La propaganda di Giorgia Meloni è partita in quarta. Ieri sera è stato anticipato un manifesto di 59 pagine che celebra i due anni al governo. Stamattina, data simbolo del traguardo raggiunto, la premier avrebbe dovuto essere in conferenza stampa per illustrare la manovra e il depliant, ma gli impegni – addotti come motivo ufficiale - del vicepremier di Antonio Tajani hanno fatto saltare l’appuntamento.

Resta agli atti solo una lunga carrellata elogiativa delle varie iniziative intraprese. Vengono esaltati i dati dell’occupazione e dell’economia in generale e l’avanzamento del Pnrr su cui i numeri sulla spesa effettiva sono avvolti nella cortina fumogena della comunicazione.

Addirittura si arriva a raccontare le magnifiche sorti e progressive delle misure per Caivano e a vantarsi del decreto Anti rave. Del resto, con una legge di Bilancio così deludente, bisogna concentrarsi su altro.

Tensione Concordato

Mentre Meloni lucida lo storytelling, continua la tensione tra Antonio Tajani e Matteo Salvini. Ma non è lo ius scholae l’oggetto della contesa, ma la manovra. E l’ennesimo derby interno alla maggioranza è appena cominciato. Tra Forza Italia, che chiede il taglio delle aliquote Irpef del secondo scaglione (dal 35 al 33 per cento), e la Lega che accarezza ancora il sogno dell’ampliamento della platea per i beneficiari flat tax (andando sopra la soglia degli 85mila euro), la sfida è aperta.

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha spiegato che a fine ottobre, alla chiusura del Concordato preventivo, potrebbero arrivare delle risorse aggiuntive, caricando di aspettative la data del 31 ottobre. Comunque si capirà qualcosa «non prima della metà di novembre», ha fatto sapere il sottosegretario all’Economia, Federico Freni, evidenziando la necessità di fare i conti.

Un dato è certo: il governo è appeso all’ennesimo condono per mettere sul tavolo interventi sul fisco. Il testo della legge di Bilancio sta approdando in parlamento mentre questo giornale va in stampa, ma i nodi vengono spostati più avanti e defalcati dal contenuto della manovra stessa.

Anche l’aumento – che nella neolingua meloniana diventa un «allineamento» – delle accise per il diesel è stato previsto in un provvedimento a parte.

I punti più delicati sono stati rinviati. Ma resta un fatto: qualsiasi gruzzolo aggiuntivo è utile per portare a casa uno strapuntino. Forza Italia è in allarme per una manovra che soddisfa molto di più Lega e Fratelli d’Italia, a cominciare dalle misure punitive per i manager pubblici. Una misura indigesta ai liberali eredi di Silvio Berlusconi. Antonio Tajani può rivendicare poco o niente, i 10 euro al mese in più per le pensioni minime sono meno di una mancia. Non si può costruire la narrazione di un partito attento ai pensionati.

Per questo serve un colpo d’ala, una misura-bandiera da intestarsi. E cosa c’è di meglio di un abbattimento di 2 punti percentuali dell’aliquota Irpef per i redditi fino ai 50mila euro? «Sulla flat tax la platea è già ampia, mentre non ci sono stati interventi per il ceto medio», è la linea che portano avanti i fedelissimi del ministro degli Esteri.

Di sicuro lo scontro è ai primi passi con i leghisti che partono avvantaggiati: possono contare sul ministro Giorgetti e sull’uomo-macchina della manovra Freni, che nell’intervista a Domani ha detto che non bisogna «fare funerali alla flat tax». Insomma, i leghisti ci contano. E si spiega il nervosismo dentro Forza Italia.

Edilizia in allarme

Ci sono poi i vari fronti aperti anche con organizzazioni non propriamente ostili alla destra al governo. Da Confedilizia è giunto un allarme sui bonus per le ristrutturazioni delle abitazioni. «Sono stati annunciati tagli e complicazioni che renderanno in molti casi inutilizzabile un sistema di incentivi fiscali, che era in essere da più di un quarto di secolo e che rispondeva ad esigenze della collettività», ha sottolineato il presidente della confederazione, Giorgio Spaziani Testa.

Su un altro versante, in un territorio diverso, c’è il Forum del terzo settore: «Il nuovo regime Iva per il terzo settore che, in assenza di interventi normativi entrerà in vigore dal 1° gennaio 2025, rischia di causare la riduzione, se non addirittura la cancellazione, di numerose attività e servizi alla cittadinanza, senza peraltro apportare nuove entrate per le casse dello stato».

Le associazioni di volontariato e no-profit saranno costrette a dotarsi di una partita Iva e assolvere agli adempimenti burocratici e amministrativi, con un aggravio dei costi. E quindi con la possibilità che molte realtà chiudano i battenti. Altro che depliant autoelogiativi.

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