La guerra alla cronaca giudiziaria non si ferma. È un processo che va avanti da un po’ e che da dicembre dello scorso anno ha avuto un’accelerazione quando Enrico Costa, deputato eletto con Azione e transitato qualche settimana fa in Forza Italia, ha presentato un emendamento che delegava il governo a vietare la «pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare fino al termine dell’udienza preliminare» o comunque fino alla fine delle indagini. Sarà possibile fare solo una vaga sintesi del provvedimento, ma senza riferimenti puntuali.

Ora il centrodestra alza l’asticella, con l’approvazione – il 15 e il 16 ottobre nelle commissioni Giustizia di Senato e Camera – di un parere che propone all’esecutivo non solo di aumentare le sanzioni («per garantire effettività al divieto»), ma anche di estendere i documenti non pubblicabili e di coinvolgere nelle sanzioni, oltre al giornalista e al direttore responsabile, anche gli editori.

«Una manganellata», denuncia Alessandra Costante, segretaria della Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi).

L’iter della «legge bavaglio»

La norma Costa, ribattezzata da più parti «legge bavaglio», ha avuto un iter lungo quasi un anno. Ed è stata accompagnata da altre proposte (poi ritirate) che sono arrivate anche a ipotizzare il carcere per i giornalisti, come un emendamento al ddl cybersicurezza dello stesso Costa (che mirava a punire chi pubblicava atti ottenuti illecitamente) o quello del forzista Calderone (che voleva estendere le norme in tema di ricettazione e riciclaggio anche alla divulgazione di dati sottratti illecitamente). Sono state chiare reazioni sull’onda del «caso Striano» e dei cosiddetti dossieraggi.

Il carcere per ora è stato escluso, ma la stretta è passata ed entro poco diventerà operativa. Lo scorso 4 settembre il governo ha infatti approvato lo schema di decreto legislativo che ogni anno adegua la normativa italiana a quella comunitaria e che, tra le altre cose, recepiva la norma Costa, in applicazione della direttiva 343 del 2016 sulla presunzione di innocenza.

Il testo in questi giorni è passato alle commissioni Giustizia di Senato e Camera per un parere non vincolante entro il 20 ottobre. Poi tornerà in Consiglio dei ministri per l’approvazione definitiva. Ed è proprio in queste sedi che la maggioranza di governo ha proposto di irrigidire ulteriormente un divieto che già così com’è finirebbe per mettere i bastoni tra le ruote alla libertà d’informazione.

Il parere delle commissioni

Dalle due commissioni, oltre alla prevedibile luce verde al provvedimento, sono arrivate anche altre indicazioni. Già nella sua attuale formulazione la norma Costa modifica l’articolo 114 del codice di procedura penale, cancellando l’esclusione – introdotta da Andrea Orlando nel 2017 – dell’ordinanza di misura cautelare dagli atti che è vietato pubblicare. L’articolo 684 del codice penale prevede multe da 51 a 258 euro.

È proprio per conferire «effettività al divieto» che le due commissioni, nei due pareri pressocché identici approvati il 15 ottobre al Senato e il 16 ottobre alla Camera, chiedono al governo due cose: aumentare i documenti non pubblicabili e aumentare le sanzioni.

Sul primo punto le due commissioni, nei due pareri approvati dal centrodestra e Italia Viva presentati dai meloniani Sergio Rastrelli e Andrea Pellicini, invitano l’esecutivo a estendere il divieto di pubblicazione «a tutte le misure cautelari personali» o ad altri provvedimenti che «possono essere emessi nel procedimento cautelare».

Si parla cioè di tutti gli atti che intervengono nelle fasi che precedono un processo: decreti di sequestro o perquisizione, le ordinanze del Riesame contro la custodia cautelare, ma anche provvedimenti come il divieto di espatrio o l’obbligo di dimora, la sospensione dall’esercizio di un ufficio pubblico, eccetera. Tutti quei provvedimenti, si legge nei pareri, che, se pubblicati, «producono analoghi effetti sovrapponibili a quelli della sola ordinanza di custodia cautelare».

Ma il versante più problematico è il secondo. «Ferma restando l’esclusione di sanzioni detentive», l’obiettivo – si legge nelle osservazioni delle commissioni – deve essere quello di «conferire effettività al divieto e costituire un ragionevole argine alla sistematica violazione del medesimo, (…) alla luce della sperimentata ineffettività dell’attuale sanzione».

In che modo? Aumentando le multe, ma non solo. Perché – ed è questa la vera novità – le commissioni di Camera e Senato chiedono al governo di estendere l’elenco delle persone sanzionabili anche ad «altri profili» oltre ai giornalisti e ai direttori. Facendo ricorso, per esempio, al decreto legislativo 231 del 2001 sulla responsabilità amministrative delle persone giuridiche e delle società.

In pratica si finirebbe per applicare la norma anche agli editori secondo un complicato sistema di «quote» determinate in base al peso economico delle aziende. Multe che, in questo modo, potrebbero schizzare in su, da un minimo di 25mila a un massimo di mezzo milione di euro (ma in alcune circostanze la cifra può salire ancora). Con il rischio indiretto ma concreto che gli editori possano fare pressioni sui giornalisti che, ogni giorno, si trovano a maneggiare carte e interrogarsi – questo il loro mestiere – sul potenziale interesse pubblico di un fatto.

Fnsi: «Un manganello sanzionatorio»

Se il padrino di questa stretta, Enrico Costa, continua a ripetere che non c’è nessun bavaglio e che le sue proposte mirano solamente a «correggere un’anomalia», le voci critiche si sono alzate anche in occasione di questo possibile ulteriore irrigidimento. 

«Dietro la presunzione di non colpevolezza il governo si appresta a peggiorare ulteriormente la norma Costa, estendendo il divieto a tutti gli atti cautelari, compresi i sequestri disposti dal Gip – denuncia Alessandra Costante dell’Fnsi –. Ai giornalisti, come ormai ci ha abituato il governo, la manganellata di sanzioni economiche. E questa volta il manganello sanzionatorio dovrebbe toccare anche gli editori perché per una certa politica le notizie non rientrano nel diritto all’informazione stabilito dall’articolo 21 della Costituzione, ma sono solo un modo per vendere i giornali».

Anche le opposizioni, al netto di Azione e Italia Viva, contestano il provvedimento e le nuove previsioni. Ilaria Cucchi, senatrice di Avs e componente della commissione Giustizia del Senato, ha presentato un parere alternativo a quello della maggioranza.

Nelle sue osservazioni Cucchi mette in risalto alcune contraddizioni (la richiesta di custodia cautelare avanzata dal pm, che contiene elementi che confluiscono nell’ordinanza del gip, continuerà a essere pubblicabile) e un rischio di «eterogenesi dei fini» nella misura in cui la sintesi giornalistica può finire per «essere maggiormente pregiudizievole per l’immagine dell’indagato» rispetto alla «motivazione del giudice».

Il parere (poi bocciato) è lapidario: il divieto di pubblicazione «non ha nulla a che vedere con il rafforzamento del principio di presunzione di non colpevolezza, ma è fortemente limitativo del diritto di informare e di essere informati».

Ma la maggioranza di centrodestra, con l’aiuto dei partitini centristi, tira dritto nella sua guerra contro la cronaca giudiziaria (e non solo). 

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