Il segretario di Forza Italia non cede alle richieste degli alleati e insiste sullo ius scholae, «anche se qualcuno si arrabbia». La premier costretta a rincorrere gli azzurri al centro con il rischio di lasciare il fianco destro al generale e alla Lega di Salvini
La sindrome dell’accerchiamento è uno dei piatti forti nel menu di casa Meloni. Il complotto invisibile della magistratura contro Arianna Meloni, sorella della presidente del Consiglio, è solo l’ultimo dei casi in ordine cronologico. Eppure, c’è un assedio reale che sta prendendo forma intorno a palazzo Chigi. Qualcosa di tangibile che non riguarda poteri forti, giustizia e tutta la nenia tipica della narrazione meloniana.
Di mezzo c’è invece un accerchiamento tutto politico con due protagonisti in grande fermento: al centro Antonio Tajani che sta forgiando la sua Forza Italia con un profilo liberale e moderato che nemmeno ai tempi della leadership di Silvio Berlusconi si è davvero materializzata.
Rilancio ius scholae
Sullo ius scholae è intenzionato ad andare avanti, non si tratta solo un “temporale agostano” come sperano Lega e Fratelli d’Italia. Il motivo? «Non perché sono un pericoloso lassista che vuole aprire le frontiere a cani e porci. Ma perché la realtà italiana è questa e dobbiamo pensare a quello che sono gli italiani oggi», ha detto il ministro degli Esteri, intervenendo di fronte alla platea amica del meeting di Comunione e liberazione.
Il ragionamento si è spinto anche più in là, facendo crescere il nervosismo a via Bellerio e via della Scrofa, sedi di Lega e Fratelli d’Italia: «Preferisco uno che ha i genitori stranieri e canta l'inno di Mameli a uno che è italiano da sette generazioni e non canta l’inno. Chi è più patriota dei due?», ha sentenziato il ministro degli Esteri.
Non è mancata la punzecchiatura agli alleati: «Se ne parlo qualcuno si arrabbia». E infatti la Lega ha colto lo spirito polemico e subito ha rilanciato su Instagram un video di Silvio Berlusconi, ospite da Fabio Fazio. «Lo Ius soli noi non lo vogliamo», dice nel filmato l’ex presidente del Consiglio, definito un «grande» nel post del partito di Matteo Salvini.
Del resto sul versante della destra radicale, c’è chi sostiene l’esatto contrario rispetto a Tajani. Su tutti spicca l’eurodeputato Roberto Vannacci. Ne sa qualcosa Paola Egonu, che secondo il generale non è italiana per «i tratti somatici». Intanto, l’eurodeputato eletto con la Lega sta addestrando la sua armata politica. Se sarà Brancaleone si vedrà. Intanto c’è un’associazione che si fa movimento. Poi, chissà, quando diventerà partito.
Fatto sta che Giorgia Meloni si trova in una morsa inedita: in passato era abituata a duellare con Matteo Salvini, ma ha sempre saputo come contrastare le bizzarrie del leader della Lega.
La conseguenza? Se Fratelli d’Italia si sposta al centro lascia spazio a Vannacci con Salvini a ruota, se insegue le posizioni del generale ecco che i berlusconiani sono pronti a riprendersi i voti moderati finiti a FdI nelle ultime elezioni. Anche perché, come hanno spesso ragionato negli ambienti forzisti, «il successo di Meloni è basato sulla capacità di prendere i voti dei nostri elettori».
La svolta combattiva di Tajani genera quindi uno scenario inedito, sconosciuto a Giorgia Meloni, perché è accompagnato dal timore di una possibile «discesa in campo» di Pier Silvio Berlusconi, al netto delle continue smentite ufficiali che non rassicurano i vertici di Fratelli d’Italia.
Le antenne dei meloniani sono ritte, si scrutano i sommovimenti in corso ad Arcore. Di sicuro i fedelissimi della premier hanno preso nota: c’è stato un cambio di passo dei forzisti da quando Marina Berlusconi ha manifestato una «sintonia con la sinistra di buon senso» sui diritti civili.
Da alleato yes-man, Forza Italia si è trasformata in un controcanto quotidiano. E non di soli diritti si parla. Basti pensare alla questione dell’autonomia differenziata, prima votata in parlamento e poi quasi sconfessata. Il presidente della regione Calabria e vicesegretario di Fi, Roberto Occhiuto, è apertamente ostile alla riforma. Tajani è più felpato ma non meno scettico. E resta aperto il fronte europeo, dove i berlusconiani sono orgogliosamente dalla parte del Ppe di Ursula von der Leyen, bocciata da Meloni al momento del voto.
Voti e lealtà
Certo, l’antifona resta la solita: «Siamo leali al governo». Ma per ammissione del segretario di Forza Italia, l’obiettivo è «quello di prendere voti al centro», collocandosi tra il Pd e Fratelli d’Italia. Una strategia possibile, sicuramente. Ma al prezzo di rimarcare quotidianamente le distanze nei confronti della destra di Meloni e Salvini.
Ad agosto è accaduto sui diritti, in autunno avverrà sulla manovra economica. Così, mentre si ipotizza un taglio o almeno un ritocco al cosiddetto bonus mamme, Tajani fissa un paletto: «Dobbiamo parlare di come aiutare ancora le giovani madre». Insomma, gli azzurri stanno seguendo i consigli di Pier Silvio Berlusconi, d’intesa con la sorella Marina, su un partito che stia nella maggioranza. Ma con una maggiore autonomia.
La stessa che reclama Vannacci, seppure lontanissimo dalle aperture di FI. Meloni finisce compressa nel mezzo, accerchiata e schiacciata dal fuoco amico. Altro che establishment e poteri forti.
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