Un’altra grana sta per arrivare sulla scrivania di Giorgia Meloni, chiamata ad affrontare una scelta delicata: la nomina del nuovo comandante generale dei carabinieri. Da settimane, infatti, risulta a Domani che sia in atto sul dossier un nuovo scontro tra il ministro della Difesa, Guido Crosetto, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano.

La lite monta intorno al sostituto di Teo Luzi, attuale comandante generale dell’Arma con il mandato in scadenza a metà novembre, quando raggiungerà il limite d’età dei 65 anni.

In campo ci sono tre candidati forti, tutti ufficiali di indiscutibile spessore: il vicecomandante generale, Salvatore Luongo, il capo di Stato maggiore, Mario Cinque, e il capo del comando Pastrengo, Riccardo Galletta.

I tempi però sono ormai strettissimi, e l’obiettivo è di evitare il bis di quanto accaduto lo scorso anno con i vertici della Guardia di finanza dopo la fine del mandato di Giuseppe Zafarana.

Le premesse, anche questa volta, non sono però delle migliori. Crosetto e Mantovano puntano su nomi diversi, e entrambi non sembrano voler fare un passo indietro. Sarà Meloni a decidere chi assecondare, con conseguenze imprevedibili.

Il nome di Crosetto

La prima sfida diretta potrebbe consumarsi già nel Consiglio dei ministri in programma lunedì. Crosetto, a cui spetta il potere di firma, ha individuato da un pezzo il profilo preferito: Salvatore Luongo, 62 anni, che nel maggio di quest’anno è stato nominato dall’esecutivo vicecomandante dei carabinieri. Il generale ha un lungo cursus honorum al ministero della Difesa: è diventato capo dell’ufficio legislativo con Roberta Pinotti del Pd.

È stato quindi confermato dai ministri Elisabetta Trenta del Movimento 5 stelle e Lorenzo Guerini (altro dem). Anche Crosetto ha apprezzato le sue competenze confermandolo al vertice dell’ufficio fino a metà 2023, quando il generale ha assunto la guida del comando interregionale Podgora. A maggio 2024, poi, l’approdo alla funzione di vice del comando generale dell’Arma.

Il ministro punta a chiudere presto la partita, evitando di arrivare a ridosso della scadenza di novembre; così da favorire un cambio della guardia “ordinato”, replicando lo schema usato con Carmine Masiello indicato a capo dell’esercito. Il passaggio, nonostante il boccino sia formalmente nelle mani di Crosetto, non è affatto scontato. Tutt’altro.

A palazzo Chigi c’è chi è pronto alla barricate: il nome di Luongo trova infatti l’opposizione di Mantovano, di cui Meloni si fida ciecamente su questi dossier. Il sottosegretario considera l’ex capo legislativo della Difesa troppo trasversale, addirittura vicino al Pd. Impensabile, secondo il pensiero intransigente di Mantovano, benché nello specifico non abbia nulla da ridire dal punto di vista del curriculum.

La vicenda sembrerebbe più una ripicca verso Crosetto con cui i rapporti sono ai minimi termini. Il ministro della Difesa è intenzionato a tirare dritto su Luongo nel prossimo Cdm.

Mantovano, invece, vorrebbe Mario Cinque, capo di Stato maggiore dei carabinieri dal 2021, quando ha preso il posto proprio di Luzi, approdato al comando generale. Tra l’attuale comandante e Cinque c’è un rapporto solido che ha favorito una stretta collaborazione.

Nella sua carriera interna all’Arma, il generale ha ricoperto vari incarichi di prestigio fino al ruolo di sottocapo di Stato maggiore dei carabinieri nel 2018. Cinque viene descritto da chi lo conosce come «un ufficiale di grandi capacità e indiscutibile tratto umano».

C’è poi il terzo candidato in gioco, Riccardo Galletta, attualmente capo del comando Pastrengo (Nord Italia), che gode di grande stima anche dalle parti del Vaticano (che spinge il suo nome proprio con Mantovano, plenipotenziario dei rapporti tra Palazzo Chigi e Santa Sede) e vanta buoni uffici con il Quirinale.

Il Colle, risulta sempre a Domani, ha preferito chiamarsi fuori dalla disputa: ripone massima fiducia in tutti e tre i profili e fino alla fine seguirà in silenzio la scelta del sostituto di Teo Luzi.

Battaglia politica

La sfida non si gioca però solo sui curriculum. La nomina è teatro dell’ennesima puntata della battaglia politica interna al governo. Per Meloni la matassa è difficile da sbrogliare: la decisione finale toccherà a lei, che finora ha voluto tenersi lontana dalla vicenda.

La premier infatti in merito alle nomine sull’intelligence e dei vertici della sicurezza preferisce non scegliere da sola: spesso si è affidata ai suoi più stretti collaboratori per la selezione dei candidati. Tra tutti spicca proprio Mantovano, regista per esempio dell’operazione che ha portato alla guida dell’Aisi Bruno Valensise, che in pochi mesi ha riorganizzato l’agenzia.

È stata rivista l’intelligence economico-finanziaria, prima affidata a Giuseppe Del Deo (a lungo considerato il favorito per la guida dell’Agenzia), affidando i principali compiti di intelligence a Carlo De Donno, specializzato nel contrasto alla criminalità organizzata e anti-terrorisimo.

Sulla decisione ha pesato il caso – svelato da Domani – delle due persone sorprese vicino all’automobile dell’ex compagno della premier, Andrea Giambruno, su cui si sono scatenati sospetti e veleni intorno all’intelligence.

Lo spostamento di Del Deo al Dis, però, non è affatto piaciuto a Crosetto. Ancora scottato dalla decisione di Mantovano di confermare urbi et orbi la fiducia all’attuale direttore, Giovanni Caravelli, dopo che Crosetto aveva lamentato una scarsa collaborazione da parte dell’agenzia dei servizi esteri. Ora, sul nuovo numero uno dell’Arma, il nuovo round.

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