La gup di Milano ha disposto il processo anche per altri 16 imputati, tra cui il suo compagno Dimitri Kunz e la sorella Fiorella Garnero. Prima udienza il 20 marzo. La difesa: «Amaro in bocca». Meloni aveva fatto intendere che in caso di rinvio a giudizio avrebbe chiesto un suo passo indietro dal dicastero del Turismo
Giorgia Meloni all’inizio la considerava la linea rossa prima di chiedere un passo indietro alla ministra, ma negli ultimi mesi Daniela Santanchè ha lasciato intendere di voler rimanere comunque in sella. Cosa farà ora che quella linea rossa è arrivata? La sua storia giudiziaria è giunta a un primo giro di boa dopo che venerdì 17 gennaio la gup di Milano ha disposto il rinvio a giudizio per la titolare del Turismo e altri 16 imputati, tra cui il suo compagno Dimitri Kunz e la sorella Fiorella Garnero. Per i legali della difesa «è una decisione che lascia l’amaro in bocca».
Quindi ci sarà un processo, e la prima udienza sarà il 20 marzo. Con Santanchè che dovrà difendersi dall’accusa di «falso in bilancio» per i conti del gruppo Visibilia e contemporaneamente dalle richieste di dimissioni delle opposizioni. Un caso giudiziario, ma anche inevitabilmente politico.
Anche perché la ministra è coinvolta in altri due procedimenti penali: quello sulla «truffa» ai danni dell’Inps e quello per «bancarotta» dopo il fallimento di Ki Group Srl (a cui si potrebbe aggiungere un filone analogo per un’altra sua società, Bioera, finita a dicembre in amministrazione giudiziale).
I bilanci «inquinati»
Tutto ruota intorno alla galassia Visibilia, ceduta solo lo scorso dicembre agli svizzeri di Wip Finance. Con i conti delle tre società che fanno parte del gruppo editoriale finiti sotto la lente dei pm milanesi perché – questa la tesi degli inquirenti – durante gli anni della gestione Santanchè i bilanci sarebbero stati «inquinati» per permettere alle aziende di rimanere in piedi.
Secondo l’ultima memoria della procura, depositata a qualche ora dall’udienza ma ritenuta inammissibile perché tardiva, già dal 31 dicembre del 2016 era «evidente la profonda crisi reddituale» di Visibilia Editore, l’unica delle tre società a essere quotata in borsa (anche se il suo titolo, ormai da mesi, è stato sospeso e di fatto azzerato).
Nell’atto di chiusura delle indagini i pm scrivono che le false comunicazioni sociali sarebbero servire a «conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto», cioè la «prosecuzione dell'attività di impresa nascondendo al pubblico le perdite, evitando sia la necessaria costosa ricapitalizzazione, sia la gestione meramente conservativa». Così, secondo la procura, avrebbero ottenuto «liquidità mediante l'emissione di prestiti obbligazionari convertibili», il «mantenimento dei rapporti contrattuali, bancari e finanziari» e il «mantenimento della quotazione». Tutte cose difficili da ottenere se i veri numeri dei bilanci fossero stati resi pubblici.
Intanto si attende che si completi il passaggio alla società elvetica di wealth management, che dovrebbe essere finalizzato entro il 31 marzo, e che le società tornino a navigare, dopo Wip ha acquisito il 75 per cento di Athena Pubblicità – l’ex Visibilia Concessionaria – che controllava la galassia Visibilia e che Santanchè controllava a sua volta tramite Immobiliare Dani. Ma un conto è l’aspetto economico delle ormai ex aziende della ministra, altra è la sua posizione giudiziaria. Perché i reati che i pm contestano sarebbero stati compiuti quando Santanchè era alla guida del gruppo.
La titolare del Turismo ha dismesso cariche e quote di Visibilia Editore a fine 2022, solo dopo che Meloni le ha assegnato una poltrona nel governo, anche se tramite una società formalmente esterna (Visibilia Concessionaria e poi Athena Pubblicità) – scrivono i pm – Santanchè, come socia di maggioranza, continuava «a gestire l'amministrazione e la tesoreria», compiendo «scelte anche in ordine ai pagamenti» dei creditori.
