Il salto atletico di Nino Castelnuovo ha segnato la definitiva affermazione della cultura del corpo sano se magro e in forma
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Finzioni, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Per colpa sua, mio zio si ruppe una gamba. Avevo otto o nove anni, eravamo in campagna – se così si può definire la brulla pineta intorno al santuario dell’Incoronata a Foggia. C’era la tovaglia per terra, i panini, le focacce farcite, le birre, la famiglia riunita, andava tutto bene. Poi mio zio vide poco lontano una staccionata di legno; un residuo, credo, di vecchie delimitazioni di fittavoli. Subito pensò quello che, per molti anni, gli italiani hanno pensato al cospetto di una staccionata di legno: Nino Castelnuovo che, con un atletico colpo d’anca, salta la staccionata con una levità da danzatore. Però mio zio Mariano non era Nino Castelnuovo: di trenta centimetri più basso e di trenta chili più pesante, aveva fatto per tutta la vita l’operaio calzaturiero, la sedentarietà della catena di montaggio otto e anche dieci ore al giorno gli aveva gonfiato le gambe: il suo sogno di una triangolazione mimetica con Nino Castelnuovo non poteva che fallire rovinosamente. Provò a saltare e si ruppe la gamba. Qualunque cosa significasse quella staccionata nell’immaginario suo e dell’intero paese, lo zio Mariano rimase al di qua. La scampagnata finì all’ospedale. Chissà quanti picnic italiani sono finiti così.
La più famosa
Lo spot dell’olio Cuore è, in fondo, la pubblicità più famosa di tutte: esplode nel 1982 appunto con Nino Castelnuovo come testimonial e, pur sostituendo via via gli interpreti (da Dino Zoff a Luca Barbareschi, da Enrico Montesano a Linus), non ha mai modificato il suo rito fondativo, quel salto iconico come la rovesciata di Carlo Parola: una formula magica da completare con le parole dello slogan, «Mangiar bene per sentirsi in forma».
Lo spot dell’olio Cuore fu uno di quei segnali che un’epoca finiva e ne iniziava un’altra; anche se al momento non se ne accorse nessuno. Se ne registrò, certo, l’incredibile e immediata popolarità. Era finita da poco l’epoca del carosello, la pubblicità iniziava a deflagrare su tutto il palinsesto, e in particolare sulle neonate reti private; iniziava la grande stagione berlusconiana dello Spot («Cos’è la televisione?», ebbe a dire Berlusconi, «Tutto quello che sta intorno alla pubblicità»). La réclame come spazio di celebrazione dell’uomo che, liberato dalle politicizzazioni degli anni Settanta, si emancipa dalle ideologie ridefinendosi finalmente come Consumatore: un nuovo soggetto del desiderio. Quale categoria doveva formare la nuova avanguardia? Ancora una volta, bontà sua, ci facciamo rispondere da Berlusconi: «Dobbiamo parlare alle casalinghe».
Ecco perché diventa fondamentale la scelta di Nino Castelnuovo come testimonial. Nel 1982 ha quarantasei anni. È molto conosciuto nelle case italiane, perché quindici anni prima ha interpretato Renzo Tramaglino nel popolarissimo sceneggiato Rai sui Promessi Sposi. Renzo Castelnuovo è l’ex-attor giovane della borghesia italiana, il bravo ragazzo della porta accanto che si presenta quasi-cinquantenne, con qualche ruga sì ma comunque aitante e atletico: «Da Cyrano a Marlowe, da Otello al feroce Saladino… ma oggi sono Nino Castelnuovo». Ecco l’attore che, messo al di là di ogni finzione personaggesca, dice finalmente “io”; ecco la pubblicità che regala ai suoi spettatori l’accesso a una verità molto più autentica di qualsiasi finzione teatrale. Se in questo dispositivo del rivendicare una garanzia di verità tramite l’esibizione della carta d’identità si sente odore di autofiction, è proprio perché la pubblicità è arrivata prima della letteratura, e le ha fatto l’agenda. Prima ancora del celebre incipit di Troppi paradisi – «Mi chiamo Walter Siti, come tutti» – c’è stato quell’«Oggi sono Nino Castelnuovo».
