Donald Trump avrà un colloquio telefonico con Vladimir Putin «in settimana», come rende noto il suo emissario, Steve Witkoff. Sulla carta dovrebbe provare a far pressione sul presidente russo, come richiesto a gran voce dagli altri alleati dell’Ucraina nel vertice virtuale di sabato organizzato da Keir Starmer. Ma non è affatto detto che Trump sarà così risoluto.

La Casa Bianca, infatti, sta accettando di incassare le richieste russe. Mike Waltz, consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, ieri si è dimostrato alquanto permissivo: «Quello che abbiamo sentito da Putin è che prenderà assolutamente in considerazione il cessate il fuoco, ma ci sono altre cose che vorrebbe vedere e la squadra di Trump le valuterà nei prossimi giorni».

Lo stesso Waltz ha detto a chiare lettere che Kiev dovrà accettare di fare «importanti concessioni» territoriali «in cambio di garanzie di sicurezza». Mentre Witkoff, pur affermando che sia prematuro, non ha voluto né negare né parlare di un ipotetico futuro riconoscimento degli Stati Uniti delle regioni ucraine annesse.

Giovedì scorso Witkoff era volato a Mosca per incontrare il capo del Cremlino. Un incontro definito «positivo», ma secondo indiscrezioni sembra che abbia dovuto fare anticamera per diverse ore prima di essere ricevuto da Putin. Difficile dire se quella che si apre oggi sarà una settimana decisiva per il cessate il fuoco in Ucraina.

D’altronde in questi tre anni di guerra è successo tante volte che crescessero aspettative per una tregua che poi, puntualmente, non è mai arrivata. Nondimeno, nei prossimi giorni sono previsti nuovi colloqui tra russi e statunitensi. E le distanze tra Ucraina e Russia «si sono ristrette», come ripete sempre Witkoff.

Donald Trump aveva promesso di chiudere la guerra in 24 ore dal suo insediamento. Ma è difficile oggi dire quanta consistenza abbia il suo piano per giungere alla pace. Soprattutto per colpa di Putin, che tiene sulle spine l’amministrazione Usa. Kiev, infatti, ha dato il via libera all’accordo immediato per un cessate il fuoco, Mosca no.

In compenso, da Washington ci sono segnali chiari in direzione Cremlino. Uno di questi è proprio rappresentato da Witkoff, ormai a tutti gli effetti il plenipotenziario di Trump. Da inviato per il Medio Oriente, ora Witkoff ha un ruolo cruciale per i negoziati sull’Ucraina, dato che chi doveva avere un incarico primario nelle trattative, cioè Keith Kellogg, è stato declassato: da inviato speciale per Russia e Ucraina a solo anello di raccordo con Kiev.

Secondo Putin era troppo duro con Mosca e simpatizzante con la causa ucraina. E quindi Trump ha optato per un suo passo indietro, in quello che è un ulteriore messaggio benevolo verso il Cremlino.

Oltre alla telefonata tra i due presidenti, in questi giorni il team di negoziatori statunitensi incontrerà di nuovo quello russo per avanzare nelle trattative. Witkoff ha affermato di sperare di vedere progressi reali per porre fine alla guerra.

L’ira di Zelensky

A chiedere a gran voce una maggiore pressione su Putin è invece Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino ieri ha elencato gli attacchi di Mosca nell’ultima settimana: «I russi hanno lanciato oltre 1.020 droni d'attacco, quasi 1.360 bombe aeree guidate e più di 10 missili. Chi vuole che la guerra finisca il prima possibile non agisce così».

Kiev ha preso quindi delle contromisure. Zelensky ha reso noto il successo dei test in combattimento del nuovo missile Long Neptune di produzione nazionale. Avendo una gittata di 1000 chilometri, potrebbe colpire direttamente Mosca. E poi da Kiev arriva un’altra notizia: il presidente ucraino ha annunciato un cambio ai vertici militari. Fuori il capo di stato maggiore delle forze armate Anatoly Barhylevych, al suo posto il vice Andriy Gnatov.

Donald nella War Room

La risolutezza che sembra mancare a Trump nel trattare con Putin, il presidente Usa l’ha trovata invece per attaccare gli Houthi in Yemen. La Casa Bianca ci ha tenuto a diffondere le foto del presidente nella war room che in maglietta e cappellino ‘Maga’ assiste ai raid americani. Colpita in particolare Sana’a, ma non solo. Le vittime sono decine, con Mike Waltz che ha parlato di molti esponenti di spicco degli Houthi uccisi.

La rappresaglia non si è fatta attendere: gli Houthi hanno annunciato di aver preso di mira una portaerei americana. Stando a quanto riferito dal portavoce militare delle milizie è stata condotta «un'operazione» contro portaerei statunitense Harry S. Truman nel Mar Rosso con «18 missili balistici e da crociera ed un drone».

Pensare che quello americano doveva essere un messaggio per invogliare Teheran a smettere di sostenere le milizie yemenite, che continuano ad attaccare le navi occidentali. È stato lo stesso Waltz a spiegare le ragioni degli attacchi aerei: «Li abbiamo colpiti con una forza schiacciante e abbiamo mandato un avvertimento all'Iran che quando è troppo è troppo». Sia l’Iran sia gli Houthi, almeno a parole, non hanno però mostrato spavento.

E mentre Trump parlava di una forza «letale e schiacciante» per raggiungere il suo obiettivo, il segretario di Stato Marco Rubio ha voluto mettere le mani avanti, escludendo un’offensiva via terra. Rubio che, al telefono con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, si è sentito chiedere di evitare «l’uso della forza» in Yemen e di impegnarsi «in un dialogo politico». Nelle prossime settimane si capirà se Washington acconsentirà anche a questa richiesta del Cremlino.

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