In piazza a Genova e a Venezia, le opposizioni formato smart (cioè Pd-M5s-Avs, per lo più senza i centristi ma con le liste civiche) vanno in pressing contro la destra in nome della «questione morale». La destra, a sua volta, da una città marinara all’altra spara accuse di giustizialismo. Ma il pulpito non aiuta: il Pd replica ricordando la vicenda pugliese, in cui FdI, Lega e FI, all’unisono, hanno chiesto le dimissioni del presidente Michele Emiliano, neanche indagato, per un’assessora arrestata; e hanno chiesto lo scioglimento per mafia del comune di Bari – praticamente finita in gloria – per un altro arresto, stavolta di una consigliera comunale della maggioranza dell’allora sindaco Decaro, anche lui non indagato.

Sulla vicenda ligure Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli si sono dati appuntamento nel capoluogo, in piazza De Ferrari davanti al palazzo della regione, per chiedere «un futuro per la Liguria» e cioè le dimissioni del presidente Toti, sospeso dalla funzione e ristretto ai domiciliari dal 7 maggio.

A cui, coincidenza quantomeno sgradevole, in mattinata è arrivato un nuovo mandato di arresto, questa volta per finanziamento illecito.

La nuova accusa

Le motivazioni con le quali il giudice del tribunale di Genova dispone i domiciliari anche per il reato di finanziamento illecito sembrano una risposta alla destra che invoca la sua scarcerazione. «È evidente, anche alla luce dei recenti sviluppi investigativi, la permanenza e attualità del pericolo che l’indagato possa reiterare analoghe condotte tenuto conto anche del fatto che nel 2025 sono calendarizzate le elezioni regionali e che la campagna per la raccolta dei fondi è già iniziata», è scritto nell’ordinanza cautelare.

In pratica, secondo il giudice, persiste «il pericolo di inquinamento probatorio», anche perché potrebbe ancora sfruttare «l’influenza derivante dalle funzioni svolte ai fini di una conveniente ricostruzione delle nuove condotte criminose emerse». Insomma, il fatto che Toti sia ancora presidente della regione complica il suo destino, perché da quel ruolo di potere, è la tesi del tribunale e della procura, potrebbe con facilità inquinare le prove.

Tra i «nuovi sviluppi investigativi» emerge la pista dei finanziamenti offerti a Noi Moderati – Italia al centro con Toti sui quali «sono ancora in corso approfondimenti investigativi» è scritto nelle carte. Si tratterebbe di erogazioni fatte attraverso il metodo della pubblicità sull’emittente locale Primo Canale, già coinvolta nella vicenda dei favori a Esselunga ampiamente trattata nel primo filone di inchiesta sulla corruzione. «In occasione della competizione elettorale politiche del 2022, avrebbe erogato un ulteriore finanziamento rappresentato da 1.598 passaggi elettorali pubblicitari (video denominato Noi Moderati – Italia al Centro con Toti) del valore di circa 23.970 euro in modo occulto», violando così la legge sui finanziamenti privati alla politica.

Dilemma dimissioni

L’accusa di essere «forcaioli» ormai dà fastidio anche a Giuseppe Conte: «Le inchieste faranno il loro corso, non vogliamo emettere una sentenza nei tuoi confronti», dice dal palco, «ma non permetteremo che tu emetti una sentenza nei confronti della Liguria. I forcaioli sono quelli che durante la pandemia accusavano di essere criminale chi si rimboccava le maniche».

Schlein è stata ancora più netta e ha fatto riferimento alle ultime accuse di finanziamento illecito: «Mi domando cosa aspetti Giorgia Meloni a chiedere a Giovanni Toti di fare un passo indietro per il bene di questa regione e per la dignità di questa istituzione».

Le dimissioni, dunque, si avvicinano, ma non tanto per le iniziative delle opposizioni. Dopo il nuovo mandato di arresto è saltato il suo incontro con il vicepremier Matteo Salvini previsto per oggi. «Un incontro più personale che politico», secondo i suoi. In realtà i due devono affrontare un nodo politico: la regione, nella persona del facente funzioni di governatore Alessandro Piana, leghista anche lui, ha deciso di dire no al trasferimento della nave rigassificatrice da Piombino a Vado Ligure, nel savonese. Toti non l’ha presa bene, all’apparenza: sarebbe un «cambio di rotta» rispetto alla linea fin qui seguita. Tanto grave da dimettersi. Ma la storia in realtà potrebbe piuttosto essere un’utile exit strategy per accompagnare il presidente alle dimissioni.

La notizia di un suo passo indietro del resto da qualche giorno circola in città. E anche per non perdere l’occasione di mettere la firma sul finale fallimentare dell’era Toti, le opposizioni si sono affrettate a convocare la piazza.

In realtà la linea scelta dal Pd non è, formalmente, quella delle dimissioni per l’indagine in corso. A Domani l’ex ministro Andrea Orlando ha spiegato che il passo indietro doveva arrivare «prima» dell’esplosione del caso giudiziario, «non dobbiamo aspettare la Cassazione per capire che quel modello ha prodotto nei primi tre mesi dell’anno 220 milioni di buco nella sanità. Mi sembra sufficiente per chiedere a un’amministrazione di andarsene a casa quando la gente aspetta nove mesi per una mammografia, ma bastano poche settimane per una concessione per un’area del porto, se sei amico del presidente». Che poi è la ragione per cui i rappresentanti genovesi di Azione erano in piazza con il centrosinistra, nonostante il no di Carlo Calenda (e di Italia viva). Al guardasigilli Nordio, duro sui giudici, che dice di aver letto l’ordinanza «ma non ci ho capito nulla», Debora Serracchiani contesta l’entrata a gamba tesa su un’inchiesta in corso.

Ma da destra ormai a Toti arrivano poco più difese d’ufficio. FdI e Lega trattano per una soluzione che salvi la faccia a tutti. È questione di tempo, e di candidato. Se l’addio arrivasse troppo presto, la regione tornerebbe al voto in autunno, nella stessa tornata dell’Umbria e dell’Emilia-Romagna. Dove il centrosinistra ha il vento in poppa, e rischierebbe di trainarsi appresso anche la Liguria. Meglio sarebbe che Toti resistesse abbastanza da far slittare il voto al 2025, insieme al Veneto, per sfruttare il traino della destra, che anche nel post-Zaia è più che favorita.

Quanto al candidato, la Lega è in pressing sul suo Edoardo Rixi, l’unico in grado di tenere botta. Il centrosinistra si prepara a schierare Andrea Orlando, più volte ministro e capo della corrente di sinistra del Pd. Che era in piazza.

Intanto a Venezia la giunta comincia a ballare. L’assessore alla Mobilità Renato Boraso si è dimesso dall’incarico dal carcere di Padova, dove da lunedì è ristretto per l’inchiesta su appalti e corruzione. Il sindaco Luigi Brugnaro, indagato anche lui, fin qui ha respinto al mittente la richiesta di dimissioni: «Si va avanti». Ma da qui al 9 settembre, quando ha deciso di degnarsi di rispondere alle opposizioni in Consiglio, c’è una torrida estate, per lui lunghissima.

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