Dopo la morte dell’ex premier gli eredi Berlusconi vogliono riaccreditarsi in Italia e Ue, come imprenditori autorevoli e moderati. Per rilanciare Forza Italia e Mediaset
Il berlusconismo 2.0 riparte da Marina, la primogenita che non pensa a «scendere in campo», ma vuole ridefinire i connotati della famiglia con lo sguardo agli affari.
Il no alla tassa sugli extraprofitti delle banche per difendere Banca Mediolanum, il sì allo Ius scholae e più in generale l’apertura sui diritti civili fino a flirtare con la sinistra «di buonsenso» non sono solo i segnali di un cambiamento dei rapporti di forza all’interno della maggioranza.
Vero che da un lato Forza Italia si sta collocando nell’area del centro, liberale, come nemmeno negli anni di Silvio Berlusconi è davvero accaduto. A oggi è l’effettiva emanazione del Partito popolare europeo, considerato affidabile a Bruxelles. Con un obiettivo: marcare la distanza da Giorgia Meloni, legata alla rivendicazione del passato missino e connotata dalla mancata volontà di fare professione di antifascismo.
Ma il principale obiettivo di Marina e Pier Silvio Berlusconi è quello di imprimere una nuova direzione al partito che finanziano e a quello delle loro tv per instaurare un dialogo proficuo con i poteri e i salotti buoni nazionali e soprattutto internazionali, che per decenni hanno visto il padre come ricco parvenu con cui dover fare i conti ma mai sdoganato davvero. E che oggi vedono ancora in Meloni un’estremista schiacciata da paure e psicosi da complotto che non riesce a trasformarsi in vera leader.
Distanza di sicurezza
«Siamo un’altra cosa rispetto alla destra sovranista», è la sintesi della strategia scelta dalla presidente di Fininvest.
All’ordine del giorno non c’è e non ci sarà mai alcuna abiura dell’alleanza con Meloni e la Lega di Salvini, né un’abiura «dell’amato padre» che ha fondato il centrodestra. Ma è un fatto che la morte del capostipite abbia cancellato gli elementi divisivi e ingombranti legati alla storia personale dell’ex presidente del Consiglio. Il conflitto di interessi, core business per decenni dell’antiberlusconismo, non è più centrale: i Berlusconi hanno un partito di riferimento, Forza Italia appunto, ma nessuno degli eredi ha ruoli esecutivi e ufficiali. Sono imprenditori con un interesse in politica e non leader politici con interessi imprenditoriali come veniva rinfacciato a Berlusconi.
Marina e Piersilvio non hanno sentenze definitive a carico, nessun rapporto con stallieri mafiosi, né patti con dirigenti (come Marcello Dell’Utri) condannati per concorso esterno. Si punta ancora il dito, come ha fatto a sorpresa il presidente del Senato Ignazio La Russa («Tajani difende qualche banca?», ha detto) su possibili conflitti di interessi su Medionanum, ma agli eredi del Cavaliere interessa - più che la benevolenza degli alleati - essere considerati affidabili dall’establishment imprenditoriale europeo.
L’acquisizione delle quote di maggioranza del canale tedesco ProsiebenSat, attraverso la società Media for Europe, è infatti indicatore di una strategia di respiro europeo. Pier Silvio è stato chiaro: «Il progetto a cui lavoriamo è quello di creare il primo vero broadcaster continentale che abbia un’impronta tale sul pubblico da poter competere con i giganti, con le multinazionali del web e di Internet».
L’obiettivo è ambizioso, perciò complicato, e richiede una capacità di mostrarsi solidi economicamente e sobri nell’approccio culturale. Si torna al punto di partenza: i toni furiosi meloniani e il vittimismo della destra ai fratelli Berlusconi può solo creare problemi.
Sigillo Draghi
In questo contesto l’incontro tra Marina e Mario Draghi è il sigillo alla metamorfosi. La presidente di Fininvest si è accreditata ulteriormente in ambienti europei, mostrandosi un’interlocutrice dell’ex numero uno della Bce, riconosciuto come l’italiano più autorevole del mondo. Al petto può appuntarsi la stelletta di averlo ricevuto nella sua abitazione.
Del resto il rapporto tra la famiglia di Arcore e il banchiere è di vecchia data: Silvio Berlusconi ha sempre rivendicato la battaglia per portarlo (era già governatore della Banca d’Italia) alla guida della Bce, nel lontano 2011, litigando con l’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, in pessimi rapporti (per usare un eufemismo) con il banchiere. Una stima che ha superato addirittura le accuse di complotto europeo per far cadere l’ultimo governo Berlusconi.
Il canale di comunicazione è stato facile da individuare, grazie all’ambasciatore Gianni Letta. Draghi si è prestato per plurimi motivi. In primis perché tiene a mantenere un ruolo super partes, senza casacche specifiche.
Meloni ha cercato di tirarlo per la giacchetta con la telefonata e l’invito a palazzo Chigi subito dopo la presentazione del rapporto a Bruxelles (l’incontro è in programma domani). Per evitare di apparire “schierato” con una parte, Draghi ha “annacquato” il faccia a faccia decidendo di vedere prima Marina.
In secondo luogo secondo qualche osservatore attento per Draghi potrebbe esserci un ragionamento di prospettiva, che guarda a un orizzonte lunghissimo: il Quirinale. Certo il mandato di Sergio Mattarella scade nel 2029.
Ma la sponsorizzazione dei Berlusconi può essere un valore aggiunto, sebbene sia difficile conoscere la composizione del quadro politico tra qualche anno. Insomma, una mossa all’insegna del “non si sa mai”.
Le cronache raccontano del segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, a capo della svolta politica degli azzurri. E in effetti sarà lui, sulla manovra economica, a ripetere lo slogan prescelto. «Sostegno alle imprese», facendo barricate sulla tassazione degli extraprofitti. Senza arrivare alla crisi di governo, che è un desiderio inconfessabile delle opposizioni. Ad oggi non è una prospettiva realistica.
La regia operativa ha invece la sede negli uffici della Fininvest, dove la presidente Marina Berlusconi muove le leve, seguendo le orme del padre. Ma senza i suoi fardelli.
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