«Tutti sapevano e hanno taciuto»
«Tutti sapevano e tutti hanno taciuto», continuano i pm. I bilanci del gruppo sarebbero stati truccati per sette anni, tra il 2016 e il 2022 (Visibilia editore Spa dal 2016 al 2022, Visibilia Srl dal 2016 al 2020 e Visibilia editrice Srl dal 2021 al 2022), per nascondere «perdite» milionarie e per «trarre profitto con dati falsi», permettendo così al gruppo di rimanere a galla.
Anni in cui i bilanci hanno accumulato perdite e debiti, fino a quando, a crisi ormai conclamata, la quota di maggioranza di Visibilia è passata di mano, ceduta all’imprenditore milanese Luca Ruffino, suicida nell’agosto del 2023.
In particolare, una delle contestazioni «chiave» riguarda l’iscrizione «nell’attivo dello stato patrimoniale» dell’avviamento per valori tra i 3,2 e i 3,8 milioni di euro «senza procedere» alla «integrale svalutazione» chiesta dai revisori già nel dicembre del 2016.
Che l’avviamento fosse il problema principale lo sapevano da tempo anche gli stessi indagati, come spiegava uno di loro intercettato al telefono con il Kunz: «Ci hanno contestato il debito (di quasi un milione nei confronti del fisco, ndr)» e quello lo paghi, no… invece questa roba qui, che è l’avviamento (…) non lo so se riusciamo a chiuderla con … in fase istruttoria o se finiremo a processo (…) perché l’hanno costruita come l’han voluta costruire, male, ma là è il rischio… là il rischio di andare a procedimento ce l’abbiamo, purtroppo». L’avviamento, cioè il valore intrinseco della società, che per le fiamme gialle sarebbe dovuto essere svalutato a zero già dal 2016, fu invece mantenuto nell’attivo per un valore intorno ai tre milioni di euro.
Oltre a Santanchè, che di Visibilia Editore è stata consigliera, amministratrice delegata e presidente, nonché «soggetto economico di riferimento» del gruppo, anche il collegio sindacale avrebbe «ignorato i macroscopici segnali di allarme» che arrivavano dai conti della galassia della ministra.
Oltre ai 16 rinviati a giudizio c’è anche l’ex consigliere Federico Celoria che ha patteggiato a due anni, mentre due delle tre società coinvolte – Visibilia Editore Spa e Visibilia Editrice Srl – hanno patteggiato rispettivamente 63.600 e 30mila euro di sanzione, oltre che 15 e 10mila di confisca come risarcimento. Andrà a processo invece la società in liquidazione giudiaria, Visibilia Srl. Per i fatti contestati tra il 2016 e il 2017 per Santanché è scattata la prescrizione.
Com’è nata l’inchiesta
Tutto è partito da un esposto di un gruppo di piccoli soci guidati dall’imprenditore Giuseppe Zeno che in una delle scorse udienze, insieme ad altri due azionisti, è stato ammesso parte civile perché ritenuto danneggiato dalle false comunicazioni sociali di Santanchè e degli altri imputati: «Quella di oggi non è una vittoria, lo sarà quando riavremo i nostri: circa 400mila», ha commentato al termine dell’udienza.
Dopo quell’esposto la procura di Milano e la guardia di finanza hanno messo sotto le proprie lenti i conti delle società della ministra. Ne è nata una causa civile che per Visibilia Editore e Visibilia Editrice che si è risolta a marzo del 2024 in un procedimento di amministrazione giudiziaria, il vecchio fallimento.
Parallelamente, da un punto di vista penale veniva imputata a Santanchè, oltre all’accusa di «falso in bilancio» per cui è stata rinviata a giudizio, anche quella di «bancarotta»; ipotesi di reato poi stralciata dai pm «perché per nessuna delle società è nel frattempo intervenuta dichiarazione di insolvenza». Cioè non è fallita.
