Il nome di Maria Rosaria Boccia non è sparito dai media, come desiderato da Giorgia Meloni e dal suo inner circle. Anzi, per la comunicazione di palazzo Chigi continua il calvario. E i riflettori si sono accesi, ancora di più, dopo la mancata partecipazione dell’imprenditrice di Pompei, martedì sera, a È sempre Cartabianca, il talk show condotto da Bianca Berlinguer su Rete 4.

Il motivo ufficiale è la richiesta, respinta, di conoscere in anticipo le domande. Ma ci sarebbe una ragione aggiuntiva. Boccia avrebbe voluto rivelare che lo stop alla consulenza al ministero era dovuto o all’intromissione della moglie di Gennaro Sangiuliano o, addirittura, a un possibile «intervento di Arianna Meloni».

Dopo la richiesta di ulteriori spiegazioni su questo punto, secondo la versione di Berlinguer, Boccia avrebbe dato forfait. Una ricostruzione che la diretta interessata ha smentito, come da tradizione, in una storia Instagram: «Mai detto che Arianna Meloni ha bloccato la mia nomina».

Resta un dato: la sorella della premier viene tirata in ballo in questa vicenda. E questo conferma quanto raccontato da Domani: i vertici di Fratelli d’Italia erano stati informati del caso-Boccia già ad agosto, direttamente dagli uffici del ministero della Cultura.

Dopo il botta e risposta di ieri il giallo dell’assenza di Boccia a È sempre Cartabianca viene letto in due modi distinti. Da un lato c’è chi vede nel comunicato di Berlinguer, e nella solerzia con cui l’ufficio stampa di Mediaset lo ha diffuso e segnalato, un “gesto di pace” nei confronti di Meloni.

La premier non aveva gradito l’invito a Boccia e lo aveva letto come un tentativo di attaccarla da parte degli eredi di Berlusconi (il secondo dopo il “caso Giambruno”). Ma la versione della giornalista, e la spiegazione del perché Boccia non è andata in onda, dimostrerebbero che da parte del programma e dell’azienda non c’era alcun intento di danneggiare Meloni. Anzi.

Dall’altro lato, però, c’è chi vede nel coinvolgimento di Arianna Meloni, un messaggio allarmante (un pizzino?) per palazzo Chigi che, dal primo momento, è sempre stato molto in ansia per le possibili rivelazioni di Boccia.

Flop continuo

Resta il fatto che gli errori sull’affaire-Sangiuliano hanno messo a nudo i limiti del gigantesco apparato di comunicazione della premier e del ministero della Cultura, dietro la regia del consigliere di Meloni, il sottosegretario factotum Giovanbattista Fazzolari.

I problemi non sono iniziati ad agosto. «Il meccanismo si è inceppato già con la vicenda europea, quando Fratelli d’Italia ha scelto la linea né con von der Leyen né con l’opposizione.

Questo ha esposto Meloni a una serie di rischi, perché la crisi di comunicazione è sempre legata a una crisi politica», dice Dino Amenduni, consulente politico dell’agenzia Proforma.

Paolo Natale, docente di Sociologia politica, osserva a tal proposito: «Dopo il voto non si capiva bene cosa volesse Meloni, è diventata più tentennante». Il deterioramento è stato palese al rientro dalle vacanze in Puglia. «

È tornata e si è messa a battibeccare con la stampa, facendo un video sui social. Non è stato il modo ideale per fare ripartire l’anno politico», continua il docente. Il tutto mentre sullo sfondo c’era il presunto complotto contro la sorella.

Con queste premesse il fortino eretto a palazzo Chigi non ha retto all’assalto a colpi di storie e post su Instagram di Boccia. «Si sono fatti trovare impreparati di fronte alla gestione della comunicazione di crisi, hanno seguito la strategia di tempi di pace mentre c’era una fase di guerra, dal punto di vista della comunicazione», dice Antonio Noto, fondatore e direttore di Noto Sondaggi.

«Il governo fa in generale una comunicazione politica ben precisa: parla del lavoro, delle tasse da abbassare, dell’immigrazione e così via. Solo che la comunicazione di crisi è una scienza e prevede modalità di approccio totalmente diversa. Bisogna anticipare le mosse e capire quelle altrui», aggiunge Noto. Insomma, una minaccia inaspettata – manifestatasi con il caso Boccia – ha innescato la débâcle.

La tempistica è stata sbagliata. «Perché aspettare così tanto, lasciando consumare la vicenda per giorni?», si chiede Lorenzo Pregliasco, direttore di YouTrend. «Finché Sangiuliano era ministro la questione toccava inevitabilmente anche il governo. Separare prima Sangiuliano dal governo avrebbe limitato i danni».

Sospiro di sollievo

Il risvolto è politico, la comunicazione non è un universo a sé stante. Amenduni sottolinea un aspetto: «Si è temuto l’effetto domino e il ministro è stato difeso oltre ogni ragionevolezza. Il timore è quello di perdere il controllo e questo favorisce l’arroccamento, con la tendenza a fidarsi solo dei fedelissimi. La linea di non voler parlare di Boccia è un wishful thinking, non possono decidere loro se parlarne o meno».

Svettano gli errori, talvolta marchiani. «La famosa intervista di Sangiuliano al Tg1 è stata un danno enorme per il governo. Non ho capito come abbiano potuto pensato che l’intervista potesse aiutare», ragiona Pregliasco. Intanto lo hanno fatto.

Allora va tutto a rotoli? Non proprio. Meloni può tirare un sospiro di sollievo sulle possibili conseguenze. «Non dobbiamo compiere l’errore di pensare che un elettore voti un partito perché condivide il 100 per cento le cose che fa», afferma Noto. Ma, sottolinea, «se altri ministri fanno pasticci, la reputazione del governo alla lunga potrebbe risentirne».

Federico Benini, direttore dell’istituto di ricerca Winpoll, entra nel dettaglio dei singoli attori politici in scena: «È stata letta come una questione morale. Sotto il profilo del consenso, il caso Sangiuliano ha toccato molto il ministro, come era evidente, ma poco Fratelli d’Italia e Meloni».

Sullo sfondo resta poi lo storytelling complessivo del governo da cui provengono scricchiolii significativi. Per questo è piombata sul tavolo l’opzione di chiamare un superconsulente. «Se ci si affida, laicamente, a una persona esterna alla vita politica di Meloni, la scelta può funzionare», spiega Amenduni, partendo dal presupposto che si tratti di «una figura carismatica».

Solo, che secondo il consulente di Proforma, la decisione può funzionare «in astratto, perché conoscendo l’approccio di Meloni è più probabile che la figura esterna venga isolata e depotenziata. Trattata come un corpo estraneo».

Pericoli simili sono avvistati da Natale: «Un esperto di comunicazione può essere utile. Ma deve essere valorizzato. Altrimenti abbiamo già visto cosa è successo con Mario Sechi».

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