Quella di Fabio Tagliaferri ad Ales è stata una falsa partenza. Il presidente e amministratore delegato della società in house del ministero della Cultura (Mic), tanto discusso per il suo scarno curriculum nel campo della cultura e altrettanto noto per essere un protégé delle sorelle Meloni, ha subito portato con sé Simona Scaccia, vecchia conoscenza risalente dai tempi delle esperienze amministrative al comune di Frosinone (Tagliaferri è stato assessore e vicesindaco del comune). Scaccia era nella segreteria del sindaco Nicola Ottaviani.

Ora ha messo piede dentro Ales, che ha il compito di garantire il supporto alla conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale italiano, dopo che la precedente segretaria si è accomiatata dalla società, con un contratto di lavoro interinale da marzo a luglio. Una situazione troppo instabile.

Allora è stato pubblicato un bando per assegnare un ruolo affine alla segreteria. Il concorso è stato vinto proprio da Scaccia, che adesso risulta a pieno titolo nell’organico societario.

Procedure sbagliate

Un punto di riferimento per Tagliaferri, che è però scivolato sul potenziamento dell’organico a più ampio raggio. Appena arrivato ha pensato di arruolare altri dirigenti, almeno quattro.

Di conseguenza ha predisposto la lista dei profili prescelti: quattro quadri interni sarebbero stati promossi. Ha inviato tutto al Collegio Romano, sede del Mic. Negli uffici ministeriali sono saltati dalla sedia di fronte all’errore da matita blu che ha denotato una certa inesperienza di fronte alle questioni di una realtà da oltre 2mila dipendenti.

La Arte, lavoro e servizi (Ales, appunto) è una società che dal 2016, dopo la fusione con Arcus spa, può assegnare quei ruoli solo dopo la pubblicazione di un bando e l’avvio di una selezione pubblica, che risponda a criteri di imparzialità e di trasparenza.

Tagliaferri ha fatto marcia indietro. E secondo la versione ufficiosa, parlando con gli interlocutori ministeriali, avrebbe addossato le responsabilità dell’errore alla struttura interna di Ales.

I dirigenti in carica, stando a quello che avrebbe riferito, gli avrebbero suggerito di prendere come esempio quanto avvenuto nelle precedenti gestioni con una promozione diretta. In quel caso il concorso pubblico poteva effettivamente essere bypassato perché lo statuto di Ales era diverso. Secondo quanto risulta a Domani, tuttavia, le strutture interne non erano state informate della decisione assunta dall’amministratore delegato sulla promozione dei quadri. Si sarebbe mosso sostanzialmente in solitaria.

Fatto sta che lo svarione di Tagliaferri – responsabile quantomeno dal punto di vista oggettivo – ha provocato un primo slittamento. Ora, a ritmo serrato, bisogna scrivere e chiudere i bandi, a cui potrebbero partecipare i candidati preferiti (e indicati) dall’ad, per provvedere al completamento del parco-dirigenti.

Un impatto notevole su Ales quello dell’esponente del partito meloniano, che ha beneficiato di un cordone di sicurezza da parte di Fratelli d’Italia. L’ordine impartito dall’alto è quello di fare quadrato intorno al nuovo dirigente. Ed ecco che è stata scelta la linea dello scaricabarile, secondo cui i responsabili di ogni disguido sono sempre le precedenti gestioni.

Il grande teorico della strategia è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, e vari ministri si sono ispirati a questo modello.

Addirittura il moderato Raffaele Fitto, fresco di nomina a commissario europeo, ha spesso lasciato sottintendere che i problemi legati al Pnrr fossero da mettere sul conto dei precedenti esecutivi. Governo Draghi incluso.

L’attacco di Giuli

Così Tagliaferri si è allineato provando a caricare a testa bassa le precedenti gestioni. Fino a coinvolgere nello scontro il neo ministro della Cultura, Alessandro Giuli. Il caso riguarda la polemica sul rapporto tra Ales e Monte dei Paschi di Siena, istituto presso cui la società ha un conto corrente aperto da anni.

Fratelli d’Italia ha scatenato i suoi deputati, sostenendo che Ales avrebbe concesso alla banca di mantenere sul conto il tasso di interesse allo zero. Giuli, durante il question time alla Camera della scorsa settimana, ha avallato la tesi di «cecchinaggio» politico e mediatico verso Tagliaferri.

L’ex direttore del MAXXI ha optato per una sceneggiata politica, definendo il rapporto tra Ales e Mps una vicenda con «chiaroscuri».

Eppure, per fare luce sul caso, al ministro sarebbe bastato leggere e citare la nota che proprio Ales ha inviato al ministro dopo la presentazione dell’interrogazione, come avviene di prassi di fronte ai quesiti posti dai parlamentari. Un documento, visionato da Domani, che reca la firma di Tagliaferri. È l’amministratore delegato che certifica il contenuto.

La lettera spiega, con dovizia di dettagli, che il tasso allo zero per cento è legato alle decisioni della Banca centrale europea, che aveva per un certo lasso temporale portato in territorio negativo i tassi. Anzi, sempre Ales evidenzia che c’è stato un risparmio da parte della società di circa 375mila euro, grazie alla cancellazione della liquidity fee, una commissione che poteva essere applicata. E non solo. La risposta della società spiega le ragioni per cui è stato conservato il rapporto con Mps e che comunque sono stati sondati altri istituti.

La proposta migliore era quella di Banco Poste che offriva il tasso allo 0,02 per cento di interessi, senza poter garantire altri tipi di servizi. Alla fine, comunque, Ales spiega di essersi attivata per l’eventuale recupero di somme di denaro su possibili inesattezze nel calcolo. Ma resta un dato: il tasso è stato inchiodato a zero per una serie di motivazioni. Era sufficiente che Giuli prendesse spunto da documento trasmesso ai suoi uffici da Tagliaferri.

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