Ormai persino le destre estreme hanno abbandonato il tormentone della “exit” dall’Ue e dall’euro. Non significa certo che tutti i partiti politici siano diventati sostenitori dell’integrazione europea, anzi.

Apocalittici o integrati?

«Meno Europa», chiede la Lega nel suo programma, al quale si accompagna una serie di poster elettorali volta a screditare – in pieno stile orbaniano – le istituzioni europee. C'è pure il poster con i volti di Draghi, Macron e von der Leyen («Con loro in Europa? no grazie»), che è una versione apocrifa di quelli ungheresi contro von der Leyen e Soros.

Mentre Matteo Salvini prova a rastrellare voti degli euroscettici, Giorgia Meloni continua la sua strategia di mascheramento: non dice «Più Italia, meno Europa», ma «Con Giorgia l’Italia cambia l’Europa»; vuol dire penetrare le istituzioni Ue per poi colpire il processo di integrazione dall’interno. Il programma di Fratelli d’Italia insiste sulla «difesa dell’identità delle nazioni» e parla di «normative europee contrarie all’interesse nazionale»; usando l’espressione meloniana di «riunificazione europea», sostiene il processo di allargamento dell’Ue (ma «sulla base del merito»).

Un’Unione più estesa ma meno intensa: non c’è traccia di riforme della governance Ue in senso più democratico, né di riferimenti a un’integrazione politica più stretta. Mentre i meloniani insistono sull’Europa come «alleanza di nazioni sovrane» e invocano una «Europa confederale», nella quale spicchi cioè l’autonomia degli stati, viceversa il Pd perora quella «federale», nella quale prevalga l’unione.

Il programma dei democratici guidati da Elly Schlein si apre all’insegna di una visione europeista: «Dobbiamo recuperare la stessa ambizione che ebbero le madri fondatrici e i padri fondatori dell’Ue; nessuna delle grandi sfide si potrà risolvere dentro i confini nazionali». Tanto è apocalittica l’Ue di Salvini, quanto è «integrata» quella di Schlein.

«L’Italia che conta: protagonisti in Europa» è lo slogan del Movimento 5 stelle guidato da Giuseppe Conte, che parla di «un’Europa che funzioni», una «Unione dei diritti» – «l’Ue non è un bancomat ma una comunità di valori» – e di «allargamento sì, ma non per tutti».

Matteo Renzi conta sulla visione turboeuropeista di Emma Bonino per il programma della lista Stati uniti d’Europa, che ipotizza una Ue a più velocità: «Oggi la responsabilità di porre le basi per gli Stati Uniti d’Europa potrebbe ricadere su alcuni disposti a procedere più speditamente, l’Europa “di chi vuole di più”».

Qui si parla di «integrazione delle politiche economiche come suggerito da Draghi», così come nel programma di Azione di Carlo Calenda si parla di «delegare all’Ue la politica estera e di difesa».

Riformare i trattati?

Per mettere alla prova le reali intenzioni dei partiti di rafforzare l’integrazione europea, si può utilizzare come cartina al tornasole l’ipotesi di riformare i trattati.

Breve riassunto delle puntate precedenti: nel 2021 si tiene la Conferenza sul futuro dell’Europa, con un percorso partecipativo. L’anno seguente l’Europarlamento si attiva per chiedere una Convenzione, preludio necessario per avviare una riforma dei trattati. Successivamente l’iniziativa perde slancio per due motivi: il primo è che i capi di governo la affossano (e gli stessi Macron e Scholz non vi investono più). Il secondo è che la geometria variabile slittata a destra inizia a concretizzarsi.

Lo si vede a novembre 2023, quando l’Europarlamento vota su una risoluzione per la riforma dei trattati; la proposta prevede pure piena iniziativa legislativa per il parlamento Ue. Viene approvata, ma con poco margine. Conservatori (l’Ecr di Meloni e del Pis) e Identità e democrazia (sovranisti Lega inclusa) si sono tirati fuori già dai negoziati, ed erano contrari. Il punto è che pure il Ppe si è diviso, con la fetta più ampia che ha votato contro.

Cosa dicono i programmi ora? Forza Italia, che è nel Ppe, sostiene di volere sia la riforma dei trattati che l’iniziativa legislativa per l’Europarlamento. È anche l’unico partito della maggioranza di governo a dichiarare di voler «uscire dalla logica dei veti», cioè dell’unanimità che consente a premier come Orbán di tenere sotto scacco il Consiglio. Di tutt’altro avviso la Lega, per «la salvaguardia del voto all’unanimità»; FdI sul punto tace.

Quella che verrà deve essere «una legislatura costituente» secondo i dem, che sostengono la Convenzione per la riforma dei trattati, rivendicano la Conferenza sul futuro dell’Europa – «fortemente voluta da Sassoli» – e invocano «forum cittadini permanenti». Il Pd vuole un Europarlamento con potere di iniziativa legislativa e che eserciti un controllo rafforzato sulla Commissione.

C’è in questo affinità con il Movimento 5 Stelle, che pure è per riformare i trattati e «sostituire il voto all’unanimità con quello a maggioranza qualificata in Consiglio»; vuole «attribuire al Parlamento Ue il diritto di iniziativa legislativa» e «il potere di nomina del presidente di Commissione».

Sono punti sui quali c’è buona compattezza tra Pd, M5s e Alleanza verdi e sinistra, la quale parla di avviare un «processo costituente», dice sì alla Convenzione, al superamento dell’unanimità, al diritto di iniziativa per l’Europarlamento, e parla di «cittadinanza federale».

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