Eccolo dunque: Renzo Tramaglino è cresciuto, ed è diventato un oggetto erotico. Un erotismo, certo, dignitoso e cortese. Ma per la nuova Casalinga Desiderante è moltissimo: una piccola, silenziosa rivoluzione. Oggi che anche i ventenni apprezzano la figura del Dilf, può essere difficile evocare la novità sottilmente scandalosa che, nel 1982, stava nell’erotizzazione di un cinquantenne a reti unificate. Con quel salto di Castelnuovo la nuova società invita anche gli ultracinquantenni alla festa del desiderio consumistico e – soprattutto – alla faticosa staffetta che serve per parteciparvi. Il sottotesto dello spot lo dice chiaramente: essere sani non è un dono degli dèi, ma un lavoro quotidiano, di solitaria abnegazione, che passa dall’attività fisica, da un sano stile di vita, ma soprattutto da una sapiente strategia di consumi. La tavola imbandita nei campi dove Castelnuovo corre a sedersi non è un banchetto comunitario, ma un teatro di esibizione individualistica della propria prestanza fisica, dove Castelnuovo, a richiesta (“sai sempre saltare la staccionata?” gli chiede la bella donna seduta al suo fianco, e Castelnuovo – che si è appena seduto – prontamente esegue).
Viene da pensare che tutto l’allenamento e la sana alimentazione di Castelnuovo abbiano come vero e unico scopo l’esecuzione di quel numero a comando: Renzo Tramaglino è invecchiato, ritrovandosi prigioniero di una performance salutistica, un Sisifo che i nuovi incantesimi del Capitale hanno condannato a saltare una staccionata ogni volta che qualcuno glielo chiede.
La narrazione della dieta
Inizia qui la narrazione del Dietetico, del Salutare – quella perenne gara fra magri che, secondo Girard, altro non è che l’estrema declinazione del conflitto mimetico: «Ci reinventiamo dei padroni più feroci del Dio del cristianesimo più giansenista: non appena violiamo l’imperativo della magrezza, soffriamo tutte le pene dell’inferno. I nostri peccati sono inscritti nella nostra carne, e dobbiamo espiarli riducendo anche l’ultima caloria, attraverso una privazione più rigida di quella che qualunque religione abbia mai imposto ai suoi adepti».
Perché l’uomo deve essere in forma? È semplice: c’è da prepararsi a una battaglia. I maggiori successi cinematografici di quell’anno parlano chiaro: Conan il Barbaro, Blade Runner, Rocky, Rambo: uomini solitari e prestanti che riscattano i propri peccati originali tramite uno sforzo titanico e solitario. La sanguinosa guerra civile consumata negli anni Settanta è finita, e ne inizia un’altra, più bianca e assai più ambigua: quella della competizione estetica, atletica, economica. La forma fisica diventa un teorema esibizionistico, che fa tutt’uno con la performance che la dimostra. Gli anni Ottanta segnano la trasformazione dell’esistenza intera nello spettacolo permanente della propria potenza economica (a cui quella sessuale fa da sottinteso). Essere magri, a partire dagli anni Ottanta, è il segno che si partecipa all’avanguardia della civiltà dei consumi: il distintivo d’appartenenza alla classe dominante. Così come nell’Inghilterra vittoriana la quantità di prato davanti a un’abitazione segnalava la ricchezza del proprietario – giacché dimostrava che possedeva così tanta terra da poterne sottrarre una parte allo sfruttamento agricolo per destinarla allo “spreco” estetico – così la magrezza segnala la qualità distintiva del nuovo stile di vita, accessibile solo a chi possiede sufficiente tempo libero per allenarsi e sufficiente denaro per «mangiar sano e sentirsi in forma».
L’epoca in cui si annuncia la fine definitiva delle guerre di classe sta inaugurando una nuova età dell’oro – «l’èra meno violenta della Storia» la definirà Steven Pinker – dove però altri, forse più perversi demoni del conflitto stanno iniziando ad agitarsi. La violenza politica degli anni Settanta non è stata sconfitta, ma solo cifrata in altri linguaggi, spostata in altri teatri. La lattina di sano olio dietetico in mano a Nino Castelnuovo è l’arma di una nuova battaglia: il sostituto anni Ottanta della pistola. La celebre foto scattata da Paolo Pedrizzetti in via De Amicis a Milano nel maggio del ‘77 – quella che ritrae Giuseppe Memeo col volto coperto dal passamontagna che spara ad altezza d’uomo – viene sostituita dall’immagine salutare, agonistica e benedicente di Nino Castelnuovo con la sua latta d’olio. La barricata da superare non è più il muro di classe, ma la staccionata della nuova giovinezza capitalistica. E pazienza se qualcuno rimarrà al di qua, incapace di saltare o distrutto dal tentativo di farlo. È l’inizio di un’altra forma di militanza armata. Sono appena finiti gli spari, e la tv dice che inizia un’altra guerra: non più quella di una classe o una generazione contro l’altra, ma il tutti contro tutti per l’affermazione del Sé.
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