Perché nel frattempo Athena Pubblicità, controllata dalla ministra e al 25 per cento dalla Alevi Srl di Paola Ferrari, giornalista Rai e amica della titolare del Turismo, si è impegnata a versare 4,5 milioni di euro per evitare il crack del gruppo (e riuscire così a venderlo).
La difesa della ministra, con i legali Nicolò Pelanda e Salvatore Sanzo, ha sempre sostenuto che non ci sarebbe mai stata «alcuna operazione di maquillage sui bilanci» e che non si sarebbe «nascosto alcunché», perché i soci erano sempre «informati delle perdite». La procura di Milano è sempre stata di un altro parere.
Ora, dopo la decisione del gup, gli avvocati si dicono «convinti di dimostrare l’estranietà della dottoressa Santanché».
Le altre accuse
Ma le grane giudiziarie non finiscono qui. Per l’ipotesi di «truffa» ai danni dell’Inps, il prossimo 29 gennaio la Cassazione dovrà esprimersi sulla competenza territoriale tra Milano e Roma. In questo filone d’indagine Santanchè è accusata di presunte irregolarità nella gestione della cassa integrazione durante il Covid, tra il 2020 e il 2022.
Secondo le tesi dei pm, la società della ministra avrebbe incassato circa 126mila euro dall’Inps per la cassa integrazione di 13 dipendenti, mentre invece lavoravano in smart working. Il fascicolo è stato aperto dopo la denuncia di un’ex dipendente dell’azienda, Federica Bottiglione, che negli scorsi mesi ha raccontato il caso a Domani.
E poi c’è l’accusa di «bancarotta», esclusa per Visibilia ma ipotizzata dopo il crack di Ki Group Srl, società della galassia del bio food guidata dal 2019 al 2021 dalla senatrice di Fratelli d'Italia e che il 9 gennaio del 2024 è stata messa in amministrazione giudiziaria con conti in rosso di 8,6 milioni di euro.
Situazione che potrebbe replicarsi anche per un’altra società, Bioera Spa, fallita lo scorso 4 dicembre. E per un debito di oltre 400mila euro nei confronti del fisco rischia anche Ki Group holding, su cui pende una richiesta di fallimento della procura di Milano e dell’Agenzia delle entrate.
Capitolo dimissioni
Ora che è arrivato il primo rinvio a giudizio, cosa farà la ministra? A chi durante la conferenza stampa di inizio anno le chiedeva del futuro di Santanchè, Meloni ha risposto «vediamo», senza però negare l’ipotesi di dimissioni. «Non sono la persona che giudica queste cose prima che accadono – ha aggiunto la premier – vediamo cosa deciderà la magistratura e poi ne parlerò ovviamente con il ministro».
Una formale richiesta di un passo indietro le opposizioni l’avevano presentata già lo scorso aprile, ma in quell’occasione la mozione di sfiducia era stata respinta dalla Camera dei deputati. E se la titolare del Turismo in un primo momento aveva manifestato la sua disponibilità nel rimettere il suo mandato in caso di processo, negli ultimi mesi la sua posizione è cambiata, sottolineando la sua intenzione di rimanere attaccata alla poltrona anche in caso di rinvio a giudizio.
Per la presidente del Consiglio sarebbe una nuova grana interna perché, dopo l’avvicendamento di Tommaso Foti con Raffaele Fitto e la sostituzione di Sangiuliano con Giuli, Santanchè potrebbe essere il terzo ministro a lasciare in anticipo il suo posto. E sullo sfondo ci sono sempre le ambizioni, neanche troppo velate, di Matteo Salvini e di un suo ritorno al Viminale, dopo la sentenza di assoluzione sul caso Open Arms.
E se Meloni ha più volte ribadito che non vuole sentir parlare di «rimpasto», ora con il rinvio a giudizio di Santanchè la questione potrebbe riaprirsi e creare più di un problema al governo.
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