«Italia viva nel centrosinistra? A Genova è in maggioranza con la destra. Ha un assessore che non si è dimesso né ha intenzione di dimettersi. Matteo Renzi ha formalizzato l’uscita dalla maggioranza di Bucci? A me non risulta». Sergio Cofferati, già segretario Cgil, già sindaco di Bologna, è stato per dieci anni europarlamentare. Nel 2015 si è candidato alle primarie del centrosinistra in Liguria.

Le ha perse contro la candidata renziana, Raffaella Paita, e ha lasciato il Pd denunciando il «ricorso in modo spregiudicato al sostegno del centrodestra». È stato insomma il primo a denunciare – politicamente – gli spericolati attraversamenti di campo di Renzi. Nel 2023, con il nuovo corso di Elly Schlein, è tornato nel Pd.

La rottura del campo largo nazionale si abbatte sul voto ligure?

Non credo, il lavoro fatto fin qui da Andrea Orlando (candidato del centrosinistra, ndr) ha permesso di creare, passo dopo passo, tema dopo tema, una piattaforma che risponde ai bisogni di questa regione, ripetutamente ignorati dalla destra, o affrontati in maniera inefficace o sbagliata. Vale per la regione, ma anche per il comune. Bisogna continuare a lavorare così in queste ultime settimane prima del voto. Ci sono le condizioni perché il centrosinistra raccolga il consenso per governare.

Ha fatto bene Conte a porre una questione di “credibilità” per i nomi di Iv nelle liste civiche?

Sì. Il tema è stato posto con una qualche ricerca di visibilità, ma è fondato. Ed è giusto che venga affrontato. Non puoi far parte di un partito che sta in un governo di destra e insieme candidarti con la sinistra.

Iv ha tolto l’appoggio a Bucci.

Non mi risulta, se l’ha fatto, l’ha fatto in maniera fumosa.

Perdere i centristi, per la sinistra, non è un rischio, visto che Bucci è stato candidato proprio per pescare in quell’area?

Il problema va affrontato da un altro versante. Dalla nostra ipotesi di governo futuro, il programma è dirimente. Lo schieramento si costruisce lì. Peraltro ci sono temi che valgono per la Liguria e per l’intero paese. Fin qui c’è stata la ricerca del consenso più largo possibile, ma in virtù delle cose che riteniamo indispensabili fare. Se parliamo di politica economica e infrastrutture, ci sono alcune emergenze. La tendenza dirompente della distruzione del mondo della produzione. Parliamo di treni? Non è un tema solo nostro, ma Genova è una città prigioniera di un sistema ferroviario antico. Risolvere questo problema non dà un vantaggio alla sola Liguria, ma anche alle regioni intorno: siamo isolati da Roma, da Firenze, dalle regioni del centro. E dall’Europa.

M5s è l’interlocutore giusto per le infrastrutture?

Sono un tema condiviso. Anche perché quando si parla di infrastrutture si parla anche di politiche ambientali.

La condizione messa da M5s contro i renziani non è stata tardiva?

Ma sul ritardo c’è una responsabilità anche dello schieramento. Il tema andava posto alla partenza della discussione sulla coalizione. Anzi, ancor prima della devastante vicenda di Toti, sulle politiche della regione: la pressione dell’opposizione c’è stata, ma doveva essere più consistente.

In Liguria è detonata una questione nazionale del centrosinistra: il perimetro della coalizione. Cosa deve fare Schlein per mettere insieme un centrosinistra?

Dare visibilità a un progetto e chiedere l’impegno di tutti a una discussione esplicita, pubblica, visibile, e tempestiva.

Serve una cabina di regia, come sostiene Orlando?

Sì, un luogo di confronto, lo si chiami come si vuole, in cui il mondo progressista discuta le priorità comuni. E ne discuta con costanza, con proposte costruite con attenzione. Non è cosa da farsi solo quando si avvicina una scadenza elettorale.

Sarebbe un tavolo senza Renzi?

Ma sì, in nessuna grande occasione c’è stata una disponibilità di Iv ad affrontare i temi con spirito di coalizione.

Anche fra Pd e M5s le distanze sono grandi: guerra, Draghi, Rai.

Vero, le distanze ci sono, non vanno sottovalutate. Va affrontata con coraggio la discussione, prima possibile. Aver tergiversato sugli argomenti non è stata una buona scelta. Si discute, con la disponibilità a misurarsi con gli alleati. È impegnativo, faticoso ma produttivo. E coinvolge le persone che si vogliono rappresentare. Se parli di cose vere i cittadini ti guardano con interesse. Se i conflitti appaiono come problemi di potere, la decadenza della reputazione della politica è inevitabile.

È Schlein la leader dell’alleanza?

In una coalizione, tutti devono essere considerati con lo stesso rispetto, piccoli e grandi. Non si tratta di stabilire chi è il numero uno, ma di stare tutti insieme. Detto questo, Elly guida il partito maggiore, ha intelligenza e passione. L’esperienza da leader se la costruirà nel tempo. Ma l’esperienza in Europa e quella da amministratrice in Emilia-Romagna sono un ottimo punto di partenza.

Quanto a esperienze pregresse, Conte è un ex premier.

Un gruppo di forze tenute insieme da valori e obiettivi comuni non debbono avere necessariamente una persona sola di riferimento. Ci sono altre ipotesi: un esecutivo rappresentativo; un meccanismo di alternanza con persone che non per forza hanno un incarico politico; o un uomo o una donna autorevoli per storia e cultura, che facciano da coordinamento.

Crede che alla fine questo tormentato centrosinistra si farà?

Sì, penso che i tormenti sono un problema e un pericolo, ma anche occasioni che diversamente non si incontrerebbero per affrontare con urgenza il merito dei temi, e non limitarsi a indicazioni generiche. I tormenti vanno “sfruttati”. Le persone hanno bisogno di vedere concretamente cosa intende fare la politica. Dirlo a pochi mesi dalle elezioni rischia di non rendere credibili le proposte, e l’alleanza.

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