Un calcio a un formicaio», si dice oltralpe. Questo è stato l’effetto dell’annuncio di nuove elezioni sulla vita politica francese (e sui mercati). Ora si muovono tutti gli apparati di propaganda e si assestano le linee dei partiti. L’estrema destra assapora l’opportunità, la sinistra denuncia il caos. Convocare i cittadini alle urne sembrerebbe il gesto democratico per eccellenza, ma quanto è democratico sciogliere unilateralmente un’assemblea istituita dal voto popolare? E quanto è democratico convocare elezioni anticipate entro tre settimane, senza lasciare ai partiti il tempo per organizzarsi?

Non molto, secondo il socialista Raphaël Glucksmann. Quanto è democratico, soprattutto, votare quando i media sono ostaggio della politica? Se il servizio pubblico è tendenzialmente macronista, da qualche anno il miliardario Vincent Bolloré tesse la sua rete di giornali, radio e televisioni spudoratamente lepenisti. Qui politica e spettacolo si confondono, come quando giovedì sera il conduttore Cyril Hanouna ha telefonato in diretta al candidato Jordan Bardella per fargli negoziare un accordo con l’estrema estrema destra.

Commedia o tragedia?

L’all in di Macron ci sta già regalando un fuoco di fila di emozioni contrastanti, dal divertimento al puro terrore. Divertimento, per così dire, perché una campagna elettorale accelerata brucia i tempi morti e sblocca in poche ore cose che sarebbero durate mesi. E i media ci campano, con ospiti eccellenti a ogni ora del giorno e colpi di scena a ripetizione. I giornali francesi parlano di decomposizione del quadro politico. Il risultato sono scene da vaudeville, il teatro popolare dei tradimenti e delle porte che sbattono.

Éric Ciotti, presidente dei Repubblicani, aveva annunciato in diretta nazionale il suo appoggio al Rassemblement National di Marine Le Pen, ma si era “dimenticato” di consultare i membri del partito, assolutamente contrari. In compenso, secondo Le Monde, ne aveva discusso con Bolloré. È finita con Ciotti barricato nella sede del partito, come Hitler nel suo bunker, finché una parlamentare non ha trovato una copia delle chiavi. Due giorni dopo era ospite di Hanouna, sempre lui, per difendere la sua posizione. Quanto a Éric Zemmour, è stato mollato da Marion Maréchal Le Pen due giorni dopo essere stata eletta nelle sue liste, per raggiungere al RN la zia Marine. L’unione delle destre si farà senza il suo principale teorico.

In mezzo alle risate, però, comincia a salire anche un po’ di terrore. Ad alimentarlo sono innanzitutto i tre blocchi in competizione, che dipingono ciascuno la vittoria degli altri come una catastrofe. La minaccia costituita dall’estrema destra è piuttosto evidente, perlomeno per quei segmenti di popolazione che incorreranno nella repressione annunciata. La novità, a questo giro, sta però nello spauracchio della sinistra. Sia Ciotti che Bardella hanno evocato la necessità di erigere un «blocco repubblicano... contro la sinistra di Jean-Luc Mélenchon». Specchio riflesso. La stessa categoria politico-retorica che per oltre vent’anni era servita a isolare Le Pen, padre e poi figlia, adesso viene messa al servizio dell’estrema destra, presentata come unico argine al “vero” populismo.

Sarebbe da scrivere nel marmo la regola: attento ad armeggiare con miti e simboli, perché prima o poi saranno usati contro di te. Almeno adesso sappiamo quale sarà il grande tema della campagna elettorale della destra: la minaccia islamo-gauchista, spettro nel quale convergono il fastidio per le mode woke e il presunto antisemitismo dei militanti pro Palestina.

Negli ultimi mesi, in effetti, Mélenchon si era distinto per alcune posizioni ambigue, goffe o francamente irresponsabili sulla questione, fino a minimizzare l’ondata di atti violenti e intimidatori nei confronti degli ebrei francesi, capri espiatori delle pesanti responsabilità di Netanyahu. Questo posizionamento, assieme ai modi pittoreschi da caudillo, ha reso Mélenchon un problema anche a sinistra, persino nel suo partito.

