«Cordiale e collaborativo». Così è stato descritto dal Quirinale l’incontro di circa un’ora, avvenuto mercoledì, tra Sergio Mattarella e la premier Giorgia Meloni. Lo stesso giorno, in parlamento, Lega e Forza Italia si erano scontrati su canone Rai e sanità.

Ufficialmente Meloni e Mattarella hanno parlato di manovra (tema su cui gli alleati di FdI stanno litigando da giorni), politica estera e Unione europea. E anche dell’imminente addio di Raffaele Fitto al governo, con conseguente necessità di riassegnare le sue delicate deleghe, in particolare quella del Pnrr. Un incontro – pur programmato da giorni e che va inserito nel normale rapporto tra premier e presidente – che comunque racconta dell’attenzione con cui il Colle sta seguendo l’attuale fase politica.

Del resto i due aggettivi, «cordiale e collaborativo», non possono certo essere usati per il clima dentro la compagine di governo. Anche una voce normalmente pacata come quella del portavoce nazionale azzurro, Raffaele Nevi, si è alzata. «Non serve una verifica di governo» ma la Lega «si dia una calmata, abbassi i toni e torniamo a parlarci di più», ha detto ad Affaritaliani, e si è spinto fino a dire che «Salvini fa un po’ il paraculetto», smentendo alcune ricostruzioni di quanto avvenuto in parlamento.

Poi sono arrivate le scuse «se le parole sono suonate offensive», ma a poco sono servite. Al netto delle espressioni forti, il portavoce ha rappresentato in modo chiaro a che punto di tensione siano i rapporti interni.

La mediazione di FdI

Ora, dunque, l’imperativo è quello di riportare la calma. A doversene fare carico è Fratelli d’Italia, partito leader della coalizione di centrodestra: il mantra è che la tenuta della maggioranza non è in discussione e questo va ribadito in tutte le sedi e con forza. Dopo il duro faccia a faccia dei giorni scorsi tra Meloni e Antonio Tajani, il vicepremier ha confermato che «abbiamo bocciato un emendamento» ma «non c’è nessun problema dentro la maggioranza, lavoreremo insieme fino a fine legislatura».

Lo stesso ha detto anche il ministro meloniano, Francesco Lollobrigida: «Non credo che un voto su un emendamento metta in discussione invece i risultati positivi di questo governo». La Lega, dal canto suo, ha scelto il silenzio e soprattutto non ha risposto a muso duro alle affermazioni di FI, come l’indole di Salvini avrebbe probabilmente suggerito. Un ordine di scuderia chiaro che è stato rispettato, almeno a caldo, dopo le dichiarazioni di Nevi, con il segretario che si è limitato a replicare con un «peace and love» dallo studio di Porta a porta.

Far decantare la situazione, tuttavia, non è semplice: nessuno dei nodi politici del contendere è stato veramente sciolto e soprattutto a FI non sono arrivate rassicurazioni rispetto alle aspettative. «Siamo il secondo partito della coalizione», ripetono in ogni sede gli azzurri, che considerano più che legittima la richiesta di andare all’incasso. Come farlo, però, è ancora tutto da decidere in concerto con Meloni.

Per ora, necessario è ristabilire il giusto passo per far procedere l’attività parlamentare e arrivare quanto prima all’approvazione della manovra di Bilancio, considerata ormai blindata dal duo Giancarlo Giorgetti-Meloni. Il decreto legge Fiscale su cui si è battagliato nei giorni scorsi ha incassato il sì del Senato – visti i tempi, è stata posta la questione di fiducia per evitare qualsiasi intoppo – e ora il provvedimento passerà alla Camera per il via libera finale.

Nulla da fare, invece, per le nomine dei giudici costituzionali. La nona votazione per il sostituto di Silvana Sciarra e la prima votazione per eleggere anticipatamente chi prenderà il posto degli altri tre togati a termine mandato, sono andate a vuoto. Nessun accordo con le opposizioni è stato raggiunto e, anche dentro la maggioranza, non si è andati oltre una condivisone del metodo. I nomi in lizza sono ancora troppi e, soprattutto, manca quello femminile. Tutto rimandato a tempi meno complicati, con buona pace dei moniti del capo dello stato e del presidente in carica, Augusto Barbera.

In questo quadro, la preoccupazione principale è una: l’equilibrio di governo è fragile, per quanto ancora palazzo Chigi potrà accentrare tutto? È la domanda che circola tra gli alleati. Lo ha fatto con le deleghe di Fitto e ha bloccato qualsiasi tentativo di interlocuzione anche sulla Finanziaria. L’ossessione è il patto di Stabilità in proiezione europea, dopo che Bruxelles ha promosso il percorso fiscale prospettato dal governo.

Questa, che Meloni considera una strada obbligata – a fronte della delusione trapelata rispetto alle intemperanze di Lega e FI – non può però essere la strategia di medio-lungo periodo per un esecutivo che dovrà necessariamente ristabilire il suo elenco di priorità, riallineandosi poi intorno a quelle.

Un nuovo equilibrio interno andrà trovato, altrimenti le crepe si allargheranno. Con un risultato che si è incaricato di ricordare il moderato Maurizio Lupi a Repubblica: «I governi non cadono mai per una spallata dell’opposizione, ma per le divisioni della maggioranza». Certo non basta un emendamento non votato per provocare una crisi di governo, ma il rischio è che un’avvisaglia ignorata si trasformi in una valanga.

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