Insieme a Bashar al-Assad, in Siria sono caduti molti veti imposti dal regime. Anche quelli alimentari. Negli anni della guerra civile i siriani hanno bevuto una bevanda simile alla Pepsi. Era un’imitazione locale, a prezzi umani, l’unica trovabile. Ora potranno tornare a bere l’originale. Il governo di Abu Ahmad al-Jolani ha riaperto il paese alle importazioni finora bandite, compresi quei cibi che per anni sono stati acquistati sottobanco a prezzi esorbitanti, mettendo a repentaglio la propria sicurezza.

Non è di certo una novità che un regime impedisca di acquistare prodotti simbolo del nemico. Quello baatista non ha fatto di certo eccezione. Con lo stop al dollaro, oltre che accentuare l’isolamento dovuto alle sanzioni internazionali, Assad aveva imposto ai cittadini l’uso della lira siriana e la compravendita di soli beni nazionali. Qualcosa arrivava di contrabbando dai paesi vicini.

Ora che la valuta americana è tornata a circolare nel paese – prima anche solo pronunciare la parola poteva portare a pene severe, per cui erano necessari pseudonimi – e i militari del regime sono scomparsi dalle strade, anche le importazioni hanno ripreso a confluire.

Prezzi più bassi e prodotti occidentali

Quei prodotti un tempo rintracciabili esclusivamente nelle aree controllate dai ribelli, come la roccaforte Idlib che si riforniva dalla Turchia, hanno ricominciato a circolare ovunque. Sugli scaffali, racconta il Financial Times, sono tornati i Twix e gli Snickers, entrambi dell’azienda statunitense Mars. Si possono mangiare le patatine Pringles dall’iconico tubo.

Nel brodo, si possono finalmente sciogliere i dadi provenienti dall’Arabia Saudita. E si può bere sia l’acqua imbottigliata in Turchia, sia il latte in polvere prodotto in Libano. Ad accomunare le infanzie dei bambini siriani di un tempo era poi il formaggio francese The Laughing Cow, scomparso dall’inizio della guerra civile e ora di nuovo disponibile. «L’asino se n’è andato e la mucca è tornata», afferma un cittadino in un video Instagram.

Il nuovo inizio della Siria, circondato dalle riserve della comunità internazionale per via del passato fondamentalista in Al Qaeda di al-Jolani, si nota anche lungo le strade. La fuga dei militari dell’esercito fedeli al regime sta avendo ripercussioni concrete sulla vita delle persone. Non solo in termini di sicurezza.

A contribuire all’innalzamento dei prezzi era il pizzo richiesto ai posti di blocco dagli uomini della Quarta Divisione, comandata da Maher al-Assad, fratello del macellaio di Damasco. Ce n’erano centinaia posizionati lungo le strade, ma da un mese a questa parte non se ne vedono più. Con conseguenze concrete.

Le stesse patate costavano 0,75 dollari al chilo. Oggi, per la medesima quantità, si spendono 0,33 dollari. Il prezzo delle banane libanesi si è dimezzato. L’olio di Idlib è sceso di un quarto. Molte di quelle merci servivano inoltre per nutrire l’esercito, togliendo disponibilità alla popolazione.

Ora che non è più così, l’aumento dell’offerta fa da calmiere ai prezzi. L’incognita riguarda però il governo, che sta pensando di eliminare i sussidi al pane entro i prossimi sei mesi. Esattamente quello che non ci vuole per un paese che sta provando a rialzare la testa.

Cibo di Stato

Il cibo, si sa, oltre che specchio di un paese è una questione politica. Quando gli Stati Uniti imposero l’embargo su Cuba, il gelato americano non poteva più essere importato dall'isola, privandola di un dolce molto diffuso tra la sua popolazione. Per Fidel Castro era un’ossessione, come aveva raccontato quasi incredulo lo scrittore Gabriel García Márquez dopo averlo visto mangiare diciotto palline alla fine di un pranzo.

Per aggirare il bando di Washington, il leader maximo chiese all’ambasciatore di stanza in Canada di inviargli 28 vaschette del gelato prodotto dalla statunitense Howard Johnson’s. Poi l’idea, sintetizzata nel motto helado por el pueblo. Prendendo spunto dai vicini, Fidel volle realizzare un gelato locale migliore di quello americano, ma sovvenzionato dallo stato per dimostrare la superiorità del socialismo. Così, nel 1966, all’Avana venne inaugurata la Coppelia, la più grande gelateria al mondo, che oggi si presenta come una struttura decadente a causa della crisi economica.

La povertà obbliga a reinventarsi e molto spesso il risultato sono ricette iconiche. Come il pad thai, diventato il simbolo culinario della Thailandia per volere del dittatore Plaek Phibunsongkhram. Per salvaguardare l’indipendenza del paese dai desideri imperialistici delle superpotenze del tempo, ma soprattutto per puro nazionalismo, alla vigilia della seconda guerra mondiale impose un modus vivendi per la popolazione, costretta a mangiare questo piatto di noodles.

Sopravvisse anche alla cacciata del generale, una delle poche cose buone lasciate in eredità da Phibunsongkhram, sebbene oggi nel paese si cerchi di sorvolare sulle sue origini.

Anche il leader nordcoreano Kim Jong-un sta cercando di rafforzare il sentimento nazionale con la gastronomia. A fine anno scorso, in un quartiere Hwasong di Pyongyang, ha aperto un bar della birra di stato, la Taedonggang, acquistata all’asta a inizio secolo quando la Ushers chiuse i battenti nella cittadina inglese di Trowbridge. È pensato per il popolo, ma difficilmente verrà frequentato dalle classi meno agiate che cercano anzitutto di sopravvivere alla fame.

A queste persone è stato privato anche il gusto di un hot-dog, la cui vendita è stata vietata da Kim perché troppo lontano dalla cultura nordcoreana. Al punto tale che, chi non osserverà le regole, verrà considerato un traditore.

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