La leader di Md è una dei sei giudici del tribunale di Roma che il 18 ottobre si sono pronunciati contro il trattenimento dei 12 migranti in Albania. È stata travolta da una campagna d’odio. Ma c’è un filo rosso che la collega ad altre toghe, minacciate non dai propri indagati, come nel caso degli oltre 250 sotto tutela per le inchieste sulla criminalità organizzata, ma da chi è convinto che i giudici vogliano con i loro provvedimenti «tradire la volontà popolare»
L’ultima in ordine cronologico è stata Silvia Albano, travolta da una campagna d’odio che l’ha costretta a denunciare le minacce che riceve da una settimana. Albano è una dei sei giudici del tribunale di Roma che il 18 ottobre si sono pronunciati contro il trattenimento dei 12 migranti in Albania.
Ma c’è un filo rosso che la collega ad altri magistrati, minacciati non dai propri indagati, come nel caso degli oltre 250 sotto tutela per le inchieste sulla criminalità organizzata, ma da chi è convinto che i giudici vogliano con i loro provvedimenti «tradire la volontà popolare». Il tema, poi, è sempre lo stesso: l’immigrazione.
Le minacce alla giudice Albano
Il governo critica i giudici? Un secondo dopo arrivano le minacce. Nel caso di Albano la campagna denigratoria era iniziata in realtà già prima del 18 ottobre. Lei è il «nemico» perfetto perché è anche presidente di Magistratura democratica (Md). Insomma, una «toga rossa».
«Spero che ti sparino», «Magistrato corrotto». In pochi giorni Albano si è vista recapitare anche sulla sua mail personale e su quella di Md centinaia di minacce di questo genere. Senza parlare degli insulti sui social. Da qui la scelta della giudice di presentarsi in procura il 24 ottobre, con la possibilità che anche a lei venga assegnata una protezione.
In passato Albano era stata denunciata per abuso d’ufficio da CasaPound perché aveva rigettato il ricorso del movimento neofascista contro la scelta di Facebook di oscurarne il profilo. Ma mai era arrivata ad aver paura di uscire di casa.
I pm del processo Open arms
Quello di Silvia Albano non è un caso isolato. Una settimana fa è stata assegnata la scorta anche a Giorgia Righi, una dei tre pm del processo Open arms in cui Matteo Salvini rischia una condanna a sei anni per sequestro di persona. Anche qui il tempismo non dà spazio a equivoci. Le minacce sono partite proprio nel giorno della requisitoria dell’accusa e dopo che il segretario leghista ha accusato i giudici di andare contro le decisioni di un governo «eletto dal popolo».
Righi era l’unica del pool a non essere ancora sotto tutela, perché gli altri due magistrati titolari del fascicolo, Geri Ferrara e Marzia Sabella, sono già da tempo accompagnati giorno e notte da agenti di scorta. Lo stesso Viminale guidato da Matteo Piantedosi (ai tempi dei fatti contestati dalla procura di Palermo era capo di gabinetto di Salvini) che sui suoi profili istituzionali ha espresso solidarietà al leader leghista e parlato esplicitamente di «ingiustizia».
I casi Apostolico e Breggia
Episodi di questo genere non sono una novità. Poco più di un anno fa era finita nel mirino la giudice Iolanda Apostolico del tribunale di Catania, vittima di un attacco mediatico senza precedenti per essersi opposta alle espulsioni accelerate di quattro tunisini previste dal decreto Cutro. In quell’occasione il segretario leghista aveva pubblicato un video in cui si vedeva Apostolico, nell’agosto del 2018, protestare contro il trattenimento dei migranti sulla nave Diciotti.
Andando un po’ indietro nel tempo, sorte simile era toccata a Luciana Breggia, allora presidente della sezione specializzata per la protezione internazionale del tribunale di Firenze. Nel 2019 ha emesso una sentenza che escludeva il Viminale dal giudizio sull’iscrizione anagrafica di un migrante. «Invito questo giudice a candidarsi alle prossime elezioni», ha attaccato Salvini. Con tanto di foto di Breggia pubblicata sui suoi profili.
C’è chi inizia a vivere sotto scorta e chi la tutela la perde improvvisamente, come la gip di Emanuela Attura, che aveva chiesto l’imputazione coatta per il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro. Quattro mesi dopo la pronuncia sul meloniano, a novembre 2023, via la protezione.
Non ci sono elementi certi che leghino i due eventi. Ma i dubbi, quelli sì, rimangono.
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