamorose cantonate prese dalle giurie del festival. Lui è chitarrista e cantante della scuola classica napoletana. Alla sua sesta e ultima apparizione porta un pezzone, assai innovativo sia nella struttura melodica sia nel testo («E se domani, e sottolineo se»), ma non passa le eliminatorie e resta fuori dalla finale. Qualche mese dopo, la canzone diventerà un classico del repertorio di Mina.
Io che non vivo (1965): Pino Donaggio
È il figlio di un musicista, ha studiato violino e a un certo punto scopre il rock ‘n roll. Quando porta al festival Io che non vivo, era già arrivato terzo due anni prima. Stavolta spacca. Non vince, ma va al primo posto nella Hit Parade e vende 80 milioni di copie di dischi in tutto il mondo. L’hanno rifatta pure Elvis Presley e Cher.
Nessuno mi può giudicare (1966): Caterina Caselli
Il 1966 è un anno di canzoni sublimi. In Inghilterra i Beatles pubblicano Michelle e Yellow Submarine, in Italia Ennio Morricone scrive Se telefonando, Adriano Celentano porta al festival l’inno ambientalista Il ragazzo della via Gluck, Gianni Morandi incide C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones. Ma è Caterina Caselli a stupire con un pezzo rifiutato da Celentano. Diventa l’inno degli adolescenti contro gli adulti e delle ragazze contro l’ipocrisia. Resta per nove settimane al numero uno della Hit Parade, diventa un film e annuncia il Sessantotto.
Ciao amore ciao (1967): Luigi Tenco
Ha 28 anni, viene dall’ambiente jazz, porta a Sanremo una certa celebrità raggiunta quando Luciano Salce gli ha dato una parte nel film La cuccagna. Quando Tenco decide di andare a Sanremo, spiazza tutti: aveva dichiarato che non sarebbe mai accaduto. Parte da Genova e dice agli amici che offrirà la cena dopo la vittoria. Non tornerà più. Il suo corpo viene trovato senza vita nella camera 219 dell’hotel Savoy. Alla tesi ufficiale del suicidio sono in tanti a non credere, tra cui Sandro Ciotti e Gianni Mura. Non si fece l’autopsia, non fu estratto il proiettile, la sera prima aveva vinto sei milioni al casinò e in camera non c'era una lira. Iva Zanicchi sta per tornarsene a casa quando la fermano nella hall: il festival deve andare avanti. Lo vincerà lei, sconcertata. Nessuno dei partecipanti va al funerale. Ci sono Fabrizio De André e la moglie di Gino Paoli.
Mi va di cantare (1968): Louis Armstrong
L’anno del Maggio francese si apre con una presenza rivoluzionaria. Sanremo era aperto a interpreti internazionali: Louis Armstrong si presenta con la sua tromba e il pezzo Mi va di cantare: in coppia con Lara Saint Paul. Tredicesimo posto con un malinteso. Credeva che il lauto cachet ricevuto fosse per un concerto intero. Così finisce il pezzo e vorrebbe andare avanti. A Pippo Baudo tocca il compito surreale di chiedergli di smettere e accompagnarlo fuori.
Un'avventura (1969): Lucio Battisti
Dopo due partecipazioni consecutive da autore, il Lucio Battisti interprete fa la sua prima e unica apparizione in gara al festival: con la canzone Un'avventura viene abbinato a Wilson Pickett. Sette mesi dopo vincerà il Festivalbar con Acqua azzurra, acqua chiara e l'anno dopo si confermerà re dei juke-box con Fiori rosa, fiori di pesco. A Sanremo è solo nono. Stanno arrivando gli anni Settanta.
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