A una settimana dal fallito colpo di stato continua la crisi. Kim Yong-hyun, che si era dichiarato responsabile del golpe, prova a togliersi la vita. Intanto, le guardie di Yoon impediscono alla polizia di perquisire l’ufficio del presidente
A una settimana dal fallito colpo di stato del presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, la crisi politica nella quarta economia dell’Asia si intensifica.
L’ormai ex ministro della Difesa Kim Yong-hyun, sotto arresto per aver ricoperto un ruolo cruciale nel tentato golpe e sobillato Yoon a proclamare la legge marziale – ha tentato di suicidarsi in un bagno dell’istituto penitenziario in cui è detenuto da domenica.
Le accuse
L’accusa per Kim è di «svolgimento di compiti critici durante un’insurrezione» e «abuso di autorità al fine di ostacolare l’esercizio dei diritti». Kim, che dimettendosi aveva dichiarato che la responsabilità delle forze dell’ordine e di come hanno agito era da ricondurre solamente a lui, si trova ora in condizioni stabili.
L’ex ministro è anche sospettato di aver cercato di istigare il conflitto con la Corea del Nord quando, lo scorso ottobre, ha ordinato l’invio di diversi droni senza pilota su Pyongyang. La mossa voleva essere un pretesto per proclamare già allora la legge marziale. A renderlo noto un deputato del Partito democratico che avrebbe ricevuto la soffiata da una persona interna agli apparati militari.
Nella mattinata di mercoledì, un’unità speciale della polizia giudiziaria ha provato a perquisire l’ufficio del presidente Yoon. La situazione, però, è rimasta in stallo per almeno tre ore: gli agenti per la sicurezza del presidente si sono rifiutati di collaborare e hanno ostacolato l’accesso delle forze dell’ordine.
Il presidente, scampato sabato scorso alla richiesta di impeachment grazie al boicottaggio al voto del suo stesso partito, è sotto indagine per essere «leader dell’insurrezione». Un capo di accusa per cui l’immunità presidenziale non è concessa e che, in Corea del Sud, è punibile con il carcere a vita fino anche alla pena di morte.
Per tutta la durata delle indagini, è stata interdetta a Yoon la possibilità di uscire dai confini del paese.
Il procuratore capo che sta conducendo le indagini ha dichiarato che non avrebbe alcuna esitazione ad arrestare il presidente per insurrezione, se le prove raccolte delineassero un quadro di questa portata.
Il mandato di arresto è già scattato invece per Cho Ji-ho, a capo dell’Agenzia di polizia nazionale, e Kim Bong-sik, dirigente della polizia della città metropolitana di Seul. Anche loro, come l’ex ministro della Difesa Kim, potrebbero venire tutti accusati di complicità all’insurrezione ordita da Yoon.
Secondo la ricostruzione fatta dal quotidiano sudcoreano Chosun, la notte in cui Yoon ha portato indietro la lancetta di quarant’anni – l’ultima volta che il paese aveva vissuto sotto una dittatura – avrebbe comunicato al resto del Consiglio dei ministri di «voler proclamare la legge marziale».
All’opposizione di alcuni ministri, sempre Yoon uscendo dalla stanza avrebbe risposto: «Sono il presidente, è una mia decisione. Fine della discussione».
Negli stessi momenti, il presidente avrebbe quindi chiamato direttamente il comando delle forze militari per ordinare di «sfondare le porte del parlamento e trascinare fuori tutti i deputati».
Un nuovo impeachment
Intanto, le opposizioni torneranno a votare la mozione di impeachment il prossimo sabato che, se necessario, ripeteranno tutte le settimane fino a quando Yoon non sarà destituito dalla carica di presidente.
Secondo una stima fatta da un deputato del Partito del potere del popolo (Ppp), il partito di governo, in questa occasione ci sono almeno dieci deputati che hanno comunicato la propria intenzione di votare a favore dell’impeachment. Al Partito democratico, guidato dal favorito Lee Jae-myung, basterebbero otto voti favorevoli del Ppp per far passare la mozione.
Nonostante il partito abbia protetto in maniera compatta Yoon dalla messa sotto accusa – solo tre deputati hanno votato la mozione su 180 totali – il suo leader Han Hong-hoon e il primo ministro Han Duck-soo hanno chiarito che il presidente non sarà più coinvolto negli affari di stato come anche negli incontri diplomatici.
Se i due rappresentanti politici hanno definito questa procedura più «ordinata» rispetto a quella dell’impeachment, gli osservatori internazionali si chiedono chi sia di fatto la persona alla guida del paese considerato che l’estromissione non formale – Yoon non si è ancora dimesso dalla carica di presidente – non rientra nel quadro costituzionale del paese.
Intanto è arrivato un primo comunicato dalla Corea del Nord, che ha rotto così uno strano silenzio che andava avanti dalla notte del fallito golpe: «Il burattino Yoon Suk-yeol ha dichiarato inaspettatamente la legge marziale e scatenato le armi della dittatura fascista contro il suo stesso popolo», si legge sull’agenzia di stato KCNA.
La Corea del Sud viene descritta come una «nazione di gangster» guidata da un presidente in difficoltà che ha commesso un atto folle. Nulla viene aggiunto su come l’instabilità politica a Seul si ripercuota sui rapporti con Pyongyang che, proprio sotto Yoon, ha raggiunto probabilmente tra i punti più bassi della storia delle relazioni tra i due paesi.
Nel caso in cui sabato prossimo la mozione fosse approvata, Yoon verrebbe sospeso dalla carica fino alla convalida della Corte costituzionale – che potrebbe impiegare diversi mesi visti i tre membri vacanti.
A quel punto, sarebbero indette le elezioni anticipate che danno per favorito il leader dei democratici Lee: come hanno avuto modo di riportare le opposizioni nel testo di accompagnamento alla richiesta di impeachment, il presidente Yoon «ha aderito a una bizzarra politica estera incentrata sul Giappone; portato la Corea del Sud all’isolamento nel Nordest asiatico e rinunciato ai suoi doveri di protezione della sicurezza nazionale».
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