«Qualcuno prova ad indicarmi come responsabile, ma io non mi assumerò mai l’irresponsabilità di altri». Se qualcuno pensava che Emmanuel Macron, di fronte alla profonda crisi politica che attraversa la Francia, potesse fare un passo indietro, sarà rimasto deluso ascoltando il suo discorso al Paese nella serata di giovedì.

Il presidente non molla

Al contrario, il presidente francese è apparso più agguerrito che mai: ha rivendicato la scelta di sciogliere l’Assemblée a giugno («ho pensato fosse il momento di restituirvi la parola»), se l’è presa contro «l’estrema destra e l’estrema sinistra che si sono unite» non per costruire, «ma per distruggere» con la complicità di chi «governava fino a ieri», evidente riferimento ai socialisti che si sono uniti al voto che ha segnato la caduta del governo di Michel Barnier.

Macron ha annunciato che non si dimetterà e che terminerà il suo mandato, e che prossimamente nominerà un primo ministro, che avrà come priorità l’approvazione del bilancio, che sarà poi incaricato della ricerca di un consenso più ampio possibile tra le forze politiche. Il presidente ha invitato a «seguire l’esempio di tanti altri Paesi», dove si formano in maniera naturale coalizioni di governo tra diverse forze politiche. È un Macron, insomma, che detta ancora la linea verso cui, nella sua visione, dovrebbe dirigersi il Paese. Una linea che però, a giudicare dalle schermaglie che continuano tra i partiti, non trova più alcun riscontro nell’arco parlamentare.

I premier papabili

In mattinata, il presidente aveva ricevuto la lettera – piuttosto scarna – di dimissioni di Michel Barnier, prendendone atto e assicurandosi il disbrigo degli affari correnti. Per poi dare il via al valzer dei possibili premierabili. Il presidente ha ricevuto a pranzo François Bayrou, presidente del Mouvement Démocrate, tra i partiti centristi che compongono il campo presidenziale.

Bayrou ha pranzato all’Eliseo insieme a Emmanuel Macron e ha incontrato in mattinata anche un altro dei nomi papabili: Bernard Cazeneuve, ex primo ministro sotto Hollande e precedentemente membro del Parti Socialiste. Molti considerano Cazeneuve un possibile nome nel caso in cui Macron dovesse aprire a sinistra, dopo aver provato – invano, a questo punto – a spostare la maggioranza verso destra. Molti, appunto, eccetto la sinistra stessa: persino chi più dovrebbe essere disponibile a dialogare con lo spazio macroniano, ovvero il segretario dei socialisti, Oliver Faure, ha rifiutato di nuovo l’opzione Cazeneuve – dopo averlo fatto già durante l’impasse che aveva portato alla nomina di Barnier, sostenendo che «non avrebbe la legittimità necessaria per rappresentare l’insieme del Nouveau Front Populaire».

No dei socialisti anche alla formula, promossa dall’ex premier Gabriel Attal, per cui i Républicains potrebbero sostenere dall’esterno un primo ministro socialista, che disarticolerebbe tuttavia il fronte delle sinistre.

Spiragli socialisti

Ma la porta del dialogo non è del tutto chiusa: in mattinata i socialisti avevano teso per la prima volta la mano alla macronie, invitando il presidente a ricevere nei prossimi giorni tutti i capigruppo dei partiti che hanno partecipato al fronte repubblicano. «I francesi hanno posto in testa i candidati del Nuovo fronte popolare», affermano i socialisti, invitando Macron a nominare un primo ministro che provenga dalla sinistra e sia «aperto al compromesso».

Duri, a questo proposito, i deputati de La France Insoumise: «Richiamo i socialisti a tornare alla ragione, invece di credere che si possa creare una coalizione con l'accordo di Macron. Non so bene poi su quale programma», ha commentato l’insoumis Eric Coquerel. «Quello che ho visto all'Assemblée - ha proseguito - è un blocco centrale che non ha accettato nessun compromesso».

Sullo stesso tenore anche la capogruppo di LFI, Mathilde Panot, nel sostenere che la sua forza politica voterà «ovviamente» per la sfiducia di qualsiasi premier che non venga dalla coalizione di sinistra, compreso lo stesso Cazeneuve. Anche altre voci, però, si dimostrano più possibiliste e confermano che a sinistra c’è chi intravede la possibilità che stavolta tocchi a loro: la segretaria degli Ecologisti, Marine Tondelier, in un video si è rivolta a tutti i deputati del fronte repubblicano, «insoumis, comunisti, socialisti, ecologisti, centristi e macronisti», per trovare una soluzione all’interno di questo quadro, sottolineando che ciò che unisce tutti è il voto di coloro che «non volevano il Rassemblement national» al governo.

Le mosse di Le Pen

Nel frattempo, Marine Le Pen, che aveva dichiarato di aspettarsi la nomina di un primo ministro già nel discorso serale di Macron alla nazione, ha un’opinione diametralmente opposta: «Ci opporremo a un primo ministro di sinistra», ha assicurato a CNews, giudicando che ciò non è «nell'interesse di Emmanuel Macron».

I nomi che potrebbero intercettare i voti dei deputati della destra e del Rassemblement national non mancano: da Sebastien Lecornu, ministro delle Forze armate di cui già si vociferava la nomina a Matignon, a gennaio, prima che la scelta cadesse su Gabriel Attal; a Bruno Retailleau, storico leader dei senatori repubblicani “promosso” a ministro dell’Interno da Barnier, dalla linea molto dura sull’immigrazione.

Ma si tratterebbe della stessa formula politica promossa con Barnier, ovvero una sorta di “non sfiducia” dei lepenisti a un premier di centrodestra non troppo inviso. Dovesse fallire di nuovo, sarebbe difficile non imputare la responsabilità alla perseveranza dell’inquilino dell’Eliseo.

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