L’assoluzione in contemporanea, dei “due Mattei” pone il problema delle conseguenze politiche che la sconfitta, cosi pervicacemente inseguita dalle procure di Palermo e Firenze, causerà.

Le due sentenze, relative a indagini, reati e vicende ben diversi, hanno un punto in comune: sono il frutto del rigoroso rispetto da parte dei giudici siciliani e toscani del principio di legalità, il diritto che un cittadino (anche il peggiore) ha di essere edotto delle caratteristiche di illiceità di determinate condotte formulate nel codice penale in modo tassativo. In entrambi i casi tale requisito mancava nella formulazione dell’accusa.

Ciò vale anche per Matteo Salvini, accusato del gravissimo reato di sequestro di persona commesso nell’agosto 2019, quando bloccò lo sbarco della Open Arms che aveva a bordo 147 migranti, costretti a subire una dura sofferenza in base a una legge votata in Senato dalla maggioranza giallo-verde che dava al ministro il potere di impedire l’approdo di una nave qualora avesse violato le norme italiane in materia di immigrazione.

“Porto sicuro”

La legge in questione trattava in anteprima uno dei profili cruciali del conflitto più duro tra magistrati e governo, quello della individuazione dei luoghi di attracco e rimpatrio da ritenersi “sicuri”.

In base al decreto l’individuazione del cosiddetto “porto sicuro” di sbarco (POS) spettava allo «stato responsabile dell’operazione di soccorso» così come di recente la controversia ha riguardato la individuazione in appositi elenchi di “paese sicuri” da parte del governo.

La nave è rimasta bloccata in mare per molti giorni, aspettando il permesso, reso possibile anche in questo caso solo dall’intervento sia della magistratura amministrativa che ha sospeso il divieto di sbarco su ricorso dei legali dell’ong sia della procura di Agrigento che apriva un’indagine.

Questo l’antefatto che ha portato dopo ben 5 anni alla sentenza: come già scritto qui la procura ha ritenuto di contestare un reato, il sequestro di persona, nel caso di specie non configurabile per la elementare considerazione che un divieto di accesso con invito ad andare in ogni altra direzione non può equipararsi a una qualsivoglia forma di restrizione con il pieno controllo del luogo fisico (la nave) da parte degli autori del reato.

Governo e magistrati

Appunto il principio di legalità, applicato anche nel caso Renzi, e qui sta il punto su cui occorre fare un qualche distinguo mentre già infuriano le polemiche. Ci si può interrogare sugli scopi e le ragioni di tali forzature concettuali degli inquirenti (addirittura plateali nonostante l’intervento ripetuto della Cassazione nel caso Renzi) ma è bene che non si creino interessate confusioni.

Innanzitutto il principio di legalità ha tenuto grazie ai tribunali e questa è una notizia confortante specie in tempi di tentazioni autoritarie. In secondo luogo ancorché da parte della maggioranza si ipotizzino ricadute sulla politica degli hub albanesi i profili sono ben diversi. Nei casi più recenti di annullamento dei trasferimenti in Albania, l’intervento dei magistrati di Roma e di Bologna ha trovato ratifiche importanti.

Tra queste, la I sezione civile della Cassazione, che dovrà anche pronunciarsi sul ricorso di Matteo Piantedosi contro il provvedimento del giudice emiliano che annullava il trasferimento di 12 migranti in Albania, ha depositato giovedì una sentenza pronunciata in un altro caso stabilendo due punti importanti.

Il primo è che il giudice non può disapplicare direttamente gli ultimi decreti legge con la lista dei paesi sicuri perché non può sostituirsi alle valutazioni politiche espresse con leggi ordinarie. Dunque ciò conforta la posizione governativa.

In secondo luogo, però, ha affermato che il tribunale ha il dovere di esaminare comunque con cura le richieste di asilo basate su situazioni anche soggettive di pericolo del rifugiato e ciò, in ragione dei tempi, seppellirà la fantasiosa procedura accelerata di rimpatrio ideata da Giorgia Meloni. Dunque negli hub resteranno i cani randagi.

Da qui l’avvio di una nuova offensiva dei vari governi sovranisti per lo sganciamento dal controllo delle corti europee al fine di aver le mani libere in materia di pieno controllo nazionale delle leggi e della giurisdizione.

Lo hanno detto sia il sottosegretario alla presidenza, Alfredo Mantovano, e ancora in modo più esplicito il successore di Meloni alla guida dei Conservatori europei, il polacco Mateusz Morawiecki («dobbiamo porre fine all’eccesso di potere giudiziario dell’Ue, deve rimanere una comunità di nazioni libere e non una grande burocrazia»).

Qui il vero pericolo. Sarebbe un danno gravissimo: la fine della giurisdizione europea lascerebbe i cittadini senza un enorme scudo di ultima istanza cui in Italia si deve la introduzione del giusto processo in Costituzione nel momento in cui i vari governi nazionalisti varano leggi che investono i diritti non solo dei più deboli ma di tutti.

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