Se il governo italiano saprà essere inflessibile davanti ai fatti libanesi, coinvolgendo in tale sua critica anche gli americani, non solo difenderà la nostra dignità nazionale ma porrà un limite allo stato ebraico, aiutandolo a non impazzire del tutto
Dopo gli attacchi israeliani contro le basi Unifil e i nostri soldati, sarà interessante verificare se e come il governo riuscirà a tenere le posizioni critiche alla distanza. Bombardare le basi dell’Onu nel Libano sud è una doppia colpa: contro l’Onu e contro l’Italia la quale, fino a prova contraria, ha sostenuto Israele anche a dispetto dell’opinione – traversale tra destra e sinistra – di una parte consistente dei nostri concittadini.
Israele non ha scusanti e le proteste, per quanto legittime, non bastano. Ci vogliono le scuse che ancora non arrivano e soprattutto la fine delle aggressioni. Attaccare i nostri soldati non è ammissibile in nessuno modo e per nessuna ragione. Su tale questione occorre essere molto decisi – e financo duri – con il governo israeliano: l’Italia non prende certo ordini da Israele, tra l’altro per ciò che riguarda le proprie forze armate il cui onore e la cui incolumità vanno difesi fino all’ultimo.
Non sia mai che i nostri militari sentano debole o incerta la protezione e la copertura della politica nei loro confronti, sia da parte della maggioranza sia dell’opposizione: un atteggiamento molle potrebbe avere conseguenze catastrofiche alla lunga.
Una questione di dignità
Si tratta di un tema davvero bipartisan, non una questione ideologica ma di dignità nazionale. Che a nessuno venga in mente di dire che le nostre truppe fanno da scudo a Hezbollah: inammissibile sostenerlo dopo tutto il lavoro fatto in questi anni per contenere la milizia sciita e le violenze in quella regione del Libano sud.
È falso affermare che Unifil non sia servita a nulla: la sua azione è stata peraltro lodata e voluta dagli stessi governi israeliani dal 2006 a oggi, salvo forse dal governo di Benjamin Netanyahu che non ha certo dato buona prova di sé nel rispetto del diritto e delle regole internazionali.
Se Tel Aviv vuole aggredire italiani o altri contingenti nazionali dell’Unifil, per avere mani libere in un paese straniero, non cerchi altre scuse e lo dica chiaramente. Viene facile pensare che si stiano attaccando italiani, indonesiani o militari del Bangladesh (e non francesi ad esempio) perché considerati obiettivi “morbidi”, da costringere a sloggiare più facilmente.
Com’è noto le regole d’ingaggio dell’Unifil permettono a quest’ultima soltanto di fischiare i falli a ognuna delle parti: i caschi blu sono degli osservatori di peacekeeping, cioè non sono autorizzati (dalle regole decise anche da Israele) a disarmare chicchessia: per farlo devono affidarsi all’esercito libanese. Quindi criticare ora è una finta.
Si sono peraltro visti militari israeliani piantare la bandiera con la stella di David in terra libanese: gesto scorretto frutto di una logica di occupazione della terra altrui ispirata dalle estreme suprematiste dei ministri Smotrich e Ben Gvir.
Perdere l’anima
Netanyahu sta portando il suo paese a essere totalmente preda di una fazione ultrà che distrugge il sionismo deturpandolo e rendendolo un’ideologia di cieca aggressione xenofoba. Come scrive Anna Foa: Israele, pur vittorioso sul terreno, si sta suicidando e perdendo la propria anima.
Non è un caso unico nella storia: le guerre coprono un gran numero di orrori e la fine della democrazia. Ancor più grave l’oltraggio alla convivenza internazionale mediante l’attacco di Israele all’Onu. Abbiamo sentito le parole assurde del premier israeliano a New York contro il Palazzo di Vetro, e ci chiediamo: com’è possibile tagliare il ramo su cui si è seduti?
Israele è nata da una votazione e decisione dell’Onu: attaccarla è stupido prima ancora che un errore politico dovuto alla foga guerriera. Le Nazioni unite sono il vero dante causa dell’esistenza di Israele: delegittimarle significa paradossalmente favorire la contro-narrazione “colonialista” dell’origine del paese, portata avanti da Hamas, Hezbollah e Iran.
Israele dovrebbe invece restare attaccato al diritto internazionale, la cui massima istituzione l’ha fatto nascere. Difendersi è possibile e legittimo se si seguono le regole comuni ma l’autodifesa non può divenire una scusante al non uniformarvisi solo perché il nemico non le segue: in tal modo ci si mette al suo livello per finire ad essere trattati allo stesso modo, come si vede dalle inchieste in corso della corte penale internazionale e della corte di giustizia.
La vittoria dei terroristi è trascinare Israele sul proprio terreno, quello della lotta sanguinaria con tutti i mezzi, che si fa scudo dei civili o non è interessata alla loro protezione (danni collaterali). Israele potrà certamente emergere vittorioso da questa serie di guerre ma pagherà un fortissimo prezzo: quello di avere perduto legittimità e anima e di essersi alienato molti amici se non quasi tutti.
Ne vale davvero la pena? Non c’è altro modo? Il super-vittimismo israeliano – imposto dai suprematisti al governo – è divenuto talmente aggressivo da sfigurare le ragioni stesse della sua difesa. L’Israele democratico è ostaggio di chi non crede nella democrazia ma solo nel suprematismo razzista. Se il governo italiano saprà essere inflessibile davanti ai fatti libanesi, coinvolgendo in tale sua critica anche gli americani, non solo difenderà la nostra dignità nazionale ma porrà un limite alla deriva di Israele, aiutandolo a non impazzire del tutto.
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