L’impero di Vincent

Qui entra in gioco Bolloré. Per vedere all’opera la strategia di demonizzazione della sinistra basta sintonizzarsi sul suo canale CNews, la Fox News francese, praticamente un canale di propaganda di estrema destra ventiquattr’ore su ventiquattro. Qui si ripete che bisogna votare RN per combattere l’antisemitismo, che a prima vista equivale un po’ a «scopare per la verginità» (cit). Qui viene continuamente sventolato lo spettro della guerra civile che la sinistra, a credere loro, vorrebbe scatenare. Qui le decine di migliaia di militanti scesi in piazza per protestare contro il RN vengono presentati come un’emergenza democratica. Alcuni manifestanti si sono messi al servizio di questa retorica alzando il livello dello scontro con slogan e atti violenti: se nelle prossime settimane la situazione nelle piazze – e nelle banlieue – dovesse degenerare, la vittoria di Bardella sarebbe assicurata. Centinaia di migliaia di manifestanti sono attesi per questo weekend: chi desidera il caos sa quello che deve provocare.

CNews è l’espressione più spudorata dell’impero della propaganda di Bolloré, che ha fatto della promozione delle idee di estrema destra la sua ragione di vita. Ma la punta di diamante della strategia è proprio Hanouna, con il suo talk show – il più seguito di Francia – “Touche pas à mon poste” sul canale gemello C8. Nel suo studio si sono avvicendati – in mezzo a starlette e casi umani – politici di primo piano, fino alla ministra della Cultura in carica, Rachida Dati, alla ricerca di un’unzione popolare. Il programma di Hanouna non ha nulla di politico, a prima vista: con i suoi ospiti fissi, il presentatore discute principalmente di televisione e gossip, incarnando una certa idea di “francese medio” che “parla come mangia”.

Ma la politica penetra poco a poco, in modo diretto o indiretto, perché Tpmp racconta un paese pericoloso e governato da élite ipocrite. Soprattutto, Hanouna veicola certi codici comunicativi nel suo modo smargiasso di rivolgersi agli ospiti, umiliandoli se necessario. Esteta della prevaricazione, Hanouna è già stato oggetto di innumerevoli articoli, reportage, studi accademici. Giovedì sera ha annunciato che sarà lui a ospitare il dibattito tra i tre candidati alla presidenza del Consiglio.

Il dilemma della par condicio

A chi denuncia la propaganda di CNews, la destra risponde di lasciar stare la pagliuzza e far caso semmai alla trave nel proprio occhio: non è propaganda, ma di segno opposto, anche quella del servizio pubblico e dei canali mainstream? È difficile negarlo. Dietro alle loro patenti di “neutralità”, i media tradizionali veicolano determinati valori, escludono certe idee, danno spazio a voci coltivate in vitro nei laboratori del progressismo parigino. I bersagli di questa critica sono ricorrenti: innanzitutto l’impero di Radio France, fiore all’occhiello della divulgazione culturale, e poi il seguitissimo talk televisivo di Yann Barthès, Quotidien.

Non a caso Barthès e Hanouna non cessano di farsi guerra a distanza, come Antonio Ricci e Paolo Bonolis dei bei tempi. Eppure anche il fronte progressista è scisso, tra il centro e la sinistra, tra chi pende verso Macron e chi verso Mélenchon. Vittima sacrificale di questa lotta intestina lungo le rive della Senna è stato il comico Guillaume Meurice, licenziato per avere preso un po’ troppo sul serio il motto “Je suis Charlie”: in un contesto di fortissime tensioni interculturali, per denunciare le politiche criminali di Netanyahu non aveva trovato di meglio che ironizzare sulla sua identità ebraica con una vieta allusione genitale.

Negli ultimi mesi la Arcom, l’autorità di regolazione della comunicazione audiovisiva e digitale, è intervenuta più volte per cercare di mettere ordine in questo caos: ma come si garantisce l’equilibrio (la nostra “par condicio”) dal momento che la politica s’infila dappertutto, tanto nella neutralità pelosa del discorso centrista, istituzionale e scientista quanto nell’opposta pseudo neutralità del senso comune popolare-populista? Non si può.

Questo assetto mediatico-culturale potrebbe cambiare dopo il 7 giugno: il RN ha annunciato il definanziamento del servizio pubblico, tra gli applausi del solito Hanouna. La Francia, comunque vada, non sarà più la stessa.

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