«Non facciamo funerali alla flat tax, aspettiamo il concordato», dice il sottosegretario all’Economia, che chiede equilibrio per la norma sui compensi per i vertici di enti pubblici. E difende il generale eletto nell’Europarlamento
Propone cautela sul tetto agli stipendi dei manager di enti e fondazioni pubbliche. Chiede di non fare il funerale alla flat tax. E, in generale, invita ad avere rispetto per la stampa. Il sottosegretario all’Economia, il leghista Federico Freni, difende la manovra.
Il governo ha deciso di mettere il tetto agli stipendi dei manager di società, enti e agenzie pubbliche?
È il frutto avvelenato di un’epoca connotata da estremismi e poca chiarezza. Detto questo, è abbastanza anomalo che un manager pubblico possa guadagnare più del doppio del presidente del Consiglio, non crede?
Ma così non si rischia la fuga verso le realtà private?
Ho troppo rispetto per la funzione pubblica, così tanto da pensare che il compenso non possa essere il parametro esclusivo su cui poggiare queste valutazioni. Allo stesso tempo occorre agire con prudenza, evitando strumentalizzazioni.
Sarà un intervento meno invasivo rispetto a quanto prospettato in conferenza stampa da Giorgetti?
Il paese ha già conosciuto derive che a nulla sono servite se non a generare astio e polemiche pretestuose. Esistono buoni manager e manager meno adeguati, così come esiste una politica buona e una politica che rincorre soluzioni facili. La differenza è sostanziale. Sarebbe opportuno guardare al merito e alle competenze, senza tralasciare la dimensione dell’etica pubblica che richiede anche retribuzioni adeguate all’impegno richiesto. I due aspetti possono serenamente coabitare. Confido che la norma sia espressione di questa doppia sensibilità.
Ma non eravate un governo che si vantava di avere principi liberali?
Capisco che possa essere affascinante raccontarci come il governo che urla contro le banche e i mercati, ma l’immaginazione, si sa, supera spesso e di gran lunga la realtà. I principi liberali fanno parte della storia del centrodestra: non sono e non saranno mai in discussione.
Esclude che la norma possa riguardare anche società private che hanno semplici finanziamenti pubblici: giornali, case di produzione e altri?
Lo escludo nella maniera più assoluta. Mica siamo in Russia!
Non ritiene una pratica disdicevole quella di approvare una manovra senza una bozza?
Francamente non comprendo tutto questo stupore: che l’articolato non sia stato ancora diffuso non significa che non sia stato dettagliato in Consiglio dei ministri. La legge di Bilancio sarà trasmessa al parlamento al più tardi martedì, rispettando la scadenza fissata. Al più abbiamo peccato di eccessiva trasparenza: è un peccato di cui ci macchiamo volentieri.
Ci ritroveremo di nuovo con un parlamento silenziato anche di fronte alla legge di Bilancio?
Il governo ha sempre garantito una discussione ampia e anche stavolta sarà così. Accoglieremo solo le richieste di buon senso senza aprire la porta a misure che stravolgono l’impostazione seria e responsabile che abbiamo voluto dare alla manovra. Non significa silenziare il parlamento.
Intanto, alla terza manovra del governo Meloni, la flat tax resta una chimera.
Sarei cauto prima di organizzare il funerale della flat tax. Con le precedenti leggi di Bilancio abbiamo esteso la soglia dei ricavi e dei compensi su cui si applica l’aliquota agevolata. Resta confermato l’impegno ad alzare ulteriormente tutte le soglie della flat tax: il Concordato preventivo biennale può essere un bacino da cui attingere le risorse necessarie.
Non sarebbe corretto, come per la flat tax, ammettere che Quota 41 per le pensioni è un traguardo inarrivabile?
Nessuno ha mai detto che avremmo abolito la riforma Fornero in un giorno: il superamento era e resta graduale. Forse qualcuno non si è accorto che con questa manovra rifinanziamo Quota 103, Opzione Donna e l’Ape sociale, tre forme di flessibilità importanti.
Meloni definiva i bonus uno «spreco». Eppure, con i mille euro per ogni neonato, ne avete introdotto un altro. Sono cattivi solo i bonus degli altri?
Esistono bonus utili e bonus tossici. Per distinguerli bisogna guardare a due parametri: i costi per lo Stato e soprattutto l’impatto che queste misure hanno e avranno sull’economia reale e quindi sulla vita di tutti i giorni di cittadini e imprese. La Carta per i nuovi nati è un aiuto concreto alle famiglie e un sostegno alla natalità. Credo che nessuno possa mettere in dubbio questi due obiettivi a meno che non si decida di confinare la famiglia in una dimensione oscurantista.
Andando oltre la manovra. Il governo è sempre più ostile alle critiche. C’è una sindrome del complotto?
I complotti appartengono a chi li crea e a chi trae vantaggio da queste costruzioni fantasiose. Noi siamo impegnati a lavorare per il Paese: tempo per trame o piani oscuri, mi creda, non c’è.
Verso i giornalisti non si fanno più nemmeno le querele e si va avanti a colpi di esposti per scoprire le fonti. Quantomeno c’è un’allergia verso la stampa...
Serve rispetto per la stampa, soprattutto se di idee diverse dalle nostre. Anche perché non esiste domanda cui non si possa rispondere, per quanto scomoda sia. Ma credo di non doverlo spiegare a lei, visto che siamo qui.
Infine sulla Lega. Roberto Vannacci è un problema per Salvini?
Chiariamo: la Lega è un partito, non una caserma. Se Vannacci fosse stato un problema non avremmo di certo puntato sulla sua esperienza e sul suo valore alle ultime elezioni europee. Detto questo, la storia è tale perché sempre in divenire. E poi, mi creda, a casa nostra si può sempre legittimamente dissentire. Ripeto, non siamo in caserma.
Non è a disagio in un partito che oggi è sempre più nero che verde?
L’armocromia la lasciamo volentieri al Pd.
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