La rapida uscita di scena di Matt Gaetz – indicato come prossimo procuratore generale e costretto a farsi da parte per una montagna di circostanze che avrebbero complicato la sua conferma al Senato – dice qualcosa sul metodo di Donald Trump, che si presenta da sempre come grande negoziatore, mentre in realtà è solo un maestro di trucchi e illusioni ottiche. Anche in questo ci può essere una razionalità. In questo caso, il presidente eletto ha messo al centro della scena il più detestato fra tutti gli impresentabili a lui fedeli, un maestro del trollaggio su cui pendono pesanti accuse di sfruttamento della prostituzione, uso di droghe e rapporti con una minorenne, per essere certo di ottenere il risultato politico che voleva.

Se l’improbabile Gaetz fosse passato indenne nel percorso di conferma, Trump avrebbe avuto un mastino ricattabile e vendicativo al suo servizio al dipartimento di Giustizia. Se invece fosse stato disarcionato, avrebbe potuto mettere una seconda scelta che sarebbe apparsa tutto sommato accettabile per via del confronto con il primo nominato.

È quello che è accaduto con la nomina di Pam Bondi, ex procuratrice generale della Florida con un curriculum che sarebbe strapieno di complicazioni se soltanto non fosse giudicato per accostamento con quello di Gaetz. Bondi ha 59 anni e in passato è stata impegnata in politica con i democratici. La svolta della sua carriera è arrivata con Sarah Palin, governatrice dell’Alaska ed eroina del Tea Party, che l’ha indicata come inflessibile procuratrice “law and order”, indirizzandone la carriera nella parte più estrema del mondo repubblicano.

Il curriculum

Nel suo ruolo ha, fra le altre cose, impedito l’estensione della protezione dei diritti Lgbtq e ha cercato in tutti i modi di svuotare per via legale la riforma sanitaria di Obama. Ha avuto anche l’opportunità di unirsi a una più ampia inchiesta su Trump – prima dell’ingresso in politica – intorno al progetto di fondare un’università, ma ha rinunciato all’idea.

Contestualmente il suo comitato elettorale ha ricevuto una donazione di 25mila dollari da Trump, ma tutti hanno negato che ci fosse una connessione fra questi due fatti. Bondi è immersa nelle logiche clientelari che dominano la Florida, che non per caso è lo stato adottivo di Trump e la spina dorsale della sua nascente amministrazione. Ha sviluppato capacità di raccolta fondi per la politica così formidabili che una volta ha convinto il governatore, Rick Scott, a spostare l’esecuzione di un condannato a morte perché quel giorno aveva un evento di fundraising che non voleva perdersi.

Alla fine della sua carriera da procuratrice, nel 2019, è diventata molte altre cose: associata dell’agenzia Ballard Partners, molto vicina alla famiglia Trump, lobbista per il Qatar e Amazon, consulente legale del tycoon nel primo caso di impeachment, accusatrice della famiglia Biden per gli affari in Ucraina del figlio Hunter e grande sostenitrice dei brogli democratici nelle elezioni del 2020, dei quali però non ha mai mostrato prove.

Bondi non fa ribollire il sangue quanto Gaetz, ma questo non fa di lei una candidata più qualificata per guidare il dipartimento di Giustizia. E per il Senato sarà complicato bocciarla dopo aver preventivamente ottenuto l’uscita del nominato più problematico.

Il calcolo di Gaetz

Gaetz è politicamente finito? Tutt’altro. Trump non avrebbe permesso che un suo alleato così fedele rischiasse davvero di schiantarsi al primo ostacolo. Nella sua agenda c’erano due priorità. La prima: uscire dalla Camera. La seconda: coltivare il progetto di candidarsi come governatore della Florida nel 2026.

Togliersi dalla Camera era importante per evitare (o rendere più improbabile) che uscisse l’esito dell’inchiesta della commissione etica su sesso a pagamento, festini e rapporti con una minorenne. Appena Trump lo ha nominato lui ha subito detto che non avrebbe formalmente preso posto al Congresso, sperando che le indagini a suo carico si congelassero in automatico. La commissione etica ha ampio margine di discrezionalità, potrebbe decidere di pubblicare l’esito anche se il deputato non è più in carica, cosa che però il repubblicano che la guida ha escluso. Soltanto che sono usciti sulla stampa alcuni frammenti del fascicolo, che non promettono affatto bene per Gaetz.

L’avvertimento è chiaro: dal Congresso qualcuno sta facendo uscire cose estremamente pericolose per lui, segnale che il deputato ha subito colto. È possibile che lo sgocciolio di informazioni continui fino a costringere la commissione a pubblicare l’intero report, ma intanto chi voleva far saltare la sua nomina ha vinto. Per ora.

L’ipotesi del Senato

Si affaccia infatti un altro scenario: Gaetz potrebbe essere nominato senatore al posto dell’uscente Marco Rubio, anche lui della Florida, proiettato verso la segreteria di Stato e con una conferma del Senato che appare blindata. Secondo la legge della Florida, spetta al governatore nominare un supplente, che rimane in carica fino alla scadenza del mandato. Il governatore è Ron DeSantis, quello che per una breve stagione ha creduto di poter far fuori Trump e raccogliere la sua eredità politica. Gli è andata tragicamente male.

Non solo è stato spazzato via alle primarie da Trump, ma la debacle è arrivata grazie ai consigli avvelenati di Susie Wiles, sua ex advisor cacciata nel disdoro che si è messa al servizio di Trump, e sarà la sua capa di gabinetto. DeSantis ora ha disperatamente bisogno di riallacciare con il mondo di Trump se vuole avere un futuro nel partito a livello nazionale, e ha l’occasione unica di fare un grande favore al presidente nominando un senatore di sua fiducia.

Per questo finora si è fatto soprattutto il nome della nuora Lara Trump, che è anche cosegretaria del partito repubblicano. Gaetz potrebbe essere un’alternativa. Non sarebbe più alla Camera, luogo pericoloso per lui, e potrebbe continuare a lavorare per la campagna da governatore della Florida nel 2026. Niente male per essere un piano B.

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