Mentre la conversazione che segue si svolge, arriva una comunicazione dal Tribunale di Roma. Isabella Rauti, senatrice di Fratelli d’Italia, figlia di Pino, aveva querelato lo storico Davide Conti per aver sostenuto che Ordine nuovo era un gruppo stragista e che Pino Rauti ne era stato il fondatore, pur essendo rientrato nel Msi nel novembre 1969. La querela è stata archiviata. Conti è autore del saggio Fascisti contro la democrazia. Almirante e Rauti alle radici della destra italiana 1946-1976 (Einaudi).

Il 2 agosto, su Domani, ha definito «filologiche» le accuse di Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari della strage di Bologna. Bolognesi ha detto che nella destra di governo «figurano a pieno titolo» le radici di quelle «organizzazioni nate dal Msi negli anni 50: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale». La risposta di Giorgia Meloni è stata un attacco violento.

Quali sono i legami fra il Msi di Giorgio Almirante e quella che Mattarella ha definito una «spietata strategia eversiva neofascista»?

Ne cito alcuni. Carlo Cicuttini è il telefonista della strage di Peteano, del 1972. All’epoca è il segretario della sezione Msi di Manzano. Fugge in Spagna e i vertici Msi raccolgono 32mila dollari per farlo operare alle corde vocali, perché non fosse identificato dalla perizia fonetica. Per questo Almirante viene rinviato a giudizio per favoreggiamento, ma si avvale di un’amnistia. Eno Pascoli, segretario provinciale Msi di Gorizia, per la stessa incriminazione verrà condannato. Altra vicenda nota è legata alla strage dell’Italicus, del 1974. Almirante, giorni prima, segnala la preparazione di un attentato su un treno in partenza da Roma. Scrive un biglietto all’allora capo dell’ispettorato dell’antiterrorismo Emilio Santillo, gli telefona. Rivela la notizia ma lo fa attribuendo la responsabilità a un gruppo di estrema sinistra. Offre un’informazione vera, ma l’accompagna con un depistaggio. Questa vicenda esplode perché lo stesso Almirante il giorno dopo la strage, in Parlamento, rivendica l’informazione fornita ribadendo la matrice di sinistra. Voleva dimostrare la sua estraneità all’eversione nera, finì per associarsi ancora di più a quegli ambienti.

Ci sono altri legami accertati fra Msi e la strategia eversiva?
Alcuni sono scritti nelle sentenze. Nell’ultima della Corte d’Appello per la strage di Bologna è sancita la responsabilità di Mario Tedeschi, senatore Msi, come uno dei depistatori-mandanti. Percepì soldi, tramite Licio Gelli, per impedire la ricerca della verità. Carlo Maria Maggi è di Ordine nuovo, che si scinde dal Msi nel ‘56, salvo poi rientrare nel novembre 1969 quando alla guida del partito torna Almirante. Manca meno di un mese alla strage di piazza Fontana. I collaboratori di giustizia in aula hanno spiegato la formula della “politica dell’ombrello” con cui Rauti argomentò ai suoi che era necessario rientrare nel Msi perché di lì a poco avrebbe grandinato sulla destra extraparlamentare. Era indispensabile avere una copertura istituzionale. Grandinò: lo stesso Rauti fu arrestato nell’ambito dell’inchiesta per piazza Fontana. Liberato nel 1972 ed eletto nel Msi, sarà poi assolto. Maggi è membro del comitato centrale del Msi e vi milita per tutti gli anni 70, a metà dei quali viene compiuta la strage di Brescia. Dai processi degli anni 2000, con sentenza definitiva, Maggi è uno dei responsabili della strage, che compie dunque da dirigente Msi. Paolo Signorelli fa lo stesso percorso di Rauti e resta nel Msi fino al 1976. Verrà processato e assolto per Bologna e per gli omicidi dei giudici Amato e Occorsio, ma condannato per banda armata. Conosciamo le vicende dell’omonimo nipote, sino a poche settimane fa capoufficio stampa del ministro Lollobrigida, cognato di Meloni.

Federico Mollicone, di Fdi, parla di «teorema contro le destre».
Un’espressione complottista, non vuol dire niente. Un processo può essere discusso, perché è un atto pubblico. Ma se vengono portati elementi nuovi e riscontrati. Siamo ancora in attesa delle prove concrete in base ai quali Marcello De Angelis, ex portavoce della Regione Lazio, l’anno scorso ha detto che le sentenze di Bologna sono sbagliate. Mollicone lo ha ribadito, sempre senza entrare nel merito, come ha fatto Meloni nell’attacco a Bolognesi. Consiglierei, prima di parlare, di leggere i documenti, milioni di carte, dei quindici processi. Se Mollicone lo avesse fatto, non avrebbe riesumato tesi strampalate già rivelatesi false alla prova dei fatti.

«Nessuno di noi era a Bologna» è uno slogan ripetuto anche da esponenti Fdi. Che significa?

Rappresenta bene la differenza che negli anni 70 passa fra il rapporto fra destra extraparlamentare e destra parlamentare da un lato, e dall’altro tra Pci e sinistra extraparlamentare. A sinistra era impensabile che un iscritto Pci militasse nei gruppi extraparlamentari, tanto meno dei gruppi armati. Il gruppo di Reggio Emilia che faceva capo a Alberto Franceschini e partecipò alla fondazione delle Br, uscì subito dal partito. E il Pci fece poi una lotta feroce contro quei gruppi. A destra invece c’è stato un “arcipelago” di organizzazioni, personaggi e ambienti rimasti in contatto tra loro. Non a caso la destra ama rappresentarsi come una “comunità” ovvero un corpo che ha attraversato in modo trasversale l’area della destra neo e post fascista. Quello slogan è un richiamo diretto a quel vissuto. Al netto delle scelte degli uni o degli altri, si riconoscono in una comunità ideale che ha attraversato lo spazio eversivo in nome del rifiuto del “sistema”, cioè la Costituzione repubblicana. È questo il nodo che la destra di governo non può sciogliere.

Perché?

Il vincolo creatosi attorno a quelle esperienze ancora oggi tiene legati, in un patto indicibile, ambienti apparentemente lontani.

In Fdi c’è mai stato un tentativo di prendere le distanze dalla storia di Almirante?

Tutt’altro. Al netto di ciò che avviene nelle feste Fdi, dove Almirante è sempre celebrato, quest’anno il profilo ufficiale della presidenza del Consiglio ha pubblicato sui social un omaggio ad Almirante, poi cancellato. Almirante è stato redattore della Difesa della Razza, collaborazionista dei nazisti a Salò, poi ha rappresentato con il Msi l’anima nera della Repubblica attraversando da nemico i decenni della nostra democrazia. Fdi non può e non vuole recidere quell’eredità: anzi nasce, dopo la fine del Popolo delle libertà, teorizzando un salto temporale che scavalca all’indietro il timido rinnovamento Fini e del congresso di Fiuggi, e si richiama direttamente al Msi. Tanto da riprenderne il simbolo.

Il suo saggio, che di questi intrecci parla in sede storica, non ha quasi ricevuto commenti da Fdi. Perché, secondo lei?

Nel libro tutte le affermazioni hanno una fonte documentale. Polemiche e querele costringerebbero gli eredi a parlare pubblicamente della storia indicibile del Msi, confrontandosi con i fatti.

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