La tregua a Gaza si è fermata all’alba del secondo mese. Nella notte del 18 marzo Israele ha «aperto le porte dell’inferno», alla popolazione civile come ha detto il ministro della Difesa Israel Katz. Il bilancio dell’attacco è tragico.

Almeno 404 persone sono state uccise, di questi più di 130 sono bambini ha fatto sapere l’Unicef. Oltre 562 i feriti. È stato il raid più mortale nella Striscia dal 7 novembre del 2023. Hamas ha annunciato la morte di almeno cinque alti funzionari a Gaza, uno per la Jihad islamica.

«D’ora in avanti, Israele agirà con una forza crescente contro Hamas e i negoziati avverranno solo sotto il fuoco», ha detto il premier israeliano Benjamin Netanyahu. «Continueremo a combattere fino a raggiungere tutti gli obiettivi della guerra: la liberazione degli ostaggi, l'eliminazione di Hamas e la fine della minaccia da Gaza», ha aggiunto.

Con il bombardamento, il gabinetto di guerra israeliano ha deciso unilateralmente di interrompere la fase due della tregua e mandare all’aria l’accordo annunciato dal Qatar il 15 gennaio scorso ed entrato in vigore quattro giorni dopo. Una decisione apprezzata dall’estrema destra israeliana. Il partito ortodosso Otzma Yehudit dell’ex ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, ha annunciato che rientrerà all’interno della coalizione di governo.

La presa di posizione israeliana ha suscitato l’indignazione di tutta la comunità internazionale e dei paesi europei, tranne la Casa Bianca che è stata consultata prima dallo stato ebraico. «Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per prolungare la tregua, ma ha scelto il rifiuto e la guerra», ha detto Brian Hughes, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale di Washington.

L’escalation militare continuerà per giorni ha fatto sapere l’Idf. Si torna alla tregua soltanto se Hamas accetta i nuovi termini dell’accordo proposti dall’inviato Usa Steve Witkoff che prevedono lo scambio in massa degli ostaggi. I servizi di intelligence stimano che su 59 ostaggi ancora a Gaza, sono 22 quelli vivi. I missili lanciati sui gazawi si sommano a due settimane di blocco di aiuti umanitari e a una settimana di interruzione delle forniture elettriche. Due decisioni che hanno alimentato la crisi umanitaria nei confronti dei civili.

Il massacro

«Il numero di feriti e vittime è enorme. I pazienti sono arrivati in massa negli ospedali», fa sapere Claire Nicolet, la responsabile per l’emergenza a Gaza di Medici senza frontiere. «L'accesso alle cure e ai rifugi è estremamente limitato» perché «è tutto distrutto. La gente è terrorizzata, ha capito che i combattimenti sono ricominciati su larga scala e ha paura di quello che accadrà. Inoltre, le evacuazioni mediche sono state sospese». Le ambulanze non riescono a trasportare tutti i feriti e i cadaveri, che arrivano nelle cliniche a bordo di carretti di legno trainati da cavalli scheletrici.

Sgomento

I mediatori arabi hanno condannato duramente l’attacco contro «aree popolate da civili disarmati, senza il minimo riguardo per il diritto internazionale umanitario», scrive Riad.

Il premier e ministro degli Affari esteri del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, sempre misurato nelle dichiarazioni, ha invece questa volta richiamato lo stato ebraico alle sue responsabilità: «Il brutale bombardamento di Gaza all’alba di oggi, che ha preso di mira donne e bambini sfollati nelle loro tende mentre dormivano, sotto l’ingiusto assedio, la mancanza di aiuti e il collasso delle strutture mediche, è un altro crimine efferato che l'occupazione (Israele) continua a perpetrare senza alcun senso di responsabilità».

Il Cairo ha avanzato timidamente una proposta diplomatica per il cessate il fuoco che prevede il rilascio degli ostaggi feriti e dei corpi dei rapiti con doppia cittadinanza. Il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, si è giustificato dicendo che «nelle ultime due settimane e mezza è stato raggiunto un punto morto» e «questo è qualcosa che Israele non può accettare». Mentre l’ambasciatore israeliano all’Onu ha detto che non ci sarà «nessuna pietà». Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite si è riunito in emergenza e la Cina ha chiesto a Israele di «rinunciare alla sua ossessione per l’uso della forza».

Le famiglie degli ostaggi

Hamas ha detto che con il suo attacco Israele ha esposto gli ostaggi a una fine incerta e a una «condanna a morte». Anche i famigliari dei prigionieri hanno accusato duramente il premier Benjamin Netanyahu: «La più grande paura delle famiglie, degli ostaggi e dei cittadini israeliani si è concretizzata: il governo israeliano ha scelto di rinunciare agli ostaggi. Siamo scioccati, arrabbiati e terrorizzati dallo smantellamento deliberato del processo per liberare i nostri cari dalla terribile prigionia di Hamas».

I familiari si sono riuniti fuori la Knesset e hanno chiesto un incontro con il premier. «È già stato dimostrato: la pressione militare è una condizione necessaria per il rilascio di altri ostaggi. Questi non sono obiettivi contrastanti, sono interconnessi», è la tesi del premier. La decisione di riprendere i raid su Gaza è «pericolosa» e «senza alcuna idea dell'impatto che una mossa del genere ha su quelli di noi che si trovano ancora in prigionia», scrive invece su X Omer Wenkert, ex ostaggio di Hamas.

A cercare di far ragionare Netanyahu ci ha provato il presidente Isaac Herzog: «È il momento di rimuovere tutte le questioni controverse dall'agenda e cercare intese e accordi in modo da poter riportare tutti a casa e sconfiggere Hamas». Per Netanyahu, invece, è solo l’inizio. La guerra è l’unica maniera per il premier di sopravvivere a livello politico, anche a un costo altissimo e irreparabile di vite umane.

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